Nasce a King William’s Town, il 18 dicembre 1946 e muore a Pretoria, il 12 settembre 1977.

Fu il terzo dei quattro figli di Mzingaye e Alice Duna “Mamcete” Bigo.

Nel 1950 alla morte del padre poliziotto, le entrate finanziarie della famiglia dipesero dal lavoro della madre, domestica e cuoca presso l’Hospital di Kins William’sTown (sobborgo di Bisho) dove la famiglia viveva.

Biko, intelligente e brillante negli studi, dopo aver frequentato la scuola elementare e media, entrò all’Istituto Superiore Lovedale con una borsa di studio, ma dopo soli pochi mesi venne arrestato, con il fratello, per presunta complicità nelle azioni condotte dall’ala militare del PAC (Pan Africanist Congress) e quindi sospeso definitivamente, anche se fu provata la sua completa estraneità ai fatti che gli erano stati imputati.

In seguito si iscrisse a un Collegio cattolico gestito da suore e preti di orientamento liberale. Fu in questo periodo – metà anni ‘60 – che iniziò un’assidua corrispondenza con Padre Aered Stubbs della Comunità Anglicana della Resurrezione.

Biko in quegli anni si interessò alle vicende che stavano accadendo nel continente africano, legate soprattutto al processo di indipendenza in atto in diversi paesi, provando ammirazione per i principali leader politici in esso coinvolti.

Era un profondo assertore dei metodi non violenti. Biro come Gandhi e come Martin Luther King era un pacifista convinto, credeva nel dialogo e nel confronto.

Non era facile seguire la via della non violenza in una situazione così assurda e ingiusta come quella del Sudafrica. Ma l’atteggiamento di Biko non nasceva da una scelta ideologica, bensì dalla fede nel Vangelo. E questo diventò spontaneamente il motivo fondamentale del suo stile d’azione. Biko è stato chiarissimo in proposito. Affermava: “Non voglio neppure mettere in discussione la verità fondamentale che è al centro del messaggio cristiano.”

Nel 1966 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università del Natal. Fu in quegli anni che iniziò a sviluppare il suo particolare interesse verso la politica.

In base alla sua precedente formazione cattolico-liberale, inizialmente si avvicinò alle posizioni della multirazziale NUSAS (National Union of South African Students), ma a partire dal 1968, l’infruttuosità di tale collaborazione divenne sempre più evidente, tanto che nel ‘69 Biko fu uno dei principali artefici della creazione del SASO (South African Student Organisation), di cui divenne il primo presidente.

In quegli anni conobbe una delle figure femminili di maggior rilievo del BCP (Black Community Programmes) , Mamphela Ramphele, con la quale instaurò un particolare rapporto professionale.

Nel 1970 sposò Montsikelelo Mashalaba, dalla quale ebbe due figli.

Nel luglio del ‘70 Biko fu eletto responsabile delle pubblicazioni della SASO.

Il 1972 fu un anno cruciale nella sua vita perché decise di abbandonare la facoltà di medicina, dedicandosi interamente all’attivismo politico, abbracciando senza indugio la lotta di liberazione del suo popolo. Proprio come accadde a Nelson Mandela, egli intraprese un cammino diverso da quello tracciato per lui dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza. Divenne per lui impossibile agire in una società soggetta a rigidi controlli imposti dal regime di apartheid e sentì il bisogno di operare a favore dell’intera collettività degli oppressi.

Nell’agosto del 1972 Biko si unì allo staff del Black Community Programmes. Si dedicò alla creazione di una rivista annuale che si occupava di vari temi: dal teatro all’educazione, dalle organizzazioni politiche ai processi politici.

L’ordine di residenza coatta – emesso per il suo coinvolgimento nelle attività del BCP – lo confinò a King William’s Town, dove di nascosto continuò a lavorare per la sezione locale del BCP.

Nel 1973 decise di iniziare a studiare legge, per corrispondenza, iscrivendosi presso l’Università del Sudafrica e sempre in quell’anno conobbe l’editore del quotidiano sudafricano Daily Dispach, Donald Woods, col quale instaurò una profonda amicizia.

Nonostante gli innumerevoli controlli e ostacoli governativi, Biko era totalmente coinvolto nello sviluppo del BCM (Black Consciousness Movement), appoggiando con entusiasmo nel giugno del 1972 la creazione di un’ala politica del movimento denominata Black People’s Convention (BPC).

In ogni sua attività cercava di enfatizzare l’importanza del processo di emancipazione psicologico- culturale degli oppressi, realizzabile attraverso la loro diretta partecipazione ai programmi comunitari promossi dal BPC, grazie ai quali l’esistenza quotidiana dei neri veniva concretamente migliorata da loro stessi, tramite corsi di alfabetizzazione e la costruzione di scuole e ospedali.

In tal modo i gruppi discriminati e ritenuti inferiori, conducendo personalmente i progetti, prendevano coscienza delle loro effettive capacità, oscurate e negate da una società razzista.

Il suo obiettivo era che gli oppressi giungessero alla consapevolezza quale strumento di liberazione.

L’enfasi sul processo di introspezione e auto-realizzazione attirò l’attenzione delle forze governative. Ogni azione condotta dal BPC veniva attentamente esaminata e ostacolata, come nel caso dei comizi promossi dal movimento per commemorare la raggiunta indipendenza del Mozambico.

In seguito il governo intraprese una massiccia campagna di arresti di esponenti della SASO e della BPC, poi processati l’anno seguente. Tra questi non figurava Stephen Biko, perché le forze di sicurezza non riuscirono a trovare un suo coinvolgimento attivo. Egli comunque partecipò alle udienze in qualità di testimone della difesa e utilizzò l’aula del tribunale per diffondere il messaggio del BCM e per rivendicare i diritti degli oppressi.

Il clima di repressione andava aumentando e culminò nel massacro di Soweto.

Sebbene non si fosse mai proclamato leader e avesse sempre scoraggiato il culto della personalità, di fatto Stephen Biko rappresentò all’interno del BPC la principale figura, dotata di particolare acume e di profonda sensibilità.

Egli evitò in tutti i modi di porsi come capo carismatico, lasciando che fossero altri dirigenti a svolgere ruoli di primo piano, ma fin dalla prima gioventù era palesemente un capo e come tale percepito da un gran numero di suoi contemporanei.

Il 18 agosto 1977 Stephen Biko si imbattè in un blocco stradale della Security Police nei dintorni di Grahamstown (provincia del Capo Orientale). Fu arrestato in base al Terrorism Act, ai sensi del quale una persona poteva essere soggetta a detenzione e isolamento anche per un tempo indeterminato.

Stephen Biko morì il 12 settembre 1977 a causa delle torture subite durante la detenzione.

Cinque settimane dopo il suo decesso, tutte le organizzazioni collegate direttamente e indirettamente al BCM vennero dichiarate illegali.

Sulla sua tomba è scritta questa sua frase: “E’ meglio morire per un’idea che vivrà che vivere per un’idea che morirà”.

La morte di Biko, che venne riconosciuto come un eroe, contribuì a farne un simbolo per la popolazione africana nera e i suoi funerali furono l’occasione per una grande manifestazione di massa e di sfida, con la partecipazione di decine di migliaia di persone.