Nasce a Casal di Principe (Caserta) il 4 luglio 1958 e muore a Casal di Principe il 19 marzo 1994.
La sua è una storia, breve ma intensa, di un giovane prete, di una persona comune in una realtà problematica, di un uomo coraggioso, che però non avrebbe voluto essere un eroe e che ha saputo portare fino in fondo la sua missione a fianco dei più deboli, che ha sfidato la camorra con la sola arma della parola. Diceva:
“Per amore del mio popolo non tacerò”.
Un prete di frontiera, ostinato, che non abbassava la testa di fronte a nulla.
Don Giuseppe Diana è nato da una famiglia di proprietari terrieri.
A dieci anni entra nel Seminario vescovile di Aversa e nel ’76 frequenta gli studi di teologia alla Pontificia Facoltà Teologica di Napoli, diretta da padre Pedro Arrupe, che in quegli anni era molto impegnato ad applicare con convinzione le innovazioni del Concilio Vaticano II ed a proporre un servizio di evangelizzazione inserito nel territorio. Questi insegnamenti incideranno molto sulla formazione di don Diana.
In quegli anni due sono gli avvenimenti che più lo coinvolgono: l’assassinio di monsignor Romero, che rappresentava una Chiesa a cui si sente particolarmente legato, ed il terremoto che nel novembre del 1980 colpisce la Campania e la Basilicata. E Giuseppe va volontario tra le macerie per aiutare i senza tetto.
Si laurea in teologia biblica e in filosofia e il 14 marzo del 1982 viene ordinato sacerdote. In seguito assume l’incarico di Assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa, insegna lettere presso il liceo del seminario e religione presso l’Istituto Tecnico e Professionale di Aversa.
Viene nominato parroco giovanissimo nel settembre del 1989 nella parrocchia di San Nicola a Casal di Principe.
“Aveva l’ossessione del fare, aveva iniziato a realizzare un centro di accoglienza dove offrire vitto e alloggio ai primi immigrati africani. Era necessario accoglierli, evitare – come poi accadrà – che i clan potessero iniziare a farne dei perfetti soldati. Per realizzare il progetto aveva devoluto anche alcuni risparmi personali (…). Questo perché attendere aiuti istituzionali può essere cosa così lenta e complicata da divenire il più reale dei motivi per l’immobilità.” (da: ‘Gomorra’ di Roberto Saviano)
Don Peppe vive negli anni del dominio assoluto della camorra casalese. Spietati e sanguinari, gli uomini del clan controllano non solo i traffici illeciti, ma si sono infiltrati negli enti locali e gestiscono fette rilevanti dell’economia legale, tanto da divenire “camorra imprenditrice”.
In questo clima don Peppe Diana incita i concittadini a non tacere, a dire basta e a pretendere un cambiamento.
Diceva loro:
“Non c’ è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di avere paura.
Il coraggio di fare delle scelte, di denunciare”
Uno dei suoi più importanti obiettivi è quello di promuovere nelle nuove generazioni la speranza, l’impegno, l’assunzione di responsabilità.
Accanto al dominio della camorra nel territorio è cresciuto un movimento antagonista, con lo scopo di continuare a costruire comunità alternative. Movimento fatto di politici, associazioni, parrocchie, singoli cittadini…, che nel tempo si è fatto sempre più incisivo e di cui don Peppe è stato animatore.
Don Giuseppe Diana viene ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sua chiesa.
“…‘Chi è don Peppino?’ ‘Sono io’. L’ultima risposta. Cinque colpi che rimbombarono nelle navate, due pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono il collo e una mano. Avevano mirato alla faccia, i colpi l’avevano morso da vicino. Una pallottola gli aveva falciato il mazzo di chiavi agganciato ai pantaloni. Don Peppino si stava preparando alla messa. Aveva 36 anni.” (da: ‘Gomorra’ di Roberto Saviano)
La sua morte non è stata solo la scomparsa di una persona coerente, di un insegnante generoso, di un testimone di impegno civile: uccidere un prete, ucciderlo nella sua chiesa, mentre si accingeva a celebrare messa, è diventato l’emblema della violazione di un’esistenza che alla rassegnazione preferisce il dono di sé, di una differente lettura del vivere che la fede dà, e del culto, nella loro sacralità.
E’ stato il simbolo del culmine a cui può giungere la barbarie camorrista.
Il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana non possono essere dimenticati. Ciò significa soprattutto testimoniare quotidianamente il suo messaggio d’impegno civile, di lotta alla criminalità organizzata, di costruzione di giustizia sociale nelle comunità locali, d’amore per la propria terra.
Dal documento “Per amore del mio popolo” diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della Forania di Casal di Principe:
“Siamo preoccupati.
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere ‘segno di contraddizione’.
Coscienti che come chiesa ‘dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio fino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà. (…)
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianza, di esempi per essere credibili.
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venir meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
- Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3, 16-18);
- il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
- il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 18, 18-23);
- il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22, 3 – Isaia 5).
- Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare”, riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza. (…)Ai preti, nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza.
- Alla Chiesa: che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). (…)
Le nostre Chiese hanno oggi urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe.
Ai preti, nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza.
Alla Chiesa: che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). (…)