Nato in Bretagna il 26 giugno 1897 e morto a Parigi il 20 luglio 1966.
Louis Lebret è nato a Minihic sur-Ranche, nei pressi di Saint Malo.
Ex ufficiale di marina, grazie ai suoi studi di sociologia, economia e matematica, rappresentò una guida per intere generazioni di cattolici del suo tempo.
Nella prima parte della sua vita, soprattutto negli anni in cui prestò servizio come ufficiale della Marina, coltivò una vocazione particolarmente attenta ai deboli, in particolare ai pescatori.
Partecipò alla prima guerra mondiale a bordo del cacciatorpediniere Bouclier.
Nel 1923 Lebret decise di farsi domenicano.
Nel 1942 con un gruppo di laici e di domenicani fondò un centro di studi e la rivista “Economie et Humanisme”. E, anche con il loro sostegno, cercò di sensibilizzare l’opinione pubblica francese sulle condizioni di vita dei pescatori bretoni, sulla loro miseria e il loro sfruttamento.
In questi anni la sua figura comincia ad emergere e nel 1947 fu invitato a tenere un corso di economia umana alla scuola di sociologia e politica di San Paolo in Brasile.
Verrà anche chiamato dalle Conferenze Episcopali in America Latina, in Africa e nel Vietnam per spiegare le ragioni più profonde del sottosviluppo.
Così si esprimeva verso i suoi interlocutori:
“La misericordia non è né paternalismo, né elemosina, ma è un sentimento rivoluzionario che consiste nel vivere con i diseredati e divenire uno di loro.”
Lebret toccò con mano la miseria dei paesi meno sviluppati nelle sue manifestazioni più degradanti: la fame, i tuguri, l’analfabetismo, la mortalità infantile…Si indignava perché i grandi popoli economicamente potenti non cessavano di combattersi e di spendere in armamenti per la loro difesa e per attaccare altri paesi, invece di assistere le popolazioni che erano nella miseria e nell’impossibilità di accedere alla conoscenza.
Pian piano, grazie alle esperienze che andava facendo, Lebret divenne un grande operatore culturale, un mobilitatore di coscienze collettive: sollecitava i cristiani a sentirsi responsabili del prossimo, cioè dell’intera umanità. Non cercava di costringere gli altri a credere, convinto come era che molte volte i non credenti sono più vicini a Dio di quanto non lo siano alcuni cristiani.
Nel 1958 fondò l’IRFED (Istituto Internazionale di Ricerca e Formazione per lo Sviluppo) con lo scopo principale di offrire una adeguata preparazione a studenti che avevano già fatto esperienze di lavoro nei paesi sottosviluppati.
Il domenicano bretone era già noto ovunque quando la Santa Sede lo inviò come suo rappresentante all’ONU.
Tra i tanti suoi viaggi nel 1956 ne intraprese uno singolare: un viaggio in macchina nel meridione d’Italia per conoscere meglio anche l’economia di questo territorio.
La lucidità delle analisi e la grande passione procurò a Lebret negli ultimi anni della sua vita notevoli riconoscimenti. Sia Giovanni XXIII che Paolo VI hanno avuto sempre grande stima di lui. Papa Giovanni, quando era Nunzio in Francia era andato anche a visitare la sede di “Economie et Humanisme”.
Nel 1964 papa Paolo VI lo invitò, in qualità di perito conciliare, al Concilio Vaticano II e importante sarà il suo contributo soprattutto alla stesura della costituzione pastorale “Gaudium et Spes”.
Grazie al suo sguardo armonico intorno allo sviluppo integrale dell’uomo e il suo sguardo globale verso il pianeta, fu scelto da Paolo VI anche come principale redattore dell’enciclica “Populorum Progressio”.
Morì a Parigi il 20 luglio 1966.
Nei suoi scritti colpiscono alcuni temi ricorrenti, come l’intensa comunione con il Signore, a cui si affidava con entusiasmo e con il candore di un fanciullo.
Così parlava al Signore in uno dei suoi scritti:
“Mandaci dei matti, Signore.
A noi mancano matti, o Signore,
ma di quelli che sappiano amare
con opere e non con parole,
di quelli che siano totalmente a disposizione del prossimo.”
E’ sempre stato alla ricerca del bene comune e teso a lottare contro le ingiustizie, ma non ha mai fatto fatica a tenere insieme la contemplazione e l’azione. Forse era aiutato in questo da una natura portata all’amore per il Signore, allo stupore, alla gratitudine, sentimenti che gli facevano avvicinare ogni creatura senza prevenzioni.