Nato a Sankt Radegund, Austria, 20 maggio 1907 e morto a Berlin-Brandenburg, Germania, 9 agosto 1943.

Era un contadino austriaco abitante in un piccolo borgo.

Aveva trascorso una giovinezza piuttosto dissipata, seguita da un’intensa conversione religiosa.

Si sposò ed ebbe tre figlie. Con la moglie Francesca pregava intensamente, la Bibbia era la loro lettura quotidiana e cercavano di aiutarsi l’un l’altra nella fede.

I problemi di coscienza iniziarono con l’ascesa di Hitler al potere.

Quando nel 1938 la maggioranza degli austriaci votò in favore dell’annessione alla Germania nazista, Franz trentunenne espresse l’unico voto di dissenso del villaggio.

Ritenendo il fascismo assolutamente incompatibile con il Vangelo e per restare un cristiano coerente non solo a parole, cominciò la sua solitaria campagna di opposizione, fino a convincersi che non poteva permettersi di collaborare con Hitler. Così il 1 marzo 1943, quando venne chiamato a fare il soldato, ignorando il consiglio del parroco, del vescovo e di molti altri, si rifiutò con decisione di indossare la divisa militare, e per questo venne messo in carcere.

Gli venne anche offerta la possibilità di un servizio che non richiedeva di dover combattere, ma Franz, dopo averci riflettuto, rispose che non era possibile comunque per lui indossare l’uniforme, indipendentemente da quelle che sarebbero state le sue responsabilità individuali.

Arrestato e processato a Berlino davanti al Tribunale supremo del Terzo Reich, venne condannato a morte. Passò in carcere momenti terribili, combattuto sulla decisione da prendere, cosciente che avrebbe potuto cambiare il suo destino con un semplice “sì” e arrivò alla conclusione che:
“né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà”.
“Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la mia volontà”.

Questo è il suo ultimo messaggio dal carcere.

Venne decapitato il 9 agosto 1943, all’età di trentasette anni, a Brandeburgo, nello stesso carcere in cui era detenuto anche il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer.

Franz Jägerstätter, agli occhi di tutti, era solo un contadino: non aveva mai frequentato un’università o una scuola di teologia. Il suo percorso educativo si era svolto interamente in una piccola scuola a classe unica. Come poteva, una persona così ordinaria, mettere in pratica un atto di resistenza tanto eccezionale? Possiamo ricostruire qualcosa delle motivazioni profonde che lo abitavano, a partire da alcuni suoi scritti, in particolare il diario e le lettere dal carcere. Essi attestano la sua convinzione che non solo la comunità dei credenti, la chiesa, ma anche il singolo sia chiamato a dare testimonianza di quello in cui crede, anche se si trova a essere solo ed è una persona di modesta condizione sociale. Era un uomo animato da una fede semplice e forte.

Dal carcere scrive:
“Proprio come l’uomo che pensa solamente a questo mondo fa tutto il possibile per rendere la sua vita qui più facile e migliore, così dobbiamo anche noi, che crediamo nel regno eterno, rischiare tutto al fine di ricevere là una grande ricompensa…Il segno più certo di chi segue Gesù si trova nelle azioni che dimostrano amore per il prossimo. Fare al proprio prossimo ciò che si desidera per se stessi è più che non fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a sé…Felici quelli che vivono e muoiono nell’amore di Dio.”

Attraverso l’arcivescovo Thomas Roberts, la vicenda di Franz Jägerstätter arrivò fino al Concilio Vaticano II e aiutò i vescovi ad appoggiare la non-violenza e l’obiezione di coscienza.

Negli anni sessanta del Novecento la sua storia divenne ampiamente conosciuta grazie al libro di Gordon Zahn, “In Solitary Witness” e incoraggiò molti cristiani americani in età di leva a rifiutare il servizio militare nella guerra in Vietnam.

Franz Jägerstätter, il contadino che disse di no al Hitler, è stato beatificato nella cattedrale di Linz il 26 ottobre 2007.