Nato a Piverno (LT) il 7 settembre 1945 e morto a Trebisonda il 5 febbraio 2006.

Andrea Santoro nasce nel 1945 a Piverno (Latina), in una famiglia operaia che nel 1955 si trasferisce a Roma. Nel 1970 è ordinato sacerdote e vive le sue prime esperienze pastorali nel quartiere Casilino, uno dei quartieri più degradati della città, e poi in quello di Monteverde, nella parrocchia della Trasfigurazione, che è un vero laboratorio di sperimentazione ecclesiale, dove si afferma come prete di frontiera, radicato nella preghiera, illuminato dalla Parola e impegnato nel sociale. Quando sul finire degli anni settanta gli prospettano un incarico da parroco, chiede ed ottiene un periodo sabbatico, che trascorre in Terra Santa, per cercare

una vicinanza con Dio là dove Dio aveva cercato una vicinanza con noi.”

Raggiunto il Medio Oriente con un viaggio in autostop, vive sei mesi spiritualmente molto intensi, sulle tracce di Cristo e con prolungate soste in comunità monastiche.

A settembre 1981 gli affidano una parrocchia di recente costituzione dove può esprimere il suo stile missionario di fare il prete, perché si tratta di una comunità che non ha strutture e neppure una chiesa. Don Andrea vive in un appartamento, incontra la gente per strada, le fa visita in casa, deve cercare spazi condominiali e strutture pubbliche dove celebrare l’Eucaristia. Nel 1994 dopo altri cinque mesi in Medio Oriente seguendo i passi delle prime comunità, torna a Roma e il suo stile pastorale si arricchisce di una particolare attenzione all’ecumenismo e al dialogo interconfessionale e intanto cresce la sua sete di partire per la missione, desiderio che i superiori tardano ad esaudire.

Finalmente nel 2000 il Cardinal Ruini gli permette di andare per un triennio in Anatolia come sacerdote “Fidei donum”.

Don Andrea fonda l’associazione “Finestra per il Mediterraneo” per creare un legame tra la sua diocesi di appartenenza e quella in Turchia. Rimane per tre anni nel sud-est, ai confini della Siria come presenza orante e silenziosa: non c’è nemmeno un cristiano e tuttavia riesce a farsi benvolere da tutti, persino dall’imam della moschea vicina. Ha ben chiaro nella testa e nel cuore di non essere lì per convertire, ma per convertirsi, come dice agli amici a Roma:

“ mi sono guardato intorno, ho pregato…ho intessuto piccoli quotidiani rapporti con i vicini di casa, con i mille piccoli negozianti delle mille piccole botteghe, imparando a salutare, a rispondere alle tante domande, a chiedere informazioni; ho imparato a voler bene, come segno fondamentale della presenza di Cristo, a voler bene gratuitamente senza nulla aspettarmi, a voler bene ad ogni persona così com’è, come è vista ed amata da Dio.”

E’ lo stesso stile che adotta quando gli chiedono di trasferirsi al nord, a Trebisonda, dove trova una comunità cattolica di appena 15 persone, una più numerosa comunità ortodossa, un gruppo numeroso di donne emigrate per lo più prostitute e sfruttate.

Tienici uniti nella nostra diversità, non così uniti da spegnere la diversità, non così diversi da soffocare l’unità”, diventa la sua preghiera costante, mentre si esercita nella “liturgia della porta”: aprire, sorridere, salutare, rispondere, ma anche prendere posizione per strappare dalla prostituzione quelle schiere di donne, per lo più armene e georgiane.

“Cerco di essere la presenza, per quanto povera e inadeguata, di Gesù. Cerco di essere insieme a quei pochi che si riconoscono in Gesù, un virgulto della Chiesa. Cerco di essere una piccola finestra di luce.”

E’ forse in questa sua azione di contrasto alla prostituzione, o più semplicemente nel fanatismo fomentato in quei giorni dalla pubblicazione di alcune vignette blasfeme su un giornale danese, che matura la decisione di eliminare quel prete scomodo, che in silenzio sta creando ponti tra le religioni. Se ne incarica un ragazzo di appena sedici anni, imbottito di odio da fanatici predicatori, che il 5 febbraio 2006 lo uccide con alcuni colpi di pistola, mentre don Andrea è inginocchiato in chiesa, assorto in preghiera.

“I tempi sono ampiamente maturi per avviare una riflessione su cosa significa concretamente raccogliere l’eredità di don Andrea, che per me, per usare una parola che risulti chiara, è un simbolo di quel cristianesimo tacciato spesso di ‘irrilevanza’ da molte voci anche autorevoli della Chiesa italiana.” (Simone Sereni)

Nella convinzione che don Andrea sia stato un testimone della fede fino al dono della vita, la Chiesa di Roma ha dato avvio nel 2011 al suo processo di canonizzazione.