CIRCONCISIONE DEL SIGNORE - Lc 2, 18-21


La giornata di oggi è ricca di pensieri, di parole e di auguri che ci scambiamo iniziando con una certa trepidazione questo nuovo anno, per parte mia condivido due pensieri con voi.

Il primo è legato appunto alla considerazione della misurazione del tempo che corre, fugge, non basta mai e nella quale anche Colui che del tempo è Signore perché eterno, viene ad abitare.

Per un verso ci siamo noi, che col tempo abbiamo sempre un rapporto complesso: ci pare sempre poco, non ci basta mai… nei modi comuni di parlare le espressioni sempre più frequenti sono appunto relative a questa percezione: Non ho tempo! Non ho fatto in tempo… Anche perché fin da piccoli ci viene chiesto di fare presto: Dai sbrigati! Muoviti! Bisogna correre, muoversi, accelerare. Il mondo non aspetta, non ha tempo. Cresciamo accumulando ritardi, mentre un senso di colpa più o meno latente ci avvolge con una patina quasi impercettibile.

Se poi ci si mette pure la tecnologia i nostri guai aumentano, perché la tecnologia moltiplica la nostra connessione con una presente ininterrotto che non ammette ritardi!

Eppure, lo viviamo anche in questi giorni, tutto il nostro correre, la nostra frenesia, il nostro non perdere un attimo dove ci sta conducendo? A doverci poi fermare perché l’aria si è fatta irrespirabile, così che a forza di correre non ci rendiamo più conto delle esigenze dell’ambiente in cui viviamo, nella fretta diventa scontato che noi siamo sempre al centro di tutto, per cui esigiamo una produzione sempre più industriale di cose, di oggetti, di cibo…

Mi sono chiesto che cosa possa significare per noi che inseguiamo il tempo con la frenesia che ci accompagna, la nascita di Gesù, il suo entrare nel tempo e dopo otto giorni ricevere la circoncisione e il nome. Entra nel tempo colui che è fuori dal tempo, ma non per questo lo annulla, anzi con il suo modo di stare, di vivere, di abitare il tempo e soprattutto con la sua risurrezione, in Cristo il tempo è diventato uno strumento per una progressiva trasfigurazione, una strada viva e gioiosa verso quella pienezza nella quale Egli stesso ci conduce, appunto quella della vita eterna.

La celebrazione dell’ottavo giorno di Natale, ci ricorda l’umanità di Gesù. Ricordiamo quando Gesù insegna ad avere un giusto atteggiamento del cuore invitandoci a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo, o quando pone il suo sguardo mai frettoloso, mai superficiale o banale su chi gli sta di fronte. Lui sì che sapeva stare pienamente presente davanti ad ogni essere umano e davanti a ogni creatura, e così ci ha mostrato una via per superare l’ansietà malata che ci rende superficiali, aggressivi e consumisti sfrenati (Laudato sii, 226).

In questo modo l’Eterno che si immerge nel tempo ci libera dalla schiavitù del tempo, che arriviamo a misurare ormai al millesimo di secondo, così che possiamo recuperare i diversi livelli dell’equilibrio interiore con noi stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli altri esseri viventi e quello spirituale con Dio. Milan Kundera diceva, ad esempio, di come ci sia «un legame stretto tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio».

Uno stile di vita meno nevrotico ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale e produce, a volte in maniera invisibile, frutti al di là quanto noi si possa constatare. Questo comporta un prezzo importante: imparare a resistere alle chimere del modello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e dagli efficaci meccanismi del mercato, non solo per una santificazione personale, ma per contribuire a ridare equilibrio e armonia al nostro mondo. Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una fretta costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno a sé. Questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente (Laudato sii, 225).

«Chi si ferma, ce lo hanno sempre detto, è perduto»! E invece vediamo che a forza di correre andiamo tutti insieme a sbattere contro il muro: l’ambiente si ribella, la natura si sconvolge, non vediamo più lo sguardo dell’altro e tantomeno il volto di Dio. E il volto ci diceva la prima lettura è benedizione.

Chiediamo a noi stessi all’inizio di questo nuovo anno quella pace e quella calma che ci permettono di vedere i volti degli esseri umani e il Volto per eccellenza. Chiediamo per questo anno il dono della calma propria di chi abita il tempo e non ne è schiavo. Vivere con calma e non nella schiavitù della fretta, non vuol dire annoiarsi, ma immergersi completamente in ciò che amiamo senza stimoli continui, senza disturbi ossessivi, liberandoci dalle mille cose che dobbiamo fare. Aiutiamoci in questo, diciamocelo con gentilezza, con garbo e con un po’ di ironia.

La seconda riflessione è d’obbligo per il fatto che il primo giorno dell’anno è da 49 anni anche la giornata mondiale di preghiera per la pace. Un giornata che papa Francesco ha voluto illuminare con un messaggio intenso e articolato dal titolo Vinci l’indifferenza e conquista la pace.

Iniziare l’anno con l’invito a superare l’indifferenza è un bel cominciare. Ce ne rendiamo conto di come anche noi ci siamo un poco per volta, quasi impercettibilmente, anestetizzati nei confronti dell’altro, della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali e della sua libertà. Siamo attenti e pronti a mettere in moto le nostre conoscenze e tutti gli strumenti necessari allorquando vengono intaccati i nostri diritti e dobbiamo difendere giustamente le nostre prerogative… ma proviamo a domandarci: «Quando è stata l’ultima volta che mi sono inquietato, arrabbiato, per una persona i cui diritti fondamentali sono stati ignorati o schiacciati?».

L’indifferenza «Può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze, in vista del conseguimento del proprio benessere o di quello della nazione. … ma anche «l’indifferenza nei confronti dell’ambiente naturale, favorendo la deforestazione, l’inquinamento e le catastrofi naturali che sradicano intere comunità dal loro ambiente di vita, costringendole alla precarietà e all’insicurezza, crea nuove povertà, nuove situazioni di ingiustizia dalle conseguenze spesso nefaste in termini di sicurezza e di pace sociale. Quante guerre sono state condotte e quante ancora saranno combattute a causa della mancanza di risorse o per rispondere all’insaziabile richiesta di risorse naturali» (Messaggio per la giornata mondiale 2016, 4).

Non possiamo dunque rimanere indifferenti, non possiamo continuare a pensare che la questione riguardi altri, e tantomeno non possiamo assumere una sorta di neutralità e di presunta equidistanza dalle complesse condizioni sociali, politiche, economiche… Lo diceva molto bene un pensatore del secolo scorso: «Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di essere inesorabile… Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti (Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917).

Possiamo imparare a odiare l’indifferenza più che gli indifferenti, e chiedere al Signore che non è mai indifferente, perché a Dio gli importa della nostra umanità e non l’abbandona, di essere partigiani della pace, della giustizia, appassionati come lui di fronte ad ogni ingiustizia, ad ogni sofferenza, ad ogni prevaricazione.

Ciascuno di noi è chiamato ogni giorno ad essere protagonista, consapevole che non saremo noi a sconfiggere il Male, ma che solo facendo ciò che la coscienza ed il dialogo ci suggeriscono come bene vivremo delle esistenze degne, che solo la nonviolenza attiva è superiore alla violenza, che la ricerca autentica della felicità porta a donarsi agli altri e che rischiare l’incontro e l’apertura vale sempre di più del farsi dominare dalla paura, che il perdono costruisce la pace e che la vendetta perpetra l’odio.

Per questo auguro a ciascuno di proseguire nel 2016 il proprio cammino di ricerca di una umanità piena per se stessi e per noi come famiglia umana, di provare la gioia e la speranza della solidarietà, di avere fame e sete di giustizia ogni giorno, di sentire il calore della fiducia e di combattere le tentazioni subdole della paura.

Buon 2016 di lavoro e di impegno, di relazioni autentiche e di dolori affrontabili e il «noi» sia molto più sulle nostre bocche dell’«io».

Auguri fraterni.