VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 10, 40-42
(1Re 17, 6-16; Eb 13, 1-8; Mt 10, 40-42)
In questi giorni piangiamo le giovani vite di donne, uomini e bambini finite affogate al largo di Lampedusa. Preghiamo per loro, per le loro famiglie, abbiamo anche discusso sulle politiche necessarie… e oggi siamo raggiunti da una parola di Vangelo che sembra attagliarsi in maniera viva alla situazione che viviamo, una parola che ha l’effetto di una manciata di sale gettata sulle ferite aperte. Chi accoglie me… chi avrà dato un solo bicchiere d’acqua…
Ecco queste parole sono come sale che brucia anzitutto perché ci sentiamo impotenti, forse noi potremmo fare di più, ma certamente non dipende solo da noi, dall’Europa e forse, come già diceva La Pira, occorrerebbe una Conferenza dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo… Ma credo che anzitutto dobbiamo cercare di capire. Perché queste persone partono? Cosa le spinge ad assumersi rischi enormi, nella traversata di deserti e mari? Cosa lasciano ad esempio i giovani eritrei alle loro spalle? Forse non sappiamo che in Eritrea è al potere da vent’anni un uomo che viola sistematicamente i diritti del suo popolo, Isayas Afeworki.
Il regime di Isayas organizza imponenti retate nelle quali preleva ragazzi e ragazze, dai 17 anni in su, che vengono portati nei campi di addestramento. Qui, con la scusa di dare loro una formazione militare, vengono sottoposti a un regime durissimo che sfocia spesso in violenze gratuite. Le ragazze vengono sistematicamente violentate dagli ufficiali. Recentemente il padre di un figlio disabile ha raccontato che anche il ragazzo è stato portato in un campo di addestramento. Quale formazione militare per una persona che ha un braccio paralizzato e una gamba menomata? Eppure lo hanno tenuto per settimane, in condizioni terribili e senza alcuna assistenza.
Da anni non esistono partiti di opposizione né una stampa libera. In ogni locale ci sono spie, i telefoni e Internet sono controllati, non ci si può fidare di nessuno, neppure dei parenti. Qualsiasi voce «fuori dal coro» viene repressa. Anche quella dei religiosi. Isayas ha anche cercato di mettere sotto controllo la Chiesa cattolica locale. Aveva preteso addirittura che i parroci cattolici si presentassero ai centri di addestramento militare per essere arruolati. I vescovi cattolici si sono opposti e il regime, per il momento, ha rinunciato ai suoi propositi. Eppure con lui l’Italia ha fatto e fa ottimi affari. Sono affari che oggi, più che mai, grondano sangue.
Per questo brucia come sale sulle ferite la parola di Gesù: Chi accoglie voi, accoglie me… Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli…
Vediamo anzitutto il loro contesto. Il cap. 10 di Matteo raccoglie un insieme di indicazioni sulla missione rivolte ai Dodici. Gesù aveva esordito: Vi mando come pecore in mezzo ai lupi, senza oro né argento, né bisaccia, né sandali… addirittura non sarete accettati nemmeno dal padre, dalla madre e dai figli… quindi un discorso esigente, dove Matteo disegna il modo di vivere la missione dei discepoli secondo i tratti che aveva visto in Gesù stesso, appunto un predicatore disadorno, essenziale, senza curie né cortigiani… affatto preoccupato del consenso.
1.Nei tre versetti di oggi la prima cosa che emerge con evidenza è il verbo accogliere, che ricorre sei volte. Dice Gesù: Chi accoglie voi, accoglie me, non solo ma: Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. E poi continua: Chi accoglie un profeta… chi accoglie un giusto… Per spingersi ancora oltre: anche l’aver dato un bicchiere d’acqua a un discepolo è degno di Dio.
Cosa accade quando accogli?
La lettera agli Ebrei, cioè indirizzata ai figli d’Israele diventati seguaci di Cristo, ricorda un esempio biblico di ospitalità che risale ad Abramo, il quale praticando l’ospitalità accolse degli angeli!
Analogamente Elia (850 anni prima di Gesù) viene accolto e ospitato da una povera vedova libanese di Sarepta (vicino a Sidone, Libano), anzi dobbiamo riconoscere che in qualche modo Elia impone di essere accolto. Il profeta chiede, domanda del pane a una donna che non ne ha nemmeno per il proprio figlio. Eppure questa donna non si tira indietro, non fa finta di non sentire e si gioca non il superfluo, ma tutto ciò che ha per vivere. Ed è per questo donarsi che riceve molto di più.
Accogliendo, offrendo ospitalità, facendo spazio nella tua vita al povero, al forestiero, alla vedova, all’orfano… riducendo il tuo spazio, le tue esigenze, diminuendo la tua libertà, in realtà succede che dilati i tuoi orizzonti, allarghi i paletti della tua anima e ricevi molto di più di quello che tu doni e dai, perché accogli Dio.
Come sarebbe diversa una teologia che prendesse le mosse da qui. Che ci parlasse di Dio non solo a partire dalla filosofia e delle categorie dell’essere… della metafisica, ma anche a partire dalla «fisica» di quei corpi finiti in fondo al mare, una teologia che ci parla di Dio a partire dagli scarti dell’umanità, a partire dai poveri, dai preferiti da Dio. Le sorelle e i fratelli che sono annegati e che ancora sono sepolti nelle acque del Mediterraneo sono il volto di Cristo sepolto e affogato da parte della storia dell’uomo, di un’umanità che si illude di salvarsi gettando a mare vite di scarto. Proprio come in quel giochino – e chi di noi non lo ha fatto? – che per poter arrivare all’altra riva devi decidere chi buttare giù dalla canoa… e siamo quotidianamente spinti a ragionare e a vivere così. Ma se non accogli, rinunci ad essere uomo e di fatto sei senza Dio, anche se preghi, perché quel dio che preghi non è il Dio di Gesù.
2. Dopo il verbo accogliere c’è un secondo aspetto che colpisce e che ci offre uno spaccato della comunità primitiva che si presenta sciolta, libera e docile allo Spirito. Non si parla, come faremmo noi per descrivere una comunità, di preti e di laici, piuttosto parla di una comunità dove ci sono apostoli, profeti e giusti. Certo siamo allo stato embrionale della struttura di una comunità… Ma qui c’è l’essenziale: siamo di fronte a una comunità 1° che mantiene il legame apostolico, 2° che si mette in ascolto della Parola con dei profeti che l’aiutano a leggere la realtà, e 3° siamo di fronte a una comunità di giusti, di persone che ogni giorno vivono nella fedeltà, nell’operosità, nell’onestà. Potremmo chiedere al Signore: Manda ancora, Signore, nella nostra comunità apostoli, profeti e donne e uomini giusti! Ma forse ce li manda già, sono già in mezzo a noi.
Il migrante oggi per noi è un profeta. E si sa che nessun è profeta in patria, perché non è affatto semplice accogliere un profeta: spesso dice cose scomode, difficili da accettare, non certo da capire, anzi è proprio perché uno le ha capite che non le accetta. Il migrante è un profeta perché la sua stessa presenza è scomoda.
Così come possiamo vedere nel giusto del vangelo il profugo che cerca giustizia. E il giusto sta lì a ricordarci che la terra non è nostra, è di Dio. Il giusto ci rimprovera le nostre mediocrità, ci rammenta che c’è una giustizia davanti a Dio… e i diritti umani non possiamo svenderli per demagogia.
Non potevamo ascoltare oggi pagina più adatta al momento storico che stiamo vivendo. Lasciamo che il sale della parola di Gesù bruci sulle ferite aperte della nostra umanità e ci scuota dall’indifferenza. Forse non riusciremo a cambiare il mondo, anche se ci impegniamo per questo nella speranza che le cose possano cambiare, ma non dimentichiamoci del bicchiere d’acqua. Molte volte è proprio la cosa semplice che ci risulta la più difficile: ormai poco ci manca che si facciano delle leggi anche per dare un bicchiere d’acqua! Eppure e credo che lo abbiamo sperimentato anche noi, l’accoglienza e l’ospitalità, come anche il semplice aver dato un bicchiere d’acqua fresca, non passano mai senza lasciare una traccia di vita e possono dare un corso diverso delle cose.