VIII DOPO PENTECOSTE - Mt 4, 18-22
In questa tappa della storia biblica, che la chiamata del profeta Samuele ci ha presentato, riconosciamo un passaggio che riguarda anche la nostra storia, quella di ciascuno di noi, non solo dei preti o delle suore. Infatti tutti noi riceviamo una prima chiamata che è quella all’esistenza, la prima chiamata è alla vita.
Ma è anche vero che poi arriva il momento in cui diamo alla nostra vita una forma precisa, decidiamo di dare alla nostra esistenza una configurazione che ci identifica, è il momento della vocazione. Non si tratta di un istante, di un solo momento, ma di un processo, di un percorso graduale per giungere a capire il nostro posto nel mondo.
È il momento in cui dobbiamo rispondere alla domanda: io cosa sto a fare al mondo? Qual è la mia missione? Qual è il mio contributo all’umanità? Domanda che oggi forse risuona quanto mai inattuale perché per lo più prevale l’atteggiamento di prelevare dalla vita quello che ci serve, quello che ci piace, quello che ci interessa.
Proviamo a domandare a una qualsiasi persona come vede il suo futuro e ascolteremo una risposta che assume come criterio la soddisfazione di sé, la propria riuscita, il proprio successo… a prescindere da quello che la storia gli chiede, a prescindere da quello che l’umanità sta vivendo. È un’ingenuità questa che poi si finisce per pagare caramente, allorquando ci si renderà conto che non siamo delle monadi, ma che siamo una grande famiglia umana interdipendente, dove la vocazione di ciascuno è responsabilità di futuro per il mondo.
Le tre letture ci presentano la figura di Samuele appunto, quella di Paolo, e poi le due coppie di fratelli Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti personaggi che a loro modo hanno compiuto questo passaggio. Certo avremmo gradito leggere anche di qualche figura femminile, che pure sono presenti nella Scrittura, ma dobbiamo riconoscere che fatichiamo a liberarci da un maschilismo profondamente radicato.
Nelle domeniche precedenti abbiamo ascoltato di Noè, di Abramo, di Mosè… ovvero di persone che ad un certo punto hanno dato una svolta alle loro vite, o potremmo anche dire che hanno portato la loro vita a piena fioritura, a piena maturazione nel momento in cui hanno smesso di guardarsi l’ombelico e si sono posti in ascolto profondo.
Il senso di tutte le chiamate presentate dalla Bibbia, da Abramo a Paolo, è questo ed è uno solo: Dio prende l’iniziativa, Dio ti chiama fuori da te stesso, ed è lui a prendere l’iniziativa, è lui il primo che comincia. L’uomo risponde. Dio è il principio, il fondamento e senza questa visione teologica della vita nulla ha senso nella nostra esistenza.
È un pensiero fondamentale per la filosofia cristiana dell’esistenza umana, che anche noi facilmente dimentichiamo nel momento in cui riduciamo Dio a sostegno, a coronamento, come colui che arriva dopo che noi abbiamo fatto tutto… quando in realtà è lui il vero protagonista che prende l’iniziativa. Così succede per le due coppie di fratelli sul lago di Galilea, così succede per Paolo sulla via per Damasco, così sperimenta il giovane Samuele: è Dio che chiama.
E lo fa all’inizio della giovinezza quando come Samuele si tratta di dare un orientamento alla propria vita, ma Dio chiama anche quando uno come Saulo, o come Pietro e Giovanni, pensa di essersi sistemato, di essere a posto. Dio chiama a tutte le ore dell’orologio della vita.
Detto questo ci chiediamo: sì, va bene, ma come succede? Come ascolto Dio che chiama? Samuele ha sentito la chiamata di notte, Paolo è stato folgorato da una luce, Pietro ha udito la voce di Gesù…
Quello che emerge dai racconti biblici di tutte le chiamate, è che queste non hanno nulla di magico, né di esoterico. Avvengono sempre in un contesto storico preciso e sempre con le persone che uno ha intorno.
La chiamata di Samuele non avviene in una condizione di vuoto storico, sulle nuvole, ma con delle persone ben precise. Sua madre, il padre e il sacerdote Eli. Tre personaggi che tra l’altro non sono nemmeno santi.
La madre Anna ha sposato un uomo poligamo, che si porta appresso pure un’altra donna. Infatti Anna era frustrata perché sterile e non poteva reggere il confronto con l’altra, la rivale. Era dunque una donna sofferente, che subiva continue umiliazioni… però nonostante tutto Anna è molto credente e, tra le lacrime, prega tantissimo, al punto che non ha nemmeno più la forza di dare voce alle sue preghiere. Quando il sacerdote Eli la vede al tempio pregare così, muovendo solo le labbra senza sentire il suono della voce, la sgrida perché pensa che sia ubriaca e la rimprovera!
Poi si parla del padre come di una persona semplice, religioso ma un poco grezzo, gli manca la sensibilità necessaria per comprendere il dramma della moglie e quando la vede piangere le pone le domande più ovvie e sciocche…
Infine a fianco di Samuele incontriamo il sacerdote Eli, uomo del culto, della tradizione e dell’osservanza, è uno di quei preti preoccupato soprattutto del buon ordine del tempio, ma incapace di comprendere il dramma interiore delle persone così che quando vede Anna pregare e piangere anziché avvicinarla, la rimprovera. È una persona onesta, anche se fa fatica a capire cosa stia succedendo nella notte di Samuele perché evidentemente non ha mai fatto esperienza personale di Dio, tuttavia è una persona di cui Dio si serve per arrivare al cuore del ragazzo.
Come possiamo ben capire Dio chiama anche attraverso persone, strutture non sempre disponibili all’ascolto dello Spirito. Però un vescovo, un prete, una religiosa o un monaco non necessariamente santi, possono tuttavia essere strumenti di Dio, anzi proprio la loro debolezza serve a spostare l’attenzione su chi davvero conta, sull’unico che importa.
Infine, insieme ai personaggi, abbiamo alcune circostanze significative in cui avviene la vocazione di Samuele.
La prima ci viene resa nota con un’espressione che fin dal primo versetto descrive il contesto storico: La parola del Signore era rara in quei giorni (v.1). Ci sono stagioni della storia in cui c’è poca familiarità con la parola di Dio, ci sono dei tempi in cui manca l’ascolto, in cui si è più preoccupati di fare, di realizzare… e la mancanza di familiarità con la parola di Dio crea una situazione dolorosa, come è accaduto anche nella storia della chiesa.
Una seconda circostanza è data dal fatto che Samuele riceve la chiamata durante il sonno, di notte. Samuele non è in preghiera, anzi con una certa finezza al v.7 si dice Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore. Cosa strana perché vive nel tempio, è lì a fare il chierichetto, ma non sembra pregare granché, anche se ha un bello spirito di prontezza e di servizio nei confronti di Eli: per tre volte si alza di notte pensando che l’anziano sacerdote abbia bisogno di lui! Che Samuele ascolti la parola di Dio nel sonno sta a sottolineare appunto che è Dio a prendere l’iniziativa, anche quando come nel sonno, abbassiamo le nostre difese, le nostre resistenze razionali e logiche.
Fino al punto, come accade a Samuele, che fa dire: Parla Signore perché il tuo servo ti ascolta (v.9). Dio è colui che parla e l’uomo è anzitutto ascolto. Qui è condensata l’antropologia biblica: l’uomo realizza se stesso nell’ascolto della parola di Dio. Ed è così che Samuele passa da una esistenza buona, servizievole, in cui non faceva nulla di male, a una vita piena, profetica.
Tutto questo avviene con una certa gradualità, ecco la terza circostanza. Per tre volte il sacerdote Eli non comprende cosa stia accadendo e solo gradualmente si rende conto del mistero.
In realtà anche per noi il capire cosa fare della nostra vita conosce un percorso non lineare, ma graduale. Non sempre siamo di fronte a una folgorazione o a un’illuminazione improvvisa come può essere stato per Paolo o per i discepoli sulle rive del lago. Anzi, normalmente uno comprende cosa fare della propria vita attraverso passaggi successivi nei quali si chiarisce sempre meglio la volontà di Dio.
È in questo modo che Saulo di Tarso passa da una vita oppositiva a Gesù, al punto da perseguitare i suoi discepoli, a una vita piena di vangelo.
Ed è sempre in questo modo, ascoltando la parola di Gesù, che Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, passano da una vita buona, dignitosa, onesta, a una vita spesa per il vangelo.
Probabilmente se Pietro e Andrea non avessero ascoltato Gesù sarebbero andati avanti a fare i pescatori, a pensare ai loro affari, e così Samuele se non si fosse aperto all’ascolto, sarebbe diventato un buon ministro del tempio. Ma niente di più.
Se vogliamo realizzare in pienezza la vita dobbiamo ascoltare lui che ci dice: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini?
Domandiamoci sinceramente chi seguiamo nella nostra vita, chi condiziona le nostre scelte, quali sono i leader cui affidiamo i nostri sogni, a quali interessi obbediamo…
La parola di Dio ci insegna che non ci sono circostanze ideali, tempi favorevoli, ma lì nel contesto in cui viviamo e con le persone che abbiamo intorno, con tutti i loro limiti, possiamo deciderci di camminare dietro a lui, di interessarci di lui, di dare importanza a quello cui lui ha dato importanza, di guardare le persone come lui le ha guardate, di amare la gente come lui l’ha amata, di confidare nel Padre come lui vi ha confidato.
Allora anche le nostre vite saranno estroverse, proiettate sul mondo, sugli altri, sul bene comune e non solo sull’immagine di noi stessi, del nostro io, schiavi del nostro narcisismo. Così alcuni diventeranno pescatori di uomini, altri saranno pastori che cercano la pecora smarrita, e altri ancora contadini che gettano il seme della Parola, ma ci saranno anche carpentieri che costruiscono su solidi fondamenti…
(1Sam 3, 1-20; Ef 3,1-12; Mt 4, 18-20)