I DI AVVENTO - Mt 24, 37-44


(Is 2, 1-5; Mt 24, 37-44)

Anche se al salmo 121 abbiamo acclamato: Andiamo con gioia incontro al Signore, ascoltando le parole del vangelo probabilmente la gioia ha lasciato il posto alla paura. Forse che Gesù dicendo: vegliate perché nell’ora che non immaginate … voglia fare del terrorismo psicologico?  Certo è che questo genere letterario apocalittico, un po’ particolare, non ci appartiene più, non è facile per noi.

Dobbiamo però anche evitare una deriva semplicistica riducendo le parole di Gesù dei capp. 24-25 di Matteo ad un semplice invito alla vigilanza, un invito un po’ moralistico … sappiamo di riuscire ad osservare per poco tempo un simile proposito, perché veniamo ben presto fagocitati dal turbinio delle cose e dei problemi della vita di ogni giorno.

Penso che tutti noi abbiamo fatto una qualche esperienza di vigilanza: abbiamo vigilato una persona cara nella malattia, abbiamo fatto qualche notte per terminare un lavoro urgente, abbiamo vegliato in attesa del ritorno di un figlio …  Abbiamo vissuto situazioni in cui mentre la natura delle cose esigeva il diritto al riposo, l’urgenza del momento ci chiedeva di essere vigili, ben svegli, attenti. Ma appunto, si tratta di una condizione straordinaria. È questa la vigilanza evangelica che ci domanda Gesù? Se rimaniamo nell’ambito delle nostre esperienze, la vigilanza così intesa può essere lo sforzo di una volta, di un certo momento … salvo poi ritornare alla normalità.

Credo che ci possa essere di grande aiuto nel comprendere le parole del Signore, leggerle nella prospettiva della visione di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Infatti senza una “visione”, senza una consapevolezza del dove stiamo andando, dell’orizzonte di senso, a ben poco servirebbe l’invito a vigilare.

Se fosse possibile leggere i titoli dei giornali degli anni in cui a Gerusalemme entra in scena il ventenne Isaia, e sono i primi di un periodo che si estenderà per quarant’anni, non sarebbero molto diversi dai nostri. All’orizzonte si profila un conflitto tra le due grandi superpotenze del tempo, l’impero assiro e quello egizio, che coinvolgerà i piccoli regni di Giuda e di Israele. Ma ciò che denuncia il profeta è soprattutto la situazione sociale e religiosa, perché Isaia constata il ripetersi di numerose ingiustizie, la corruzione dei poteri forti, la cupidigia dei latifondisti, una forte oppressione fiscale e … si pretende di mascherare tutto ciò con una falsa religiosità fatta di abbondanti pratiche religiose. D’altra parte il lusso e il benessere hanno provocato l’orgoglio di certi settori del popolo, per cui, ricorrendo ad un’immagine forte, Gerusalemme ha cessato di essere la sposa fedele ed è diventata una prostituta, è la vigna curata da Dio, ma che ha prodotto solo frutti amari.

In questo contesto Isaia annuncia una sua visione delle cose: alla fine dei giorni … succederà qualcosa.  Ciò che la gente, il popolo, i potenti, non hanno più e che i suoi contemporanei e noi insieme a loro, rischiamo di dimenticare è che la storia ha una direzione, la storia è un cammino verso il futuro.

Isaia con un linguaggio ricco di simboli e di significati, attraverso la metafora del monte Sion, dice anche che il futuro è in salita, perché sul monte Sion a Gerusalemme si sale sempre, quindi il futuro è in salita, faticoso e impegnativo.

Non solo, ma va verso l’alto, verso il monte “del tempio del Signore”, quindi non è un cammino fine a se stesso, ma va verso l’incontro col Signore, con l’Eterno.

Qui Isaia anticipa il Vaticano II: a noi che ogni giorno sottolineiamo ciò che ci divide, la parola di Dio annuncia che tutta l’umanità cammina, in un modo che è noto solo a Dio, verso il Signore. Il Concilio dice che se Cristo è morto per tutti … allora lo Spirito santo darà a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce col mistero pasquale (GS 22).

Ma già Isaia vede la storia come fiumi di umanità che salgono verso Gerusalemme. Come fa Isaia ad affermare questo? Perché da Sion uscirà la legge, da Gerusalemme la parola del Signore. Intorno al monte si avverte un duplice movimento: quello ascendente dei popoli e delle civiltà che salgono, e qui possiamo leggere il primo movimento della storia umana che avanza, cammina nei tornanti della storia, a volte progredendo a volte regredendo, con tutte le sue contraddizioni.

Ma c’è anche un movimento discendente, che è proprio della parola del Signore che scende da Gerusalemme come acqua che irriga e irrora i sentieri che incontra e li rende fecondi.

Questa visione delle cose ci aiuta a dare alla vigilanza il suo significato profondo. Saper vedere la fecondità della parola di Dio nella storia è il compito del profeta, di colui non che annuncia sventure e castighi, ma di colui che sa intravvedere nel tessuto intricato e contraddittorio degli eventi, la fedeltà dell’Eterno.

Saper vedere la fecondità della parola di Dio che ancora oggi irrora i sentieri dell’umanità non è un atto spontaneo, immediato. Esige un’intelligenza critica, per cui vigilare non è uno sforzo della volontà per tenerci svegli a forza, ma avere una visione della storia e del suo futuro.

Quando Gesù descrive la generazione di Noè, in fondo dice che non sembrava fare nulla di male, perché mangiare e bere, sposarsi e maritarsi sono tutte azioni assolutamente ordinarie e per nulla reprensibili, semplicemente dice era una generazione incosciente: non si accorsero di nulla. Quella generazione così perì due volte: nel diluvio e senza sapere il perché.

Noè invece seppe discernere e così salvò se stesso e il futuro: il discernimento dell’oggi salva il futuro.

Ecco vigilare chiede a noi di esercitare l’intelligenza, la riflessione e il pensiero sui tempi che si viviamo per salvare il futuro, per non essere sorpresi dalle catastrofi che si preparano nascostamente nell’oggi della storia, della chiesa, delle relazioni famigliari e personali.

È quanto fece un profeta del nostro tempo, Giorgio La Pira, che proprio a partire da questo passo di Isaia, seppe intravvedere la possibilità di futuro della nostra società solo nell’ostinazione del dialogo, nel disarmo, perché anche la guerra locale, diceva, non risolve, ma aggrava i problemi umani … Solo l’azione capace di elevare culturalmente, economicamente, socialmente tutti i popoli è lo strumento che la Provvidenza pone nelle mani degli uomini per costruire una civiltà con un futuro.

Teniamo viva la lampada del Vangelo in questo nostro tempo, perché alla fine della nostra vita il Signore non ci chiederà quanto denaro abbiamo messo sul conto corrente, non ci domanderà se abbiamo difeso la retorica dei valori …, ma se avremo trasformato gli investimenti per le armi e le guerre in scuole, in ospedali; se avremo vinto la paura con il dialogo. Ci domanderà se all’affamato, al malato, al prigioniero abbiamo dato amore.  Se abbiamo camminato vigilanti sul sentiero di Isaia tenendo vivo, in un mondo difficile, ciò che veramente conta.