VI DI PASQUA - Gv 16, 12-22


(At 21, 40-22,22; Gv 16, 12-22)

Non possiamo comprendere l’intensità delle parole del Cristo e dello sconcerto che queste suscitano nei discepoli se non ci sediamo anche noi nel Cenacolo, se non diventiamo contemporanei, come diceva Kierkegaard, di quel giovedì santo sera. Il momento è davvero drammatico per Gesù che è consapevole di dove sta andando a sbattere, diremmo noi, ovvero contro il muro della supponenza e dell’arroganza che diventano ben presto ingiustizia e morte. Ma il momento è drammatico anche per i discepoli che hanno lasciato tutto per stare dietro a lui e vedono per se stessi un futuro improbabile.

Da questo punto di vista non siamo poi così lontani dal vissuto dei discepoli che a metà della pagina di oggi riconoscono molto umilmente: Non comprendiamo quello che vuol dire. Davvero ci sono momenti della nostra vita in cui non comprendiamo. Situazioni, reazioni delle persone intorno a noi, quando le negatività si inanellano una via l’altra e ci sembra che il mondo ce l’abbia con noi… quando il futuro ci appare incerto… insomma, non voglio qui elencare tutte le dure condizioni che sperimentiamo nella vita, ma il dato di fatto è che di frequente non comprendiamo quello che sta accadendo.

L’attenzione del Signore in tutti i discorsi dell’ultima cena è proprio quella di lavorare nei discepoli il significato della sua partenza, cioè della sua morte. E loro pensano che la croce sia un fallimento, come tutti noi lo pensiamo… eppure Gesù non afferma mai: io muoio, ma dice sempre: Io ritorno al Padre. Il suo andarsene sulla croce anche per noi è fondamentale, è duro da accettare, ma la sua assenza è uno strappo che rivela anche chi siamo noi, chi siamo chiamati a diventare, questo stacco è come le doglie del parto che fanno nascere l’uomo nuovo.

Mi sembra essere questo il senso delle parole del Signore che nel brano di oggi sono ripetute tre volte: Un poco e non mi vedrete e un poco ancora e mi vedrete. Non dimentichiamo che siamo nella sera tardi del giovedì quando Gesù dice: Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete.

Certo che adesso lo vedono: lo vedono nell’agonia nel giardino, lo vedono legato come un delinquente, lo vedono condotto dal tribunale religioso e poi a quello militare. Gran bel vedere! Però questo tempo è poco, sono poche le ore in cui lo vedono così e poi per un po’ di tempo non lo vedono più. E questo sarà il tempo in cui è nel sepolcro. Sono quindi quei due tempi, quei due giorni che precedono il terzo giorno che è quello della gioia senza fine. Quindi ci sono questi due brevi tempi che i discepoli devono affrontare e sono quei brevi tempi che tutti dobbiamo affrontare nella vita, il tempo del silenzio di Dio che accomuna ogni uomo, credente o non credente, il tempo della prova, dell’oscurità.

Ma poi c’è un terzo tempo: un poco ancora e mi vedrete (v.17b), che è il tempo della risurrezione, in cui come abbiamo ascoltato nei racconti di pasqua le donne vedono il sepolcro vuoto, i discepoli corrono e vedono, Maria di Magdala vede Gesù quando la chiama per nome… Ecco quello è il giorno senza fine che avviene quando comprendiamo il significato del suo andarsene, mediante il dono dello Spirito. Praticamente la vita cristiana è entrare nel mistero del venerdì e del sabato santo. Quando sei entrato e l’hai capito, sei già al mattino di Pasqua.

Questo non è forse tutto il tempo della nostra esistenza? Tutta la nostra vita è innervata dal mistero del venerdì e del sabato, così come anche tutta la storia umana. Siamo nel venerdì santo sempre e nel sabato in attesa che venga il mattino di Pasqua, la luce senza tramonto.

Ai discepoli che si sentono tristi e scoraggiati per l’assenza del loro Maestro, Gesù ricorda che questo tempo è un tempo breve perché anche se uno non ci crede, è breve come la vita umana che è un soffio che passa, è breve come la storia del mondo che è uno scenario che presto scompare.

A questo punto possiamo comprendere le prime parole di Gesù che potevano sembrarci un poco esoteriche: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lo spirito della verità, vi guiderà alla tutta la verità. Qui Gesù ci mette di fronte a una cosa che riscontriamo vera anche per noi, quando diciamo che la nostra vita spirituale è un cammino di fede… Addirittura Paolo nella prima lettura racconta di essere stato un persecutore a morte di questa via! Non apparteniamo a una religione, a una setta, a una dottrina, ma viviamo il dinamismo della sequela di Gesù camminando dietro a lui! Se l’esperienza del discepolo è l’esperienza di chi sta dietro al Signore, significa che è sempre in cammino… se solo ripensiamo alla nostra esperienza riconosciamo che c’è una gradualità anche nella nostra vita di fede. Ci sono cose di cui in alcuni momenti della vita non riusciamo appunto a portare il peso, per poi riscoprirle a distanza di anni…

Pensate come cambierebbe il nostro rapporto di fede con le nuove generazioni se tenessimo viva questa dimensione dinamica della sequela di Gesù. Forse per tanto tempo abbiamo preferito la fede come trasmissione di un pacchetto di verità cui aderire, come un blocco congelato di cose in cui credere. Ma se non dimentichiamo l’esperienza dei discepoli ci rendiamo conto che il Signore ha avuto tutta la pazienza e la sapienza di accompagnarli senza pretendere che comprendessero tutto fin dall’inizio!

Certo questo cammino, questa via ha una direzione: dove conduce? Alla verità, dentro tutta la verità. Nel testo greco, e non è un particolare da poco, non c’è il complemento di moto a luogo, come a dire verso la verità, bensì il complemento di stato in luogo dentro la verità. Questo vuol dire che lo Spirito non ci porta a “possedere” Dio, la verità, ma a dimorare nella verità, a stare in relazione con lui, perché la verità non è un’idea, un principio, un’astrazione, ma la verità è Cristo: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). E “tutta la verità, la verità tutta intera” è tutto il mistero di Gesù, tutta la sua vita ed è verso questo senso di totalità che lo Spirito ci sospinge.

Così noi viviamo la nostra fede mettendo l’accento ora su un aspetto della vita di Gesù, ora sulla passione, poi sulle parabole, o magari un miracolo, ognuno ha le sue devozioni … Quello che il Signore ci dice nella Pasqua è che non dobbiamo smarrire il cammino verso il Cristo totale, verso il Cristo completo, verso tutta la vita di Gesù, verso tutto il dono di Dio.

Nella storia concreta dei modi in cui la via cristiana si è realizzata, cioè nella storia della Chiesa, sono sorti movimenti, congregazioni, istituti, gruppi … dove ognuno metteva e mette l’accento su un aspetto particolare del mistero di Gesù. Quell’aspetto che in quel determinato momento storico era necessario mettere in evidenza e valorizzare. Oggi invochiamo il dono dello Spirito per camminare verso il Cristo totale.