Venerdì della Settimana autentica - Mt 27, 57-61


audio 7 apr 2023

Osserviamo questa sera i movimenti delle persone coinvolte nel dramma della croce. Impariamo a riconoscere i movimenti esteriori e quelli più profondi, quelli intimi.

22,54: lo condussero dal sommo sacerdote

22,66: lo condussero davanti al sinedrio

23,1: lo condussero da Pilato

23,6: lo rinviò a Erode

23,11: lo rimandò a Pilato

23,25: consegnò Gesù al loro volere.

 

C’è un gran movimento corale nei confronti di Gesù… e lui appare del tutto immobile, fermo. Non è mai preoccupato per sé, mai. Quando parla le sue parole sono sempre parole profetiche che fanno riflettere e provocano.

Pietro: segue Gesù da lontano, per tre volte viene inchiodato come uno di loro… per tre volte nega.

Il movimento interiore è attivato dallo sguardo di Gesù che trasforma il peccato in pentimento, il peccatore in un uomo che piange.

Pilato: l’atteggiamento di Pilato è un tratto importante del racconto, ma funzionale a un tema che Luca considera ancora più importante, vale a dire Gesù è rifiutato dal suo popolo.

Il movimento interiore è il rifugio nell’ironia del baratto tra Barabba e Gesù.

Alle donne che lo accompagnano al luogo dell’esecuzione, Gesù risponde con le parole del profeta Geremia (9,19), di Osea (10,8): se lui il giusto, l’albero verde, viene trattato così, che ne sarà del popolo colpevole, albero secco?

Per i suoi aguzzini invoca il perdono dal Padre (non è lui a perdonare) e li scusa anche: non sanno quello che fanno.

Il popolo, i capi e i soldati: lo deridono e lo sfidano, in realtà per tre volte lo tentano affinché scenda dalla croce. Comunque lo sguardo è sempre rivolto a lui, a questo spettacolo (theoria)…

Al secondo delinquente/terrorista assicura una vita di comunione con lui, nel giardino!

Uno che non è andato a scuola da Gesù, riceve parole di vita dall’inferno: la croce era davvero un inferno che durava anche dodici ore di agonia (febbre, sete, soffocamento, setticemia…).

Le tre croci dicono come Gesù non sia andato solo nel suo inferno, ma nel nostro inferno!

Uno sì e l’altro no? È così. Non possiamo dire di più. Certo è che possiamo comprendere questo paradiso/giardino con Ctc 4,13: Giardino chiuso tu sei, mia amata! Il giardino non è dunque un luogo, ma una relazione d’amore.

Gesù muore, muore pregando con le parole del salmo 31,6: Alle tue mani affido il mio spirito. È la preghiera di un povero abbandonato che si affida unicamente al Padre.

Quello che accade il buio e il velo del tempio indicano anzitutto che questo è il giorno del giudizio (tenebre a mezzogiorno) e che il velo che nascondeva l’accesso alla presenza di Dio nel tempio, viene lacerato dalla croce: guarda la croce e vedi Dio. La croce è albero di vita.

Chi riconosce qualcosa di questo mistero è un pagano, il centurione, capo degli aguzzini che hanno eseguito la condanna. Davanti al mistero del Cristo crocifisso, spettacolo pubblico Luca pone le reazioni che fin dalla nascita hanno accompagnato la vicenda di Gesù: non a caso le azioni della deposizione nel sepolcro ad opera di Giuseppe d’ Arimatea rimandano a quelli di Betlemme: lo depose dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo mise in un sepolcro…

Siamo davanti a una nuova nascita.

Noi non siamo capaci di capire la passione di Gesù: essa non ci parla se non attraverso una grazia di Dio. Che il Signore ci doni il giusto senso della croce.

Sono due le domande che pongo a me stesso e a voi: perché Gesù doveva morire e perché doveva morire in quel modo?

Perché Gesù doveva morire?

Liberiamoci dalle vecchie interpretazioni che volevano convincerci della nostra colpa per i dolori e la morte di Gesù.

Davvero la croce è un sacrificio voluto da Dio? non è un’idea folle quella costruita da una certa teologia? è come dire: Adamo col suo peccato ha creato un debito, quindi c’è bisogno che qualcuno paghi il debito, e non può che essere Gesù. Ma siamo matti? Questa idea presuppone un concetto di Dio contabile, irritato dal nostro peccato e che può essere placato solo dal sacrificio del figlio, perché i conti devono tornare…

Gesù è morto in quanto vero uomo. Dio, per chi ci crede, si è incarnato in Gesù e in quanto uomo muore. Non si è incarnato per morire. Siccome si è incarnato muore, ma non si è incarnato per morire.

Quale padre vorrebbe essere placato dal sacrificio del figlio? Questo padre non sarebbe un padre, sarebbe piuttosto un padrino! Non a caso la mafia usa questi termini, perché si tratta di legami di debito e di paura…

Un vero padre cosa vuole? Vuole il bene del figlio, non la morte del figlio!

Gesù lo ha capito e ha vissuto questo rapporto col Padre e non con il contabile. È impressionante, è una rivoluzione… perché è anche vero che noi vogliamo pagare, a noi piace tantissimo pagare. Dimmi quanto ti devo… ed è finita lì.

Dio dice: io non voglio sacrifici (già lo diceva Osea), voglio l’amore. Ed è pazzesco. Perché noi diciamo: fammi pagare. E lui: no, amore voglio.

Gesù muore assumendo su di sé l’ingiustizia. Gesù condivide l’umiliazione e la fragilità degli esseri umani (Galati 3,13) diventando egli stesso umiliazione e maledizione.

Ma come può un maledetto liberarci dalla maledizione?

Isaia 53,5: per le sue piaghe siamo stati guariti. Normalmente chi ci guarisce è più forte e potente di noi.

La croce rovescia questo modo di pensare: Gesù ci guarisce non lanciando una corda dal cielo per tirarci su, ma scendendo lui!

Il Dio cristiano è un Dio umile che condivide il rifiuto, e proprio per questo ci salva. Imparate da me che sono mite e umile di cuore: il Dio cristiano salva scendendo nel male. La croce è un mistero di condivisione e di compassione.

In quelle braccia aperte c’è il desiderio di Dio di abbracciare il mondo intero, anche il cosmo (buio sulla terra), e c’è Cristo che abbraccia la nostra sofferenza.

Dio si fa accanto a ciascuno di noi, compatisce con noi.

La croce è la passione di Dio per l’umanità. Dio non ha trovato modo più chiaro per dirci fino a che punto ci ama, se non nel portare egli stesso la nostra sofferenza, il nostro dolore.

Ecco la seconda domanda: perché Gesù doveva morire in quel modo? Perché proprio la croce?

Che la croce sia un mistero di liberazione ce lo spiega il Vangelo di Giovanni, quando al cap.3 rilegge la croce in riferimento all’innalzamento del serpente di bronzo nel deserto: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (3,14-15).

Secondo Numeri 21,4-9 gli ebrei nel cammino verso la terra promessa, dovevano evitare il territorio di Edom, una sorta di ritirata, un allungamento del viaggio per aggirare il territorio nemico…. Ma il popolo non sopportò il viaggio, non sopportò questa delusione e si ribellò con Mosè: perché ci hai fatto uscire dall’Egitto per farci morire nel deserto?

Allora il Signore mandò tra il popolo serpenti brucianti… Il morso del serpente uccide. Questa epidemia dilaga. Dobbiamo coglierne il valore teologico. Nel deserto il popolo di Dio è malato: si è infettato in forma epidemica. Un morso avvelena. È avvelenato il cuore, è il morso della delusione che avvelena il cuore e si muore.

Per scampare dal morso dei “serpenti brucianti” Dio fa loro dono di un serpente di bronzo, dovevano guardare il serpente di bronzo collocato da Mosè sopra un’asta, così si può continuare a restare in vita.

Il popolo viveva la vicenda dei serpenti brucianti come castigo di Dio per i peccati… ora bastava che chiunque morso da un serpente guardasse il serpente di bronzo, per restare in vita.

Ora un serpente di rame infilzato in un’asta, è un serpente trafitto. Il serpenti ti morde? Il serpente è trafitto: quel veleno, quel male che ti inquina, ti deprime, è inchiodato da Dio. Proprio quel male che ti avvelena è trasformato da Dio in segno di salvezza.

Sulla croce è trafitto il male che Gesù ha portato su di sé, il male del mondo, del cosmo, della storia.

Questo fa Dio: non castiga, non punisce, non umilia, ma si umilia, patisce su di sé, si lascia trafiggere e in quelle braccia spalancate è il desiderio di Dio che nulla vada perduto, niente, affinché entriamo in piena comunione con lui.

Nella croce, Dio scende nella nostra realtà, condivide e compatisce con noi. La croce come immagine più eloquente dell’amore di Dio: Dio non ha trovato modo più chiaro per dirci quanto ci ami.

  • Poniamo come Pietro sotto lo sguardo di Gesù, perché ci doni il pentimento.
  • Oppure come le donne disperate, accogliamo le parole profetiche per guardare oltre.
  • O ancora come il delinquente che accoglie il perdono, oggi.