III DI AVVENTO - Mt 11, 2-15
Tutti noi aspettiamo un futuro migliore, un domani più decente del nostro oggi. Siamo mendicanti di speranza, anzi di speranze: abbiamo bisogno, come dice con immagini struggenti il salmo, di credere che un giorno giustizia e pace si baceranno, amore e verità si incontreranno.
Di fronte a parole così audaci c’è da chiedersi: ma sono speranze o illusioni? E qual è il confine tra le due? Sono illusioni le parole di Isaia che deve far i conti con la delusione dei deportati che tornano da Babilonia e che han dovuto misurarsi con la dura realtà? Quello che trovano a Sion, non è esattamente ciò che si aspettavano: le loro case sono abitate da altri, i loro terreni sono coltivati da altri… addirittura c’è qualche altra religione e qualche altro tempio! La realtà è una smentita alle promesse del ritorno e non so cosa potesse fare Isaia, certo che far esultare il deserto, dire che un giorno la steppa fiorirà, così da convincere il popolo a cantare… più che un profeta parrebbe un imbonitore, un venditore di illusioni.
È come se noi andassimo in una città ucraina oggi a dire alla gente di cantare, come se salissimo su una barca di migranti nel Mediterraneo per dire che il mare sarà un’autostrada che li porta alla terra del benessere…
E la questione riguarda tutti noi cristiani: siamo mendicanti di speranza o venditori di illusioni? La domanda si fa ancora più radicale: la religione è un’illusione come dice un classico sull’argomento scritto da Freud nel 1927, intitolato appunto L’avvenire di un’illusione?
Che potremmo leggere come la fine di un’illusione, perché ciò che Freud intende dire è che con l’avanzare della scienza, con le conoscenze che ci permettono di comprendere i fenomeni naturali e le dinamiche psichiche dell’animo umano… l’illusione della religione finirà.
In quest’opera egli sostiene che l’atteggiamento religioso è un derivato dei desideri umani per permetterci di andare avanti. Dovendo l’uomo misurarsi con le forze della natura a volte ostili e incontrollabili, dovendo fare i conti con la crudeltà del destino umano che si manifesta soprattutto con la morte… l’uomo si è creato una protezione dall’alto, che appunto è un’illusione, così radicata da incidere profondamente nella realtà psicologica delle persone.
Una ragazza di condizione modesta può, per esempio, crearsi l’illusione che un principe verrà a cercarla per sposarla. Questo è possibile, qualche volta può anche essere accaduto. Così l’illusione religiosa non è necessariamente un errore o in contraddizione con la realtà, anzi ha dato un contributo rilevante nelle civiltà ad arginare gli istinti individuali, ma è pur sempre un’illusione.
Saremmo di fronte comunque a una fase dell’evoluzione umana paragonabile all’adolescenza, perché oggi tanti fenomeni, a cominciare dai tuoni e dai fulmini fino alle patologie psichiche sono spiegati senza dover ricorrere alla religione, a un dio protettore… ma grazie alle scienze, la scienza naturale come quella psicanalitica e via di questo passo.
Freud arriva al punto di affermare che si potrebbe prevedere il fatale abbandono della religione da parte dell’essere umano come frutto di un processo di crescita.
Molte persone che magari conosciamo la pensano allo stesso modo, talvolta forse il dubbio si è insinuato anche in noi, perché la nostra intelligenza di fronte alle letture di oggi, alle parole dei profeti, alle parole dei salmi si domanda appunto: il credere in una promessa di Dio è forse un’illusione per rendere alla gente più tollerabile la vita umana?
C’è un dio (con la minuscola) che può anche essere effettivamente creato da desideri e paure umane, e questo è accaduto e accade in tutte le religioni, compresa quella cristiana ed è un fantoccio che si è prestato a diverse manipolazioni. Ma il Dio della rivelazione biblica è altro, è diverso dalle proiezioni della psiche.
Le esperienze di Dio fatte dagli uomini e dalle donne della Bibbia sono molto diverse da quelle dettate dal desiderio o dalla paura o dal mistero insondabile che ci circonda. Proviamo a pensare alle storie di Abramo e di Sarah, di Isaia e di Geremia, di Rut, di Maria di Nazaret e di molti e molte altre: il loro rapporto con Dio non è dettato da desideri o da paure o dalla volontà di dare un nome al mistero del mondo e della vita. Anzi, Dio irrompe nella loro vita, talvolta la sconvolge, sempre la cambia in direzioni inedite e ignote.
Se possiamo riconoscere che un certo modo patologico di vivere l’esperienza religiosa può rilevare infantilismo e alienazione, ciò non significa che la religione in quanto tale sia nevrosi. Dio può essere cercato come compensazione psicologica; però questo nulla toglie al fatto che Dio sia una realtà in sé e non un’illusione. Il Dio di cui parla la Bibbia è diverso da quello delle facili illusioni e consolazioni. Bisogna imparare a distinguere tra Dio e dio, perché sappiamo che questo termine può indicare realtà non solo tra loro diverse, ma anche opposte.
Nel corso di molti decenni Freud, che era ebreo, sostenne un animato dialogo con un amico il pastore Pfister di Zurigo che rispose con un suo testo che ribaltava il titolo e recita: L’illusione di un avvenire. Il pastore anzitutto riconosce che nonostante le sue ripetute professioni di irreligiosità, con il suo contributo alla conoscenza dell’animo umano Freud, che si proclamava ateo, fosse più vicino a Dio di molti uomini di chiesa. Altresì gli contesta però che anche quella di Freud potrebbe essere un’illusione, l’illusione che la razionalità e la scienza possano un giorno prevalere su tutto il resto, perché l’animo umano non si esaurisce nelle dimensioni della razionalità.
Quando il salmo canta le straordinarie parole: Amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno, non distribuisce illusioni, ma dice esattamente ciò per cui siamo fatti, portiamo in noi il sogno di Dio, il desiderio di Dio. Un desiderio e un sogno che in Gesù diventano concretezza e realtà, non evasione o illusione, ma relazione, ascolto, cura.
Il volto del Dio di Gesù è quello che cogliamo nelle parole affidate ai discepoli del Battista: Dio non è un padre tiranno figura ingombrante e ‘castrante’, ma è uno che si prende cura dell’umano. Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il Vangelo.
Gesù stesso non è venuto per farsi servire, non aveva bisogno di seguaci silenti e obbedienti, di predicatori di illusioni e di evasioni spiritualeggianti, ma di amici che proprio perché amati così, come lui facessero dell’amore il servizio alla vita, all’umanità.
È vero che alla base del bisogno religioso ci sono sempre e forse necessariamente spinte egocentriche, e come in ogni altra impresa umana, anche nella religione c’è di tutto: santità e deviazioni, servizio e dominio, sincerità e ipocrisia, superstizione e dogmatismo, settarismo e fanatismo… e purtroppo è anche vero che le religioni specialmente quando prendono il potere sono persino pericolose, minacciano la libertà.
Tutto questo però non deve indurci a pensare che una fede pura, sincera, libera e gratuita non sia possibile. Teniamo fisso lo sguardo su Gesù. A questo ci rimanda la testimonianza di un suo amico che per una fede così ha perso la testa e la vita, Giovanni Battista. Torniamo al Vangelo, lì incontriamo il volto di un Dio che non ha bisogno delle nostre illusioni, anzi ci rimanda alle nostre umane responsabilità.
(Is 35,1-10; Sal 84; Mt 11,2-15)