DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Lc 6, 43-48


(1Pt 2, 4-10; Lc 6,43-48)

Questa terza domenica di ottobre ha per la Chiesa ambrosiana un significato singolare perché celebriamo la festa della Dedicazione del nostro Duomo. Ma non è una festa che riguardi solo le pietre gloriose della Cattedrale, perché come ci ricordava la prima lettura è la festa delle pietre vive, cioè della chiesa fatta da quelle pietre vive che sono i battezzati. Infatti Pietro scrive ai laici: siete edificati sopra il Cristo come pietre vive per essere una casa spirituale, «un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo».

Pietro dice qui una cosa importantissima, tanto importante che venne ben presto dimenticata nel corso della storia, ed è il fatto che esiste per il battezzato un vero ed autentico sacerdozio, diverso dal sacerdozio ministeriale, che chiameremmo più precisamente «presbiterato». Da Gesù in poi non c’è più bisogno del sacerdote mediatore tra la divinità e l’uomo della strada come lo era nel Primo testamento, perché Cristo è l’unico mediatore e tutti coloro che sono battezzati in Cristo hanno questa funzione in rapporto al mondo. Nel senso che il battezzato se è un lavoratore è un sacerdote nel suo lavoro; se è madre o padre di famiglia è sacerdote davanti al suo sposo e alla sua sposa e ai suoi figli; se è nonno lo è dinanzi ai suoi nipoti… Il Concilio Vaticano II aveva cominciato a recuperare questa prospettiva, ma abbiamo ancora tanta strada da compiere, anche perché ancora oggi c’è la tentazione di un ritorno al clericalismo e di paura nell’affidare responsabilità ai battezzati… anche perché non si cercano pietre vive, ma si preferisce avere intorno pietre morte.

Il passo di Vangelo ci offre due immagini diverse: l’albero e la casa. Sono due immagini che concludono il cap.6. Un capitolo struggente, bellissimo: Gesù aveva iniziato con le beatitudini, poi con l’amore per nemici… per mettere al centro del suo discorso il v.36 che abbiamo visto come quello centrale di tutto il Vangelo di Luca e che dice: Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre e su questo Gesù fa seguire l’invito a fondare la misura del nostro giudicare. E Gesù conclude questo capitolo con la prima immagine, dicendo che il discepolo che vive così è come un albero che porta buoni frutti.

Dell’albero come immagine dell’uomo, ne parlava fin dall’inizio il libro dei salmi. Infatti proprio il primo salmo dice che l’uomo giusto è come un albero piantato lungo i corsi d’acqua che dà frutto a suo tempo, le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa riesce bene (v.3). Sarebbe interessante ripercorrere tutti i passi della Scrittura che ricorrono a questa metafora, anche perché tutta la Bibbia si snoda a partire dall’albero del giardino, l’albero cui è appesa la conoscenza del bene e del male per giungere all’albero della croce… Ma più semplicemente l’albero è simbolo dell’uomo perché l’albero prende la terra, l’acqua, la luce… gli elementi del cosmo e li trasforma in vita, che sono un po’ anche il lavoro dell’uomo.

Infatti anche l’essere umano affonda le radici nelle profondità della terra, nelle generazioni da cui proviene, dalla storia che ci ha preceduto e che si accresce di generazione in generazione… e da lì si slancia verso l’alto, cerca la luce, è in tensione verso l’orizzonte del cielo. È l’uomo che ha radici nelle profondità della terra, ma che vive volgendosi in alto, tendendo all’oltre. E, sempre come l’albero, anche l’essere umano attraversa le stagioni che sono, come diceva Guardini, le età della vita. La stagione della nascita che è la primavera, poi quella della maturità con i frutti, poi quella dell’invecchiamento…

Ma soprattutto, per dirla con Gesù, ed è questo che ci interessa, come l’albero anche la vita dell’uomo produce frutto, matura dei frutti… ma il frutto cui si riferisce Gesù non sono immediatamente le cose che possiamo fare, non sono le opere che realizziamo… anzi Gesù tiene a precisare al v.45 che l’uomo buono o cattivo che sia dalla sua bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

Quindi i frutti, i primi frutti sono le parole, quello che diciamo. L’opera principale che l’uomo fa non sono le opere, ma le parole. Tutti i nostri rapporti sono retti dalle parole. Gesù dice: ecco i frutti buoni, sono le parole piene di misericordia, di pazienza. Potremmo dire con Pietro: ecco il sacerdozio vero, quello che offre parole buone, di misericordia, di tenerezza.

Così come un albero di pere non si sforza a fare le pere, fa le pere perché è un albero di pere. Se il tesoro del mio cuore, proprio quel tesoro di cui parlavamo domenica scorsa, è pieno della misericordia di Dio, allora avrò parole e farò frutti di misericordia. Se invece il mio cuore è ingolfato di narcisismo, di gelosia, di invidia, di ambizione e di potere… le parole che escono dalla mia bocca saranno parole tristi. I frutti saranno quelli.

L’invito di Gesù non è tanto quello di sforzarci a fare il bene, la questione è sapere cosa abbiamo nel cuore… perché per assurdo io posso anche far vedere dei frutti belli, posso usare parole di circostanza, come sono belli i frutti finti di plastica, che all’apparenza colpiscono lo sguardo, ma non sono buoni a nulla, sono di ornamento, fanno scena ma non è vita.

E allora cosa devo fare? Curare ciò che ho nel cuore e riconoscere che io stesso ho bisogno di misericordia, ho bisogno che si innesti nell’albero della mia vita quell’albero della croce dove Cristo dà la vita per me. E allora proprio il luogo del mio male diventa il luogo dove io ricevo misericordia e faccio esperienza della grazia in modo che possa avere grazia verso gli altri. Così che le mie relazioni siano piene di frutti buoni!

È talmente importante questo aspetto che Gesù sembra rivolgere un appello struggente: Perché mi invocate: Signore, Signore, e non fate quello che dico? Che è come dire: non datevi da fare per portare la gente in chiesa, è più urgente che la Chiesa vada nel mondo come specchio della misericordia del Padre.

Qui si innesta la seconda immagine, quella della casa. Ed è significativo che per dire come deve essere la chiesa Gesù pensi alla casa. Osservando la gente che numerosa passa qui davanti, penso che tutte queste persone o stanno andando via da casa, o stanno tornando a casa… dipende dall’ora, ma tutta la nostra vita in fondo si snoda in questo movimento che è la ricerca delle relazioni, dei contatti, dei rapporti di cui la casa è metafora. Perché se sei senza dimora, senza casa, ti manca l’identità, ti mancano le relazioni, sei vagabondo… Gesù parla della sua comunità, della chiesa come la casa delle relazioni fondate sulla misericordia.

Una relazione che non è fondata sulla misericordia quanto dura? La prima incomprensione l’affoga, la prima incrinatura la cancella… «mi ha deluso, basta, chiudo»… quante volte l’abbiamo detto?! È solo nella misericordia che l’esistenza può portare frutto, che può durare la vita di coppia, che possono durare le relazioni, che «si fa casa»… Così la tua casa, le tue relazioni, la chiesa stessa non può essere travolta dalle piene che si scaricano, come lo wadi nel deserto dopo un temporale, con tutta la loro forza distruttiva, perché nella misericordia c’è sempre una speranza, c’è sempre un futuro possibile.

Allora chiediamo al Signore di essere tenaci come diceva il racconto dell’uomo che piantava alberi (Jean Giono), nel senso che, racconta Gesù in un’altra parabola, anche noi possiamo diventare come quel piccolo seme che una volta piantato «cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4,32). Così possa essere il nostro modo costruire la chiesa per non ridurci ad una setta di duri e puri, condannata al ripiegamento e alla difesa, ed essere piuttosto casa ospitale per il peccatore, casa accogliente per il diseredato e riparo per il forestiero… luogo dove si rivela la misericordia del Padre. Preghiamo insieme oggi nella speranza che un giorno la bellezza della chiesa ambrosiana brilli non solo per il marmo di Candoglia, ma soprattutto per la calda umanità delle sue pietre vive.