DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Mt 21, 10-17


(Bar 3, 24-28; Mt 21, 10-17)

Questa terza domenica di ottobre ha per la Chiesa ambrosiana un significato straordinario perché celebriamo la festa della Dedicazione del Duomo.

Da tempo immemorabile si celebra la festa della chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani: dobbiamo risalire addirittura al V secolo, allorquando nella terza domenica di ottobre era consuetudine passare dalla cattedrale estiva di s.Tecla (più ampia) a quella invernale di s. Maria Maggiore (più piccola), edifici che non esistono più, ma che sorgevano sull’area tra l’attuale Duomo, la sua piazza e la Galleria.

Sempre nella terza domenica di ottobre, s. Carlo, era il 20 ottobre 1577, consacrò il Duomo e si era solo a metà dei lavori: (iniziati intorno al 1386 si concluderanno con la facciata solo nel 1814) più di quattrocento anni per quella che i milanesi opportunamente chiamano la «fabbrica del Duomo»!

E per arrivare più vicini a noi, molti ricorderanno che il card. Martini, sempre nella terza domenica di ottobre, nel 1986 consacrò il nuovo altare del Duomo.

Nel celebrare questa festa, la parola del Vangelo ci invita a non fermare gli occhi su di noi, sulla nostra storia gloriosa, rappresentata dal Duomo che pure dobbiamo custodire.

Infatti il gesto di Gesù che abbiamo ascoltato da Matteo, è una provocazione molto forte anche per noi, affinché sappiamo stare sempre sotto il giudizio della parola del Signore. Mai la chiesa si auto comprende guardandosi allo specchio, ma rimanendo sotto la Parola, tiene viva la consapevolezza di essere relativa al Signore, come diremo nel prefazio della festa di oggi, che è un testo molto bello del V secolo: la chiesa è la vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci e, appoggiata all’albero della croce si innalza al tuo regno.

Che cosa ha voluto dire Gesù entrando nel tempio e ribaltando tavoli e sedie dei venditori e dei cambiavalute che pure erano regolarmente autorizzati? Troppo sbrigativamente viene liquidato come una sorta di purificazione del tempio, come se Gesù fosse intervenuto a purificare il culto dalla profanazione dovuta alle attività commerciali.

Spiegazione plausibile ad una prima lettura, che però non tiene conto del contesto che invece è molto importante e che non riduce il gesto di Gesù in una sorta di purificazione morale del culto. C’è qualcosa più nel gesto e nelle parole con cui il Signore accompagna il rovesciamento dei vari banchetti e sedie.

Non a caso il Signore si serve delle parole di due profeti per far comprendere il suo intento: Isaia e Geremia. Anzitutto richiama le parole del profeta Isaia, il quale aveva saputo già vedere che la storia umana o cammina verso un incontro di tutti i popoli sul monte del tempio del Signore: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56,7), oppure non ha futuro.

E poi, il Signore, richiama anche le parole del profeta Geremia, parole dure che denunciano un uso superstizioso e magico del tempio, un culto disancorato dalla vita, al punto che il profeta dice: ma voi rubate, uccidete, commettete adulterio, giurate il falso, bruciate incenso a Baal, seguite altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: “Siamo salvi!”, e poi continuate a compiere tutti questi abomini. Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! (Ger 7, 9-11).

Non si tratta dunque semplicemente di una purificazione del tempio: il gesto di Gesù è molto più pericoloso.

Dobbiamo infatti pensare che secondo Giuseppe Flavio l’insieme dei sacerdoti e dei leviti al servizio del tempio era formato da circa ventimila persone e se consideriamo le migliaia di pellegrini che periodicamente salivano a Gerusalemme, ci rendiamo conto come nel tempio ci fosse un movimento economico non indifferente, che poco per volta ha trasformato il tempio in un luogo di potere e di ricchezza per una minoranza aristocratica che viveva alle spalle della gente.

L’intervento di Gesù in mezzo alla grande spianata è durato pochi minuti, ma accadendo sotto gli occhi dei numerosi pellegrini, delle autorità giudaiche, della polizia del tempio e della guarnigione romana, interrompe e blocca le normali attività necessarie al funzionamento religioso del tempio.

Il suo è dunque un giudizio di Dio non solo contro l’edificio, bensì contro un sistema del quale il tempio è diventato il simbolo. Perché continua ad accadere ciò che già Geremia condannava ai suoi tempi: il tempio è diventato un covo di ladri, ma il covo non è il luogo dove si commettono i crimini, bensì quello dove i ladri si rifugiano e ammassano dopo aver oppresso il pellegrino, l’orfano e la vedova!

Quando invece, Matteo segnala che si avvicinarono a Gesù ciechi e storpi, ed egli li guarì. C’è chi si trastulla con il nome di Dio, con le cose di Dio, imprigionando la sua parola nei templi, ma lo sguardo dell’Eterno è per le vite di scarto e la sua parola è per coloro che sanno pregare dappertutto, sia in una baracca di legno come in una cattedrale.

Non so se vi è mai capitato di pensare o di auspicare un ritorno di Gesù oggi, alla stregua del suo irrompere nel tempio per sistemare, per mettere a posto, per purificare!  Ma lo sta già facendo. Provate a guardarvi intorno avevamo tutto: prestigio, potere, finanze, si riusciva a costruire chiese come il duomo, avevamo vocazioni in abbondanza di sacerdoti e di suore.

Che cos’è questa povertà, o meglio questo impoverimento che avvertiamo oggi? Forse il Signore vuole che impariamo a non fare niente senza di lui e forse, prima di capire questo, dobbiamo trascorrere un certo periodo di povertà, perché un’altra Chiesa è possibile. Nonostante la nostalgia di alcuni per una Chiesa trionfante e per un cristianesimo dominante nella cultura e nella politica, il Signore continua a ribaltare gli sgabelli di cui ci serviamo per contare più degli altri, continua a rovesciare i tavoli intorno ai quali come Chiesa intratteniamo scambi di potere … Questa purificazione è per aiutarci ad essere Chiesa lievito e sale nel nostro tempo.

Il lievito della qualità della vita interiore, non della quantità di strutture e di potere.

E il sale della testimonianza con l’impegno per i poveri.

Tutto il resto è decorativo.

Penso che stiamo andando verso questa strada, contro la nostra volontà, perché non è facile. Quando si hanno troppi mezzi, si perde la gioia e ci si affida ai calcoli.

È questo il tempo, come scriveva il p. Benedetto Calati, in cui

passiamo dalla grazia dei muri alla grazia dei volti!

Ecco la benevolenza. Fermarsi.

Che cosa rimane di noi? Della nostra vita?

Tu rimani se hai saputo fermarti nello sguardo degli altri.

Ecco, questo rimane. E basta.