II DI QUARESIMA o Domenica della Samaritana - Gv 4, 5-42
(Gv 4, 5-42)
Quel pozzo di Sicar, l’antica Sichem, è qualcosa di più di una semplice fonte di acqua: è stato il primo pezzo di terra che Abramo ha visto arrivando da Ur dei Caldei e sul quale, sotto le querce di Mamre, ha costruito un altare. Sicar richiama proprio l’inizio della storia biblica.
Non solo, ma Giacobbe che stava fuggendo dal fratello che lo voleva morto dopo che gli aveva rubato la primogenitura, proprio qui al pozzo è stato chiamato Israele, padre delle 12 tribù, padre di Israele prima di ogni divisione.
E poi si dice che Giacobbe avesse dato questo terreno al figlio Giuseppe l’ultimo, quello che i fratelli avrebbero voluto uccidere e che di fatto invece li salverà. A Sichem, Giuseppe verrà sepolto, proprio lui che aveva ristabilito la fraternità infranta.
Quindi il pozzo presso il quale Gesù si ferma è il luogo di una memoria profonda dalla quale scaturisce tutta la storia di Israele.
Ma direi che tutta la storia umana, e non solo quella biblica, è rappresentata in questo pozzo di Sichem: ovunque intorno all’acqua si costruivano le case, nascevano le città, vicino ai pozzi si facevano tutti gli incontri e gli scontri. È il luogo della contesa e del desiderio, avere un pozzo è avere la vita e per questo si litiga. Luogo degli amori e delle guerre, tutta la vita si svolgeva al pozzo che la rendeva possibile.
Così vediamo anche questa donna samaritana che ha un cuore assetato, ha una storia lunga, segnata da una sete insaziabile. Ed è la figura di tutta l’umanità – non a caso è samaritana e non ebrea – che continua a dare alla propria sete, ai propri desideri le risposte di sempre. Viene appunto al pozzo, dove l’umanità che l’ha preceduta ha sempre attinto.
Però, oggi al pozzo c’è una novità. Nel mezzogiorno della storia umana sul bordo del pozzo di Giacobbe è seduto Gesù, stanco e assetato e l’incontro avviene proprio nel bisogno, nella sete, è nel riconoscere le nostre debolezze e non nei nostri punti di forza. È dove siamo disarmati che abbiamo bisogno dell’altro e lì avviene l’incontro. Gesù è il primo che esprime la sete, la sete è il desiderio di vita e la sua vita è che l’altro gli dica: anch’io ho sete di te.
Quando arriva la donna inizia una discussione un poco strana, nella quale si dicono delle cose, ma se ne lasciano intendere delle altre.
Che senso ha che questa donna venga al pozzo a mezzogiorno, quando in genere si va al mattino perché fa più fresco? Questo è già un primo equivoco, come ce ne sono tanti nella pagina di oggi, anzi potremmo dire che è tutta costruita sull’equivoco.
C’è un sete di acqua, ma che è una sete di altre cose, di amore, di libertà, di felicità, di autenticità, di fede… Si, al pozzo di Giacobbe hanno bevuto i suoi figli e le sue bestie, ma c’è un altro pozzo dove possono bere i figli di Dio, ed è quello che la donna deve scoprire.
Proprio mentre stanno parlando di acqua e su come attingerla… Gesù dice alla donna: «Va’ a chiamare tuo marito». Ecco il secondo equivoco: Cosa c’entra il marito? C’entra e come, perché il marito per la donna dovrebbe rappresentare proprio colui che la ama e colui che la donna ama, quindi dovrebbe essere la risposta alla sua sete, la realizzazione dell’amore e della gioia. Gesù glielo chiede perché sa già la storia… sa già come il nostro cuore sia instabile e così lei, pur avendo avuto sei mariti, non ha ancora trovato ciò che la soddisfa.
Gesù con discrezione accompagna la donna a riconoscere che pur avendone avuti sei, non ce l’ha un marito, perché nessuno di questi rappresenta ciò che lei desidera, nessuno che sappia saziare il suo desiderio di vita e di amore. La nostra verità più profonda è che abbiamo una sete più grande di tutto ciò che possiamo bere.
Sarebbe interessante dare il nome ai sei mariti, ai nostri bisogni e ai nostri desideri, che sono quelli fondamentali: il cibo, il sesso, il conoscere, il saper capire, fare qualcosa di bello, l’arte, l’amicizia…
Gesù è venuto non a reprimere, ma a liberare i nostri desideri che sono ambigui ed equivoci. C’è una sete che è nostra, ci sono degli appetiti che ci appartengono, ma c’è anche una sete di Dio nei nostri confronti e la fede è l’incontro tra la sete di Dio e quella dell’uomo. Dio essendo amore ha sete di amare e di essere amato.
Gesù viene a liberare i nostri desideri profondi che spesso sono anche frustrati per le nostre paure, per i fallimenti, per le risposte sbagliate che diamo alla nostra sete.
Noi, facciamo i moralisti, e crediamo che questa donna sia una donna poco raccomandabile, un poco «allegra»… In realtà non è così, piuttosto sono allegri i suoi mariti, perché non dimentichiamo che nel diritto ebraico la donna non poteva divorziare era l’uomo che divorziava, il che significa allora che tutti i suoi mariti l’hanno tradita.
È quel che capita a noi cioè i nostri desideri ci tradiscono, sono sbagliate le risposte ai nostri desideri, non noi. Questa donna è giusta, tant’è vero che non si è accontentata né del primo, né del secondo, né del terzo… E continua a mantenere ancora il suo desiderio.
Gesù non la tratta da peccatrice, la tratta da persona che realmente desidera anche se sbaglia nella risposta ai suoi desideri. Eppure anche gli errori servono e possono aiutarci a comprendere più in profondità ciò per cui siamo fatti.
Attraverso gli errori la Samaritana può essere aiutata a purificarsi, a correggersi. Non è facile nemmeno per lei, perché quando la questione si fa stringente, sposta l’argomento su un tema religioso, su quale monte di debba adorare, se sul monte Sion o sul monte Garizim. Ecco il terzo equivoco che Gesù coglie al volo per compiere un ulteriore passo avanti. Che cos’è l’adorazione, che cosa adoriamo? L’adorazione è proprio ciò che l’uomo considera come assoluto, ciò a cui ordina la sua vita, ciò a cui tutti i desideri tendono.
E se la donna cerca un luogo «dove» adorare, il luogo dove trovare la soddisfazione dei propri desideri, Gesù l’aiuta a scoprire «chi» è questo luogo. Noi pensiamo che ci sia un qualcosa, un luogo esterno che sappia appagare il nostro desiderio, che ci siano delle cose… invece Gesù dice, che non è un tempio piuttosto che un altro, non è una cosa, ma una relazione: «Sono io che parlo con te». Una delle più belle definizioni di Dio: chi è Dio? È uno che parla con te.
Il che significa: impara ad ascoltare, ad avere cura di ciò che senti nel cuore, nella coscienza, a ciò che ti parla nel profondo. «Sono io che parlo con te», dice Gesù. Chi è Dio? È uno che parla con te, come parla a questa donna. Dio è parola, comunicazione, comunione, dialogo.
E non è finita perché c’è un quarto equivoco. L’uomo non è solo sete: bisogno che soddisfa automaticamente perché l’acqua la prendi dove c’è, l’acqua viene da sé. Ma l’uomo ha anche fame, infatti i discepoli erano andati nel villaggio a fare provviste. Perché l’uomo è cibo, è nutrimento che infatti ti devi procurare, devi lavorare per avere il cibo.
E subito infatti si parla della messe, della semina, del raccolto… «C’è chi semina e chi raccoglie», dice Gesù… e appunto siamo qui sul bordo del pozzo come a guardare dentro la profondità della storia, di amori, di lotte e di preghiere, dove c’è una ricerca più profonda, come un pozzo appunto, di verità. La verità profonda dell’uomo, la nostra più profonda verità è che abbiamo una fame più grande di tutto ciò che possiamo mangiare.
Mi piace pensare che la samaritana nelle settimane seguenti avrà avuto ancora sete tante altre volte e sarà ritornata ancora al pozzo, ma ogni volta quel pozzo sarà stato per lei non solo il luogo dove attingere acqua, ma un sacramento, il segno memoriale che lì aveva incontrato l’acqua viva, un cibo che sazia, una parola che ti accende il cuore.
E questo è quanto è andata a dire ai suoi contemporanei: c’è uno al pozzo che conosce i nostri desideri, la nostra sete, la nostra fame, i nostri bisogni ed è il dono di Dio, Gesù.
Quando arrivi a comprendere questo dono di Dio, quando sperimenti che è nel suo dono che sazi la tua fame e la tua sete, a tua volta diventi dono, diventi sorgente che zampilla, diventi vangelo vivo che – come ci ricorda papa Francesco da un anno a questa parte – è la fonte della gioia: «La gioia del vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (EvG 1).