VI DI AVVENTO Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della beata Vergine Maria - Lc 1, 26-38a


Ascoltando questa che è una delle pagine più conosciute del Vangelo e di tutta la Scrittura, la nostra mente si è figurata almeno una delle numerose opere d’arte che hanno fermato l’istante dell’irruzione dell’angelo a Nazaret nella casa di Maria (Lc 1, 26-38a). Opere che volendo descrivere un evento che è una radicale novità nella storia, letteralmente un fatto “inaudito”, ci trasmettono fascino, poesia, incanto e mistero.

La liturgia ambrosiana ci fa leggere in parallelo una pagina di Isaia che facciamo fatica a legare con l’annunciazione (Is 62, 10-63,3). Isaia si rivolge alle famiglie dei deportati che sono tornati dall’esilio in Babilonia e che dopo l’entusiasmo iniziale devono misurarsi con le delusioni e i contrasti, ecco allora sette imperativi irresistibili per dire la fedeltà di Dio, perché la salvezza annunciata arriva! Passate, sgombrate, spianate, liberatela, innalzate… arriva il tuo salvatore! Ma come arriva? Ecco il dialogo tra le sentinelle della città e il vendemmiatore che torna dopo aver pigiato sotto i suoi piedi il nemico (Edom, il nemico tradizionale) e così le sue vesti sono sporche di rosso, del rosso del loro sangue!La regalità di Cristo. Particolare del Cristo sotto il torchio la cui leva ha forma di croce

Questa stessa pagina è tra l’altro ben raffigurata nella nostra chiesa da un’altra opera d’arte qual è l’affresco del Bergognone al fonte battesimale, dove sulla figura di Gesù nel torchio mistico, leggiamo uno dei cartigli che riporta precisamente l’ultimo versetto della prima lettura di oggi:

«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me.

E poi Isaia continua: Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti.

L’affresco del Bergognone del nostro Battistero riproduce nei cartigli proprio questo testo di Isaia, ma facendo un’interpretazione: è Gesù il vendemmiatore che combatte contro il nemico per eccellenza che è la morte, e il rosso non è più quello del sangue dei nemici, ma del suo stesso sangue!  Agostino dice che il grappolo d’uva della terra promessa posto sotto il torchio, è il Cristo. E noi sappiamo che gli abiti di Dio vestiti da Gesù si sono tinti di rosso per il suo sangue versato, non per quello degli altri.

Leggendo in sinossi le due letture potremmo titolare questa domenica come la domenica della «Maternità che si tinge di rosso», dove il contrasto tra la narrazione poetica di Luca dell’annunciazione a Maria e il dramma introdotto da Isaia ci offrono i due livelli di significato del Natale: l’abbassamento di Dio dentro la condizione umana comincia con il diventare bambino, ma assumerà poi i tratti del dono della vita, del sacrificio, della morte in croce. Il dono Dio è un dono che riempie di gioia, che ci dona speranza, ma è anche un dono a caro prezzo, anzi questo dono è la vita stessa di Gesù.

La maternità di Maria si tinge di rosso nel senso che è divina per quanto riguarda il concepimento di Gesù, ma è anche molto umana! Per tanti motivi che facilmente possiamo considerare. Volete che Maria dopo l’annuncio dell’angelo non abbia parlato e non si sia confrontata con Giuseppe e con i suoi genitori? Con le sue amiche? E d’altra parte non volete che Giuseppe le abbia raccontato dei suoi sogni?

Ecco non celebriamo al solito modo la divina maternità di Maria, non isoliamola, perché questo è quello che facciamo noi, non collochiamola in una dimensione irraggiungibile, anzi dovremmo leggere due vangeli oggi, quello di Luca e quello di Matteo. Il vangelo di una giovane coppia che attende il loro primogenito, che non è solo loro, ma che è affidato a loro.

Questa condivisione della parola di Dio ha costruito la comunità intorno al Cristo prima ancora che nascesse, la comunità famigliare di Maria e di Giuseppe, la comunità di Nazaret, e così dalla condivisione della Parola nascerà la comunità di Cafarnao, di Gerusalemme… la chiesa.

Questo di oggi Maria è il tuo Natale, silenzioso: non ci sono pastori, né angeli che cantano. L’attesa è tua, come l’attesa di ogni madre. Nel tuo grembo cielo e terra si incontrano. Il tuo grembo è pregno di storia perché va assumendo forma d’uomo Colui che è rimasto invisibile e in te diventa visibile.

Mi pare di cogliere le tue domande: Quale sarà il volto del figlio di Dio? starà bene, sarà sano? A chi rassomiglierà? E poi quelle di Giuseppe, lo sposo che sa sognare, ma anche mantenere la sua famiglia: sarà bravo? Avrà voglia di impegnarsi, di lavorare?

Noi vorremmo o Dio, anche solo per qualche istante conoscere i pensieri di Maria, le preoccupazioni di Giuseppe… e in parte le conosciamo già, sono quelli di ogni coppia di genitori regolari e non, sono gli stessi. Ma chi siamo noi, ultimi e peccatori, per indagare anche un solo istante la “piena di grazia”, la donna “piena di Dio”? noi a Dio diamo qualcosa, un angolo della mente, uno scorcio del cuore, qualche brandello del nostro tempo… lei era piena di Dio! e qui ci fermiamo. Ma preghiamo che almeno la tua chiesa sia piena di Dio, Gesù! Sia piena di umanità.

Non sappiamo molto dei sentimenti di Maria, e per questo non dobbiamo proiettare su di lei le nostre fantasie e tantomeno farle dire più cose di quelle che non abbia detto, però sappiamo che le toccherà attraversare una vita per niente facile. La sua maternità si tinge di rosso e continua ad essere così anche quando porta il Bambino al tempio a ricevere la benedizione del sacerdote, ma nello stesso tempo anche una profezia dura da ascoltare anche perché le annuncia un futuro di dolore, una spada che le trapasserà l’anima!

All’età dei tredici anni, del bar mitswâ, quando chiede al figlio che era rimasto a Gerusalemme da solo: Tuo padre e io angosciati ti cercavamo… Si sente rispondere: Non capite che devo stare nelle cose del Padre mio?

Nella vita pubblica di Gesù, gli unici accenni ci dicono che la madre è tenuta un po’ ai margini, al punto che quando gli dicono: Guarda che chi fuori c’è tua madre… Gesù risponde: Chi sono mia madre e i miei fratelli?

Alla risurrezione si dice che c’erano le donne, mentre della madre non si dice niente.

Troviamo Maria sotto la croce, quando le sue braccia si tendono ad accogliere il Figlio deposto, quelle stesse braccia che lo avevano avvolto in fasce a Betlemme. In quel momento la divina maternità di Maria si tinge di un rosso cupo, il rosso del sangue del Figlio.

Con questo spirito ci disponiamo a vivere il Natale. Dopo lo sguardo rivolto al ritorno del Signore, dopo aver ascoltato la parola profetica del Battista, dopo aver accolto la venuta del Signore nella città, oggi con Maria, la cui maternità si tinge appunto di rosso, anche la maternità della Chiesa è chiamata a tingersi di rosso.

Come sempre la poesia del Natale è intrecciata col dolore del mondo, e la chiesa stessa che è chiamata a portare il Vangelo, a incarnarlo oggi nella vita e nella storia di tutti i giorni, trova il senso del suo esistere nello sporcarsi le vesti come il Cristo del torchio mistico, nel mettersi a servizio dell’umanità, non nel mettere se stessa al centro, consapevole di avere solo una funzione provvisoria, come germe e inizio del regno di Dio per tutta l’umanità.

Maria, nella sua maternità, è immagine del nostro essere chiesa se, come lei, diamo la priorità all’ascolto di quella Parola che sempre ci narra l’inaudito di Dio, di un Dio le cui vesti si tingono di rosso per donarci la sua vita, come ogni domenica ci è dato di vivere perché a nostra volta diventiamo capaci di dono.