IV DI QUARESIMA o Domenica del Cieco - Gv 9, 1-38b


La metafora della luce e delle tenebre non è una metafora solo cristiana, appartiene alla storia del pensiero umano per suggerire l’idea di conoscenza o di non conoscenza, il capire e il non capire… ed è in questo significato che viene utilizzata soprattutto dalla tradizione religiosa di sempre per indicare il cammino degli iniziati che progressivamente attraverso un percorso preordinato passano dall’ignoranza all’illuminazione, dalla non conoscenza alla conoscenza dei misteri religiosi e spirituali nascosti ai più.

Anche nel vangelo di Giovanni c’è questo significato, infatti vediamo un progressivo venire alla luce del cieco che acquisita la vista e giunge a credere in Gesù (9,1-38b); e per contro come c’è un progressivo scivolare nelle tenebre da parte dei personaggi che ruotano intorno a lui.

Però questo è vero se della metafora della luce comprendiamo l’aspetto più evidente, quello della luce che rivela e permette di vedere che cosa c’è intorno a noi e dentro di noi. Ma la luce non è solo questo, la luce è anche calore che dà vita. La luce certo dirada le tenebre, permette di vedere, ma al tempo stesso la luce è calore, scalda.

Fuori di metafora, la fede non è solo intelletto, dogma, verità, senza il calore della relazione diventa ideologia. Non basta che stiamo qui in chiesa a dire il credo, se non ci vogliamo bene, se non cerchiamo relazioni fraterne … se non diamo calore alla nostra fede rimane astratta.

Non solo, ma se credere in Dio fosse solo una questione di illuminazione della mente diventerebbe ben presto una religione oscurantista. Guardiamoci intorno, c’è una religiosità simile che incontriamo ogni giorno ad esempio nelle bandiere nere che sventolano in Siria, in Libia… quando la religione si identifica in una verità astratta, politica, economica, filosofica che sia e che viene usata come strumento per dominare, per guadagnare – e la storia è piena di queste vicende – ed è curioso come si ricorra al nero per esprimere le tenebre di una religione appunto oscurantista disposta a sacrificare vite umane in nome e per conto di un interesse, di un’idea, di un obiettivo.

Per analogia, possiamo dire che questa sia anche la stessa religiosità personificata dalle varie figure che gravitano intorno al cieco nato del vangelo e sono i vicini, i farisei e gli stessi genitori. Mentre costui appunto viene alla luce, gli altri precipitano sempre più rapidamente nelle tenebre. In realtà Giovanni fin dall’inizio del vangelo aveva detto che «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (1,5).

Cosa sono queste tenebre? Contrariamente al modo di pensare comune non è la mancanza di fede, perché anche i vicini, coloro che vedono ogni giorno il cieco nato, sono ebrei osservanti, credono in Dio… eppure non sono disposti a capire cosa sia successo, sono superficiali. Sono coloro per i quali le cose devono andare sempre nello stesso modo e se cambia qualcosa non hanno nessuna voglia di mettersi in discussione.

Così come i farisei, anch’essi sono uomini di fede, anzi sono quelli delle regole, dell’osservanza, per cui il discorso è semplice nella loro logica rigorosa: se uno non rispetta le regole non è da Dio. Lo capiamo dalle loro stesse parole: Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore! Ecco la loro forza: al di sopra di tutto c’è la dottrina: Noi sappiamo qual è il pensiero di Dio! E il cieco: ma no la mia esperienza mi fa dire che Gesù non è un peccatore. Anche per loro le tenebre sono quelle del cuore e della mente, incapaci di vedere la persona, incapaci di vedere come Dio possa agire al di fuori delle regole e della dottrina. Certo il sabato è una legge che ha dato Dio perché impariamo a ricordarci del suo amore, ma cosa se ne fa Dio dei tuoi sabati, se non ami?

Infine, le tenebre dei genitori, e qui siamo dentro gli affetti più cari per quel cieco, perché sono persone che addirittura prendono le distanze da un figlio in quanto talmente condizionati dal giudizio degli altri da essere soggetti alla paura di quello che gli altri possono dire loro! Hanno le idee chiare, ma non è una luce che scalda i loro cuori, anzi il loro cuore si indurisce persino davanti a un figlio guarito, al punto che verrebbe da pensare che quell’uomo stesse meglio quando stava peggio. Non ce n’è uno che gli faccia festa, che condivida la sua gioia, anzi gli rendono la vita più difficile di prima fino all’espulsione dalla sinagoga. Il cieco guarito diventa aposinàgogos: già emarginato a causa della malattia, viene processato per una colpa che non esiste, è un processo kafkiano, anzi, se fosse rimasto cieco sarebbe stato meglio per tutti!

A questa religione delle norme, del controllo sociale, della dottrina senza cuore, risponde Gesù, dono di Dio, che non viene come legge, nemmeno come regola, non è una dottrina, ma come figlio dell’uomo, di fronte a una religiosità ottusa, cieca, oscurantista, Gesù è il figlio dell’uomo, un modo curioso per dire che sta dalla parte dell’uomo e non è come questi funzionari del sacro che non sanno vedere altro che peccato e colpa dappertutto e proprio per questo sono loro i ciechi.

Così che quando viene a sapere che il cieco è stato espulso dalla sinagoga, Gesù lo va a cercare per dirgli tutta la sua solidarietà, che è la solidarietà di Dio!

Occorre imparare a guardare ogni uomo e ogni donna con la luce del vangelo per riconoscere in essi il dono di Dio, ma per fare questo occorre anzitutto saper guardare dentro noi stessi e alcune volte per vedere bene dentro di noi dobbiamo compiere un gesto semplice. Chiudere gli occhi. Parrebbe un controsenso, ma Gesù mettendo il fango sopra gli occhi del cieco, dice che dobbiamo spegnere le luci esterne, quelle artificiali o meno. È necessario per scendere dentro le oscurità che ci abitano, ma per scendervi con Gesù, con la sua Parola, con il Vangelo ed è così che anche le tenebre si rischiarano, si fa luce su quello che davvero ci sta a cuore.

Fare questa cosa il più delle volte è doloroso, fare i conti con quelle debolezze che ci fanno paura, che ci rendono insicuri… Eppure questa è la strada che permesso a Mosè, come diceva la prima lettura di parlare con Dio faccia a faccia come uno parla con il proprio amico (Es 33,11a).

Con il tuo amico parli a cuore aperto, non devi dimostrare nulla, non ti attacchi alle regole, col tuo amico sei te stesso con le tue paure e le tue fragilità, sei nella luce della verità ma in una luce calda, non fredda e giudicante: è proprio per questo che si è amici.

Non si può essere cristiani a prescindere: lo si è nella relazione, nell’incontro quando appunto so vedere un raggio della luce di Dio dentro il cuore dell’altro, dentro quella situazione faticosa e difficile, dentro una gioia profonda…

Non è questo il messaggio centrale della nostra fede e sul quale papa Francesco, indicendo un giubileo straordinario sulla misericordia, vuole che tutta la Chiesa ritorni a posizionarsi?

Ognuno di noi può chiedere al Signore di essere luce, non una luce fredda e giudicante, ma luce che scalda in quella relazione, in quella situazione in casa, al lavoro, con gli amici che è tenebra, che è oscura e ci rattrista. Perché anche dentro il buio c’è una luce, anche nell’oscurità c’è una luce.

E poi non è forse vero che molte tenebre ce le costruiamo da soli? Succede come ai discepoli che di fronte a una sofferenza, a una malattia crediamo che se soffri è perché hai commesso un peccato; se stai male, hai quello che ti meriti; se patisci, è colpa tua. Questa tesi che è sostenuta dai discepoli e poi anche dai farisei non è il pensiero di Gesù, secondo il quale la sventura della sofferenza non è dovuta al peccato, ma esiste perché in essa sia manifestata l’opera di Dio. Gesù non si chiede di chi sia la colpa, bensì che cosa Dio farà in quella situazione. Gesù non fa della dietrologia, guarda avanti: dove ci vuole portare Dio attraverso questo dramma di dolore e di sconfitta? Perché Dio vuole fare qualcosa, vuole dare un futuro.

Il vero imputato è Gesù, e in definitiva Dio stesso, perché di lui si tratta. È lui che ha dato la legge del sabato ed è un paradosso che colui che la trasgredisce dica di farlo in nome di Dio, ma questa è una parola luminosa che scalda il cuore perché l’abbiamo sperimentato anche noi talvolta che c’è più amore in una trasgressione che non in una osservanza formale, perché una fede senza misericordia è una luce senza calore e una luce senza calore non dà vita.