IV DI QUARESIMA - Gv 9, 1-41
(Gv 9, 1-41)
Per comprendere la potenza del racconto evangelico di oggi, dovremmo immaginare di trovarci a Gerusalemme nei giorni della festa delle Capanne, festa che ricorda il cammino di Israele nel deserto durato quarant’anni. Uno dei momenti cardini della festa, al tempo di Gesù, era quando nel pomeriggio i sacerdoti scendevano dal tempio in processione, percorrendo una scala ripida e larga fino alla piscina di Siloe dove uno dei sacerdoti riempiva d’acqua un’anfora d’oro e risalendo in processione tra canti e il suono dello Shofar al tempio lavava poi l’altare del sacrificio.
Una cosa importante da sapere è che già allora ci si era dimenticati che quell’acqua che arrivava così abbondante alla piscina di Siloe vi giungeva attraverso il canale che Ezechia aveva costruito già 700 anni prima di Cristo (cfr.2Re 20,20).Infatti Giovanni traduce il nome Siloe per i suoi lettori che parlano greco, dicendo che significa inviato, perché come l’acqua è inviata lì dalla sorgente, così Dio non mancherà di inviare il suo Messia dal quale sarebbe scaturita l’acqua viva, ovvero lo Spirito di Dio, quell’acqua che Gesù ha donato alla Samaritana.
A Gerusalemme poi alla sera della festa era tutto un’esplosione di luce: torce, bracieri, candelabri posti sulle mura del tempio illuminavano fantasticamente la città santa … Ecco è sullo sfondo di questa festa e con evidente allusione alle grandi luminarie accese nella prima notte, che Gesù appena uscito dal tempio vede un cieco nato.
Questo è già un contrasto molto forte: chi si cura in un clima di festa di un povero cieco? Chi lo vede? E poi che importanza ha? Non è uno che possa contare qualcosa, infatti secondo i rabbini era uno dei quattro tipi di persone consideratealla stregua dei morti: il povero, il cieco, il lebbroso, lo sterile (Nedarim 64 A).
Siamo di fronte al doppio livello di lettura delle cose che Giovanni ci va insegnando con questi dialoghi intensi del suo vangelo: c’è un fatto, che noi diciamo sbrigativamente un miracolo e che per Giovanni è un segno, per cui si vede una cosa e se ne deve comprendere un’altra. C’è un popolo che fa festa e accende luci per continuare a festeggiare, ma che non vede il volto del povero, del lebbroso, dell’immigrato, diremmo noi; e c’è chi è considerato cieco e che invece viene condotto da Gesù a vedere la vita in tutti suoi colori.
C’è una sottile ironia da parte dell’evangelista Giovanni, un’ironia per dire che la vita di ciascuno di noi oscilla tra queste due tendenze. C’è una linea ascendente dal buio verso la luce, infatti noi studiamo, approfondiamo, ci rendiamo competenti per conoscere di più, per sapere di più … per essere capaci di guardare avanti, di pre-vedere le cose che accadranno e questo non solo a livello professionale, ma anche nelle relazioni, in famiglia … Siamo contenti quando ci sembra di poter controllare la situazione, cioè di saper vedere come vanno le cose. Ma c’è anche una linea discendente, dice Giovanni, quando passiamo dalla luce alla cecità. Basta una delusione, un’incomprensione e i nostri occhi gonfi di lacrime non distinguono più i contorni delle cose. Oppure quando in seguito a un evento doloroso, a una sofferenza, a una malattia, improvvisamente il futuro dinanzi a noi diventa oscuro e minaccioso.
E questo accade ogni giorno: ogni giorno ci sono persone che passano dal non vedere da una povertà spirituale, umana, relazionale, magari anche per un errore e per uno sbaglio, al vedere; e ci sono persone che invece passano dalla presunzione di capire tutto, di sapere tutto alla cecità dell’orgoglio, della superbia e anche della violenza.
Questo è un cammino possibile per ognuno di noi. Provate a pensare quando abbiamo un’avversione, un’antipatia per una persona, senza che ne ce ne accorgiamo il nostro sguardo la tiene lontana, vede solo gli aspetti negativi, tende a non considerare quello che di buono è in lei, c’è un interesse anche a non vedere. Quanto più questi sentimenti sono profondi dentro di noi, tanto più l’occhio si chiude fino a non percepire più il volto dell’altro, ma una sua caricatura.
La storia di ogni amicizia è così, e allora nessun discorso giova più, nessun chiarimento, nessuna riflessione. Perché le cose cambino, deve cambiare il cuore, lo spirito … allora se il cuore si scioglie anche lo sguardo si schiude e si comincia a vedere in modo diverso.
Stando a quello che ci dice oggi la scienza, l’occhio, nella sua complessità e perfezione, è una delle funzioni che si sono formate più lentamente nell’evoluzione dell’uomo. Ed è una realtà che noi stessi riviviamo fin dalla nostra nascita, infatti il bambino nasce se non proprio cieco, almeno incapace ancora di distinguere i contorni delle cose. È solo dopo qualche settimana che comincia a mettere a fuoco e a distinguere.
Ed è per analogia il percorso dell’uomo nato cieco che gradualmente mette a fuoco la figura di Gesù, basti osservare con quali titoli parla del Signore. Prima rispondendo ai vicini dice: quell’uomo Gesù ha fatto del fango…; poi ai farisei che lo interrogano sull’autore del miracolo, il cieco risponde: per me è un profeta; e poi poco sotto afferma: è uno che viene da Dio. Per giungere infine a compiere la sua professione di fede davanti a Gesù: credo Signore!
Ma per arrivare a questa visione delle cose, quell’uomo cieco ha dovuto scendere la gradinata per andare a Siloe e non erano quattro gradini … ha dovuto fidarsi della parola di Gesù. Per essere illuminati dal Cristo occorre che sgombriamo il cuore da ogni presunzione, da ogni superbia, da ogni arroganza, occorre riconoscere di essere ciechi: ovvero umili, semplici, bisognosi. Perché, come dirà Paolo, quando sono debole, allora sono forte!
Per contro abbiamo visto cosa succede ai farisei, ai vicini, ma anche ai genitori stessi: sono tutte persone che credono di vedere benissimo e di non aver bisogno di luce. I vicini si fermano a curiosare, a spettegolare su quello che succede, ma non si coinvolgono per niente, rimangono superficiali, si fermano all’esteriorità. Quel giorno hanno avuto qualcosa di cui parlare e questo basta loro. Poi abbiamo i farisei, i sapienti, gli intelligenti, sempre pronti a criticare tutto, a loro non va mai bene niente di quello che fanno gli altri e non sanno vedere il bene, al punto di dire: quest’uomo non viene da Dio! E certamente questo tale non era cieco! Infatti coinvolgono i genitori che peraltro sono paralizzati dalla paura, dal timore del giudizio degli altri, e allora prendono le distanze perché temono quello che può dire la gente, e hanno paura di ciò che i capi possono fare contro di loro …
Ecco l’ironia di Giovanni sembra porci una domanda: chi è cieco e chi è che ci vede? Domanda attualissima per noi che veniamo da un pensiero occidentale forgiato dall’illuminismo, fenomeno culturale così chiamato perché ispirato dai “lumi della ragione”. Scienziati e filosofi dell’epoca contrapposero la ragione, la libertà e la tolleranza all’autoritarismo dei secoli precedenti e anche a una certa religiosità spesso ottusa.
Però pensate come curiosamente questa pagina evangelica segni fin dai tempi antichi la preparazione degli adulti al Battesimo al passaggio verso l’illuminazione, così che i battezzati erano chiamati “illuminati”, per dire che i discepoli del Signore non sono creduloni fanatici e irrazionali, illuminati non solo dalla luce della sola ragione, ma anche dell’acqua dello Spirito che il Signore dona.
Anche a noi è chiesto di camminare come quell’uomo nato cieco fidandoci della parola di Gesù, pronti a rendere ragione della nostra fede, come discepoli pensanti. Una fede che pensa, che si lascia guidare dal Vangelo, saprà vedere nell’altro il volto di un uomo che non solo ha dei diritti e dei doveri, ma che ha anche un’anima, che è abitato dallo Spirito di Dio.