VII DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 13, 24-43
Se domenica scorsa Gesù nel vangelo della vigna ci chiedeva di essere operai che lavorano per lui, ricordando sempre che la vigna è sua, e di essere operai capaci di lavorare insieme, non divisi da mormorazioni e invidie… nella sua chiesa. Oggi il Signore ci pone di fronte alla questione che potremmo sintetizzare con l’espressione di s. Agostino sul rapporto tra la città di Dio e la città dell’uomo, tra Babilonia e Gerusalemme, per dirla con Isaia; o se volete tra la chiesa e la società civile, come diciamo noi oggi.
Le tre parabole, quella della zizzania, del granello di senape e del lievito ruotano intorno alla questione del rapporto tra il regno di Dio e il mondo. Si domandavano i discepoli di allora quello che ci chiediamo noi oggi: come agisce il regno di Dio nella storia del mondo? Come vivere la nostra fede e le dinamiche storiche, politiche e sociali?
Al tempo di Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, le prime comunità cristiane erano davvero piccola cosa di fronte alla potenza imperiale. Non facevano fatica ad immaginarsi come lievito e granello di senape.
Oggi nella nostra società è ancora alto il numero di coloro che chiedono il battesimo, che si sposano in chiesa, che vogliono i funerali religiosi. Possiamo ancora parlare di una maggioranza cristiana e cattolica anche nella nostra città.
Anche se a ben guardare questo luogo comune fa acqua da tutte le parti ed è evidente che se così fosse davvero avremmo da attenderci una società più solidale, più giusta, e più equa, cose che invece non registriamo nelle nostre strade, nella nostra città e tantomeno nel nostro Paese.
Per questo credo che anche a noi nonostante le tante chiacchiere che si fanno per tirare l’istituzione chiesa da una parte o dall’altra, bene si adattino le immagini di Gesù, perchè in realtà la nostra situazione di Chiesa è «quella di una minoranza impegnata e motivata che porta il peso di una maggioranza che compie talvolta qualche gesto religioso per abitudine e non per convinzione profonda e personale» (Martini).
La chiesa che vive del Vangelo e vive per il Vangelo, è quella che Gesù chiamerebbe un minuscolo seme, un pugno di lievito. Ma non dico questo con amarezza o delusione, perchè Gesù ci dice che sempre è così: il regno di Dio nella storia non estirpa il male, ma convive con la zizzania; il regno di Dio non diventa una foresta, ma rimane un albero ospitale; la fecondità del vangelo non si misura dal fatto che tutti nel mondo diventano cristiani, ma da come fermenta i cuori.
Infatti «I cittadini di Babilonia e i cittadini di Gerusalemme sono insieme mescolati nella stessa casa e nella stessa città, nella stessa comunità» (Cesario di Arles). Anche se è vero che nella storia talvolta la Chiesa ha perso di vista le parole del suo Signore, e ha creduto di potersi affidare ai potenti, di cercare un suo potere temporale, si è lasciata affascinare dall’idea di una «societas» cristiana… con una struttura sociale che avesse leggi cristiane, commerci cristiani, eserciti cristiani…
E tutte le volte la Chiesa, in nome di alcuni indubbi vantaggi mondani, ha finito per pagare un prezzo altissimo. Avete presente l’insegna dell’aquila a due teste che talvolta ancora campeggia in qualche stendardo o bandiera? Riflettiamo seriamente, perchè esprime l’idea dei due poteri civile e religioso che posti sullo stesso piano, governano il mondo: ma davvero chiesa e stato sono come due teste su unico corpo? Non si ha in questo modo un mostro?
Infatti ogniqualvolta questa illusione si è infranta, sembrava che crollasse il mondo intero, mentre era la fine di «quel» tipo di mondo.
Ci furono anche tra i Padri della Chiesa alcuni per i quali ad esempio la caduta dell’impero romano non poteva essere altro che l’annuncio della fine del mondo, tanta era l’influenza e il fascino che esercitava sopra di loro la potenza romana.
Gesù oggi ci ricorda che per quanto sia radicata nella storia, nel mondo e nella vita concreta, la Chiesa non è schiava – o non dovrebbe esserlo – di nessuna epoca storica e di nessuna realtà essenzialmente temporale.
La missione della Chiesa non si identifica mai con un regime politico, né con una situazione sociale, nemmeno con una forma particolare di civiltà.
Perchè il suo regno non è di questo mondo, e dobbiamo rendere a Cesare quel che è di Cesare (Gv 18, 36; Mt 22, 21).
Tradurre in concretezza queste parole di Gesù non è mai stato facile e nella storia appunto la Chiesa ha oscillato ora tra l’identificazione col mondo, ora con l’opposizione al mondo.
Il Catechismo di Pio X, in uso fino al Concilio, insegnava che «i principali nemici della Chiesa sono il mondo, il diavolo e la carne».
C’è voluto tutto il travaglio del Concilio Vaticano II, che come oggi, l’11 ottobre del 1962 papa Giovanni XXIII apriva solennemente, per permettere alla Chiesa di avviare un faticoso processo per pensare e pensarsi «incarnata», non in contrapposizione o di fronte al mondo, ma «nel mondo contemporaneo» (GS 1).
Così la Gaudium et spes non parte dai «diritti della Chiesa», ma dalla «dignità della persona umana» (GS 12-22); non parla solo di «battaglia», ma dell’«aiuto che la Chiesa può offrire al mondo» e dell’«aiuto che la Chiesa riceve dal mondo» (GS 40-45), fino ad affermare che la Chiesa «rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza» (GS 76)!
Come ci poniamo noi oggi da discepoli nella storia e nella città? Cosa vuol dire essere lievito e granello di senape in questo momento storico?
A me viene da pensare che forse dobbiamo compiere un cammino inverso a quello degli ultimi cinquant’anni, cioè non mirare ad una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e a far pesare la nostra consistenza numerica e il nostro peso politico, ma ad una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, questo forse potrà poi, per intima coerenza esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico.
Dobbiamo ricostruire le coscienze, così troppo schiave del modo di pensare del mondo, un mondo nel quale l’opinione pubblica sostituisce spesso le coscienze che diventano omologate e incapaci di essere lievito, di essere sale della terra.
Gesù aveva previsto che il sale potesse perdere il suo sapore, per questo è prioritario ricostruire le coscienze e rimetterci a studiare, a riflettere, a confrontarci seriamente sulle sfide che l’etica, la morale, la politica, il progresso scientifico pongono alla chiesa oggi.
Perchè la chiesa abita la città dell’uomo, non come un altro padrone cui obbedire, ma come il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana (GS 76), la chiesa è in mezzo al mondo per incidere in esso una inguaribile inquietudine!
Possiamo forse dire che oggi la Chiesa italiana è presenza che inquieta la falsa pace delle coscienze? Non viene piuttosto spesso presentata dai media essa stessa come interessata a barattare un qualche favore mondano o una qualche forma di privilegio?
Quando domina nella chiesa la preoccupazione troppo umana della rispettabilità diventa assai meno attraente di quando nei suoi figli si riveste di umiltà. Dell’umiltà di chi è consapevole del fine per cui esiste che è la comunione di Dio con l’umanità.
Ma non è questa l’immagine dominante nel modo di pensare comune, ed è vero quello che Paul Claudel scriveva ad André Gide: «… i veri figli di Dio tacciono, soffrono e pregano; ce ne sono più di quanti non si pensi, ma occorre esserci in mezzo per conoscerli» (9.1.1912).
Chiediamo al Signore di essere una Chiesa capace di dire in maniera chiara e aperta di esistere per il Vangelo e per la fede degli uomini.
Preghiamo per una Chiesa cosciente del proprio reale ruolo vicario, ovvero che nella dottrina e nella vita chiarisca che essa stessa non è la Gerusalemme celeste, bensì è destinata a scomparire quando verrà il regno di Dio, ovvero quando rimarrà solo ciò per cui la Chiesa terrena sta preparando la strada e a cui deve rimandare, ovvero la comunione con Dio e tra gli uomini.
(Is 43, 10-21; 1Cor 3, 6-13; Mt 13, 24-43)