IV DOPO PENTECOSTE - Mt 22, 1-14
C’è un contrasto enorme tra le due immagini che la parola di Dio ci presenta oggi: da una parte abbiamo un banchetto di nozze, raccontato dal Vangelo di Matteo (22, 1-14) e dall’altra, raccontata dalla Genesi, la descrizione della distruzione delle città di Sodoma e Gomorra ridotte a una assolata distesa di fuoco e di sale (18, 17-21; 19, 1.12-13.15.23-29).
Chi ha avuto modo di recarsi sulle rive del Mar Morto non può non essere rimasto impressionato dall’immagine di desolazione e di aridità di quel luogo. C’è una ragione scientifica che determina tutto questo ed è il fatto che il Mar Morto che si trova a 400 metri sotto il livello del mare, riceve acqua dal fiume Giordano, ma non ha alcun emissario e man mano che l’acqua evapora, il sale vi si concentra a tal punto da rendere impossibile la vita. La sua acqua è, letteralmente, salamoia.
Quando Abramo nelle sue peregrinazioni arriva in un ambiente depresso e arso dal sale non trova ospitalità, non è possibile per lui, per la sua grande famiglia, per i suoi servi e per le sue greggi avere una qualche forma di riparo e di ristoro. Come abbeverare le persone e le bestie? dove trovare pascolo e dove trascorrere la notte per gente che pure era abituata ad attraversare deserti e a superare difficoltà oggi a dir poco inimmaginabili? E poi, come può esserci un luogo simile sulla terra? A che cosa è dovuto?
La risposta scientifica, che pure ci pare naturale, non è sufficiente per l’uomo biblico e per l’uomo di fede. L’interrogativo si fa più profondo e intenso: come può l’Eterno che ha fatto bene ogni cosa permettere che ci sia un luogo così inospitale? Come si può passare dal banchetto che Dio prepara per tutta l’umanità al fatto di ridurre tutto a una distesa arida?
La risposta umana va subito a cercare una colpa: se succede questo la colpa è di qualcuno e rinvia alla responsabilità dell’uomo, alla nostra libertà. E questo è vero, ma sia la Genesi, sia la parabola secondo Matteo e anche l’elenco di Paolo (1Cor 6, 9-12), ci ricordano un principio di cui abbiamo scarsa consapevolezza ed è il principio di interdipendenza.
Dal racconto della Genesi veniamo a sapere che due città come Sodoma e Gomorra, città emblema di depravazione, corruzione e violenza vengono annientate da un fuoco che piove dal cielo: fuoco e zolfo sopra Sodoma e sopra Gomorra. Appare evidente che quello che il linguaggio biblico definisce un «castigo di Dio», è la conseguenza drammatica di scelte e di comportamenti di un egoismo cieco, di un’avidità insaziabile e di una prepotenza ingovernabile.
Ecco l’interdipendenza: l’uomo biblico è costituito su tre relazioni fondamentali: con Dio, con gli altri e con il creato. I racconti della Genesi ci hanno insegnato che la vita nasce dalla distinzione, ed è la separazione che stabilisce la relazione: la relazione con Dio, con gli altri e con il creato, con la vita minerale, vegetale, animale…
Nel momento in cui perdiamo di vista questa connessione profonda e crediamo di farla da padroni provochiamo un corto circuito. Se noi riceviamo il mondo come un dono di Dio e se accogliamo l’altro anch’egli come un dono, la vita fiorisce e la fraternità umana è possibile. Ma nel momento in cui facciamo da padroni nel mondo, nel momento in cui l’altro non è più accolto come un dono, ma viene respinto o sfruttato… allora la nostra città, le nostre città sono destinate a diventare altrettante Sodoma e Gomorra.
L’esegesi ebraica racconta che se un povero diavolo arrivava per sbaglio a Sodoma, all’inizio gli abitanti lo ricoprivano di oro e di argento, di ogni oggetto prezioso… ma gli negavano un qualsiasi forma di cibo, nemmeno un tozzo di pane e tantomeno un bicchiere d’acqua. Alla fine lo sventurato moriva di fame e, non appena aveva esalato l’ultimo respiro, i cittadini si precipitavano a riprendersi ciascuno il proprio oro che avevano in precedenza marchiato con il loro logo, non mancando di litigare in merito alla distribuzione dei vestiti del defunto che a quel punto veniva sepolto nudo!
Una tale crudeltà e perversione degli abitanti di Sodoma e di Gomorra pareva addirittura impossibile a Dio, al punto che all’inizio della Genesi afferma: «Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» (18,21). Dio stesso parrebbe non credere alla capacità umana di travisare il dono della creazione e il dono dell’altro e di arrivare a tal punto di depravazione.
Il panorama desolante del mare di sale su cui piove fuoco e zolfo costituisce un monito per noi in quanto anticipa l’esito del mondo che stiamo costruendo con gli egoismi di pochi e le avidità di chi non possiede mai abbastanza. «Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli» scrive papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’ (n. 53).
Un testo che suggerisco alla vostra lettura in questo tempo d’estate, una riflessione che Francesco non rivolge soltanto al mondo cattolico, ma a ogni persona che abita questo pianeta… riguardo alla nostra casa comune (3), proprio perché «Tutto è connesso» (117;138).
La questione ambientale è connessa a quella politica, quella politica oggi è sempre più sottomessa a quella finanziaria, come dimostrano i fallimenti dei vertici mondiali sull’ambiente. Così la tecnologia, se non si integra in una visione globale, quando vuole risolvere determinati problemi ne crea degli altri con gravi conseguenze per le popolazioni e la natura… ed è questa la chiave di lettura dell’enciclica. Bisogna ammettere che siamo di fronte a una sfida epocale che non possiamo ignorare o minimizzare.
Per un verso siamo sospinti a impegnarci nel nostro particolare, nel quartiere e nella nostra città, ma al tempo stesso abbiamo la responsabilità di pensare globalmente: «L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une dalle altre» (86).
Un esempio in negativo di interdipendenza viene dal consumo di droghe che provoca una costante e crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce col degradare l’ambiente (142).
Al punto che scrive papa Francesco: «Non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero e proprio approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (49).
Nel momento in cui dimentichiamo la condizione di creature, di essere cioè destinatari di un dono, come diceva il racconto della creazione, quando dimentichiamo che l’altro è un dono, anche l’altro da me è un dono di Dio, quando, per dirla con l’immagine evangelica dell’invitato al banchetto che non ha «l’abito», non ha le abitudini buone, cioè quando l’uomo si affaccia al banchetto della vita con l’arroganza e la bramosia di sfruttare e non è vestito delle abitudini virtuose della sobrietà, della condivisione, della giustizia … allora non solo la sua coscienza e la sua vita sono un inferno, ma la stessa umanità, il creato, ovvero la casa comune, ne paga un prezzo altissimo.
La moglie di Lot che si volta indietro, quasi a rimpiangere le condizioni della vita di prima, fondate sulla corruzione e sul vizio, e che diventa una statua di sale è un’immagine eloquente che scuote la nostra indifferenza a diventare capaci di «pensare di rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti» (193).
Come racconta Gesù, anche noi siamo invitati al banchetto della vita, ma poi è con le nostre scelte e le nostre abitudini che possiamo custodire la terra e la stessa umanità come un giardino o renderla una landa desolata.
Quale responsabilità ci è affidata! Chiediamo per tutte le donne e tutti gli uomini quello spirito che fu proprio di Francesco d’Assisi, il quale seppe vedere la creazione come un dono che scaturisce dalla mano del Padre di tutti, ma fu anche capace di un sussulto di consapevolezza e di responsabilità per la casa comune, scegliendo la povertà come stile di vita, convinto che «meno è di più» (222).