I DOPO L’EPIFANIA - Battesimo del Signore - Mc 1, 7-11
(Is 55, 4-7; Ef 2, 13-22; Mc 1, 7-11)
Dal vangelo che abbiamo ascoltato, ci rendiamo conto che la liturgia nel farci rivivere la storia del Cristo, non segue un criterio strettamente cronologico, ma ci propone in queste domeniche dopo Natale alcune grandi manifestazioni di Gesù, precisamente i tre grandi eventi spettacolari dell’inizio della sua vita: la visita dei Magi, il battesimo al Giordano e le nozze di Cana (domenica prossima).
Oggi dunque, dopo aver contemplato con i cuori pensanti dei Magi il mistero del Dio Bambino, siamo anche noi sulle rive del Giordano ad accompagnare Gesù ormai adulto in questo passaggio fondamentale della sua vita.
Il Giordano è un fiume che ha visto tanti passaggi del popolo d’Israele, un fiume di storia che scorre sul confine tra il deserto e la terra promessa, come a segnare il limite sottile che attraversa la vita umana, sempre in bilico tra il fallimento e il successo; tra l’aridità e la fecondità; tra una vita gioiosa e una vita triste.
Che Gesù, che il Figlio di Dio, inauguri la sua missione immergendosi in questo fiume di umanità è davvero uno spettacolo inaudito. Ci saremmo aspettati un’entrata in scena con effetti sbalorditivi di potenza e di forza e invece lo vediamo in fila con altri peccatori per ricevere il battesimo di Giovanni. E noi qui dovremmo forse dedicare un qualche tempo, qualche domenica anche a capire come Gesù sia arrivato a questa scelta e dovremmo pensare a quei trenta/trentaquattro anni passati dal Signore in silenzio ad imparare a leggere e a scrivere, a imparare un mestiere, a crescere come uomo nel condividere le gioie e le fatiche della vita. Sono anni preziosi e non solo da considerare come preparazione alla missione, ma come anni di vita vera, profondamente umana …
Gesù, un ebreo come tanti altri, cresciuto al Nord di Israele, dove ha imparato a conoscere se stesso e l’animo umano, dove si è immerso nelle vicende di una famiglia e nelle speranze di un popolo, ad un certo momento scende al Giordano, aderisce al gruppo del Battista e si mette in fila con tutti gli altri per ricevere un battesimo di penitenza.
Nel mezzo del silenzio del deserto, quando tacciono le grida del Battista che abbiamo ascoltato durante l’avvento e nel brusio della confessione dei peccati di quanti si immergono nel Giordano, Gesù ascolta la voce di Dio che dice: «Questi è mio figlio, l’amato. Mi piace proprio»! Mi piace proprio questo suo modo di fare, è proprio da figlio di Dio!
La stessa espressione Marco la ripropone sul monte della Trasfigurazione, non solo ma anche sul monte dove è conficcata la croce, quando di fronte allo spettacolo drammatico di Gesù crocifisso in mezzo a due malfattori – ancora in mezzo ai peccatori – sarà la voce di un pagano a dire: Questi davvero è il Figlio di Dio. Tutto il Vangelo è racchiuso tra queste due affermazioni: quest’uomo Gesù è Dio. In questo modo di essere uomo di Gesù, si rivela il volto di Dio.
In termini antropologici la questione che il battesimo del Signore ci viene a riproporre è proprio questa: ma che tipo di uomo è questo Gesù, che uomo è il Figlio di Dio?
E la questione riguarda anche il nostro di battesimo, la domanda ci riguarda da vicino: ma quale uomo, quale donna sono chiamato ad essere?
Se noi chiediamo ai nostri figli e alle nostre figlie: Cosa vuoi diventare? Ieri ci dicevano: ingegnere, dottore, avvocato … per indicare un mestiere utile e di prestigio, oggi ci dicono: un mestiere che ci faccia avere tanti soldi … Mai nessuno che chieda di diventare semplicemente uomo.
Nostra madre e nostro padre non ci ha messo al mondo per fare il prete, per fare l’ingegnere o per fare i soldi … – con tutto il rispetto perché tutte le professioni sono importanti- ci hanno messo al mondo per diventare uomo, per diventare persona.
Ma quale uomo? Quale persona? Ecco la questione cruciale. Alla domanda che potremmo porre allo stesso Gesù: «E tu cosa vuoi fare da grande?» ci risponde il vangelo con quello che accade a Gerusalemme all’età di dodici anni, quando dice a sua madre: «Devo stare nelle cose del Padre mio».
Gesù non identifica la sua vita in una professione, in un ruolo sociale, in una responsabilità che la realtà gli chiede in quel momento. Il Signore ha chiaro fin da subito la cosa che conta più di ogni altra e che sulle rive del Giordano risuona dall’alto con intensità: «Tu sei il Figlio mio, l’amato». La questione quale uomo siamo chiamati ad essere, è data dalla dignità che Dio ci riconosce nell’essere suoi figli. Anche qui le domande incalzano perché ci domandiamo: ma quale figlio? che tipo di figlio?
Non dobbiamo dimenticare che essere figli di Dio come Gesù, non corrisponde alla nostra idea di figlio di Dio, non collima con le nostre aspettative, perché dobbiamo sempre guardare che cosa ha significato per Gesù essere figlio. Il silenzio sui primi trent’anni della vita del Cristo non è indifferenza, non significano semplicemente la preparazione a fare tutto quello che farà dopo. Ma in quel silenzio c’è una coerenza tra come Gesù ha vissuto per trenta/trentacinque anni e quella che sarà la sua vita, dove l’esperienza del Giordano conferma che l’essere amati da Dio, figli amati, non significa essere messi sul piedistallo, ma immergerci e scendere nella condivisione della fragilità degli uomini e delle donne di oggi e di sempre.
In Gesù uomo che scese nel Giordano e si è consegnato per amore, Dio ci rivela l’uomo che egli ama: l’uomo solidale, l’uomo che porta il peccato dell’altro, l’uomo che vive nella giustizia, l’uomo capace di riconciliazione, l’uomo che non condanna a morte un altro uomo. L’uomo che è disposto a pagare di persona per la fedeltà alla sua missione e che non insegue il successo o il consenso. Fino a quelle parole emblematiche pronunciate da Pilato nel consegnare alla folla il Cristo fustigato e umiliato: Ecco l’uomo!
Non è forse questo lo spettacolo che anche noi battezzati dobbiamo offrire al mondo oggi? Guardate che uscendo dal Giordano si può prendere la direzione verso il deserto o verso la terra della promessa.
Ricevuto il battesimo, i nostri passi si possono muovere nell’una o nell’altra direzione: verso il deserto dell’individualismo, della violenza, nella logica di Caino; oppure verso la terra della promessa nella logica di Abele, per costruire solidarietà, condivisione e rispetto in una casa comune edificata nella convivialità delle differenze.
Essere immersi nel battesimo di Gesù, ce lo ricorda Paolo nella seconda lettura, essere figli in Cristo, significa operare affinché non ci sia più divisione, affinché non ci sia più né straniero né ospite, perché siamo tutti concittadini di quella casa comune che è la terra amata da Dio.
Che il Padre possa dire anche di noi, della nostra comunità e della nostra Chiesa: mi piace proprio come vivete, perché vi comportate come il Figlio mio l’amato.