VI DOPO PENTECOSTE - Gv 19, 30-35


audio 17 luglio 2022

Un poco ci sorprende il fatto che in questa domenica di luglio leggiamo la pagina di Giovanni della crocifissione e morte di Gesù.

Abituati come siamo a una narrazione cronologica, quasi biografica della vicenda del Cristo, non ci rendiamo conto dello scollamento interiore tra la vita spirituale e le vicende del mondo, tra la vita di fede e le esperienze che viviamo.

Quale atteggiamento spirituale esige lo stare nel nostro tempo, come essere discepoli di Cristo nelle vicende che sembrano talvolta travolgerci?

Al cristiano viene forse più facile l’atteggiamento della vittima di fronte ai tempi difficili, atteggiamento che tanti assumono come a chiamarsi fuori dalle responsabilità e finiscono per cadere in quella piccola depressione che li porta a rifugiarsi nel loro angusto perimetro.

Oggi siamo invitati a stare davanti al Cristo sulla croce, e lo facciamo ascoltando le parole di chi lo ha visto morire così, perché Giovanni era lì sotto e non ha semplicemente assistito a uno spettacolo cruento, non era lì per filmarlo col telefonino, ma nel suo Vangelo ci viene a dire che Gesù non è che nell’ingiusta condanna si è rifugiato in uno spiritualismo evanescente, non è che straziato dalla sofferenza ha cercato l’evasione in un atteggiamento imperturbabile, ma è rimasto uomo fino in fondo.

Gesù non si è nemmeno posto – e la cosa poteva risultargli molto semplice- come vittima sacrificale di un sistema malato e di una congiura criminale… schiacciato dai super poteri dei militari e dei capi religiosi.

Giovanni usa dei termini molto precisi. Le parole sono importanti per dire quello che egli ha colto non solo di quello che stava succedendo, ma di come Gesù lo stava vivendo. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: è compiuto! Chinato il capo consegnò lo Spirito.

Gesù beve l’aceto, lui che a Cana di Galilea aveva trasformato una quantità enorme di acqua in vino… però questo è quello che il potere umano ti dona!

La sete di Gesù è certamente la terribile sete fisica che un crocifisso provava, ma è anche il desiderio ardente da parte di Gesù di compiere la sua vita, di dare compimento alla sua missione.

Qual è il compimento? Che lui muoia? Che lui si sacrifichi per i nostri peccati? Gesù nell’imminenza della morte ha sete (salmo 69,22) di compiere sino all’ultimo la volontà del Padre: che gli uomini abbiano la vita (3,16).

Ricordiamo cosa aveva detto a Pietro al momento dell’arresto: Non dovrò bere il calice che il Padre mi ha dato? (18,11).

Gesù non muore con un “Perché” (cfr Mt e Mc), non si abbandona nelle mani del Padre (Lc), ma grida: è compiuto. Che non significa un banale “è finita”, ma vive la sua morte come compimento di una vita continuamente donata, così che anche la morte è un dono.

Cosa per noi incomprensibile, ma che Giovanni intuisce al punto che annota precisamente: Chinato il capo, consegnò lo spirito. Con questi ultimi due gesti comprendiamo come Gesù viva la sua morte. Non solo non la evita, non scappa, ma nemmeno la subisce. Gesù rimane attivo persino nel modo di spirare, come aveva detto in 10,18: Nessuno mi toglie la vita se non la dono da me stesso.

Chinato il capo. Se dalla croce ha la forza di abbassare lo sguardo è per cercare di incontrare gli occhi di chi sta lì sotto, per non morire solo.

Consegnò lo spirito. Espressione che non ha paragoni in letteratura, il verbo consegnare indica un dono voluto… Ma a chi consegna lo Spirito?

Si pensa naturalmente al Padre che l’ha mandato nel mondo. Ma questa consegna fa pensare anche in quell’ultimo respiro Gesù continua a donare quanto ha promesso ai suoi. In particolare alla madre e al discepolo amato, rappresentanti di quella comunità che diventa erede della sua parola.

Giovanni riconosce in colui che sta morendo, la coscienza di aver portato a termine la sua vita fatta di dono, donando fino all’ultimo, anche il suo spirito, e se all’occhio del cronista il soldato che gli squarcia il fianco con una lancia, pare essere l’ennesima inutile crudeltà, in realtà Giovanni vi legge e ci invita a vedere un cuore grande aperto sul mondo.

Ricordate la domanda iniziale con cui si apre il Vangelo di Giovanni: “Signore, dove dimori?” e la risposta di Gesù: “Venite e vedrete”?

Ora si tratta di vedere, di accogliere l’invito a “Volgere lo sguardo a Colui che è stato trafitto” perché è proprio questo cuore aperto, questo costato trafitto a dirci l’amore di cui è capace Gesù, di cui è capace Dio per noi.

Giovanni vede Dio abitare questo spazio, abitare lo spazio di un amore che si consegna aprendosi per diventare spazio accogliente per ogni uomo. Dove tutti trovano posto, tutti.

In definitiva, se c’è un messaggio per noi oggi, se c’è un atteggiamento spirituale che possiamo vivere nelle convulsioni della storia, fatte di guerre, di violenze, di crisi di governo e di crisi ambientali… Trovo che questa sia la radicale novità dell’esperienza di Gesù: non viene per pacificare tutto, per tranquillizzare tutti, per cancellare ogni bruttura… ma per assumerle su di sé, per compierle e così trasformarle in un punto di partenza per una nuova fiducia e un nuovo senso di responsabilità che è capacità di rispondere alle sfide che ogni tempo propone a noi esseri umani, sapendo che siamo fatti per farcela.

L’atteggiamento spirituale è in questa consapevolezza che il Cristo ci consegna: la determinazione che possiamo farcela, che possiamo trasformare l’umiliazione, il dolore, la violenza, la morte…. In occasione di ripartenza, di ricominciamento.

Abbandoniamo l’atteggiamento predatorio nei confronti della vita, della natura, della storia. Smettiamola con la conquista, la crescita all’infinito, il dominio…

Impariamo l’obbedienza che ci domanda di portare a compimento la nostra esistenza. Qual è il compimento per noi? Cosa significa dare pienezza alle nostre vite, se non rimanere fedeli e imparare a trasformare le vicende in opportunità di grazia e di amore?

Contemplando il Crocifisso impariamo a stare così nelle contraddizioni e nelle brutture della storia del mondo, affinché lì dove sovrabbonda il male, il peccato, l’odio e la violenza, sull’esempio di Gesù possiamo lasciare che l’amore sia l’amore, quello che non muore mai.

(Gv 19, 30-35)