II DI QUARESIMA o Domenica della Samaritana - Gv 4, 5-42


(Gv 4, 5-42)

In questa pagina evangelica il Signore ci racconta della sete della donna di Samaria, ma ci narra anche la sete di Dio. L’incontro di Gesù con la Samaritana è l’incontro tra la sete di lei – che è la sete che abita il cuore di ciascuno di noi – e la sete di Gesù -che è anche la sete di Dio. Anche l’Eterno, dice Gesù, ha una sua sete.

La nostra sete, che è il nostro desiderio costretto tra il bisogno e la necessità, la conosciamo bene, al punto che anche nei modi di dire ricorriamo ad espressioni che la manifestano chiaramente: «Ho sete di amore, di successo, di felicità …».

Ma Dio? Quale è la sete di Dio? Non ci è chiesto di fare chissà quali speculazioni, conosciamo la sete di Dio guardando il Cristo seduto al pozzo, mentre intesse un dialogo intenso con questa donna di Samaria.

Se prestiamo attenzione, ci rendiamo conto che il dialogo ha una struttura settenaria, sette battute, cioè sette domande e sette risposte tra il Signore e la donna, come a disegnare un paziente accompagnamento per dire la sete di Dio. Sì, se possiamo parlare di lui in termini a noi comprensibili, dice Gesù, anche Dio ha sete di donarci un’acqua viva, corrente e non quella dei nostri pozzi. La sete di Dio è che noi sperimentiamo quanto egli ci ama, è che possiamo arrivare a comprendere finalmente che l’estinzione della nostra sete di amore, di comprensione e di felicità non riusciamo a darcela con le nostre bevande, più o meno gasate, ma accogliendo il dono di Dio per noi.

Ma per accogliere questo dono dobbiamo, come è stato per la Samaritana, fare la fatica di lasciare che Gesù ci aiuti a sgomberare il cuore da tante ambiguità, dai surrogati con cui cerchiamo disperatamente soddisfazione.

Come accade in montagna quando riusciamo a intravvedere una sorgente d’acqua nascosta sotto il terriccio, coperta dai rami secchi e dai sassi… e allora per potervi attingere, dobbiamo fare pulizia intorno, togliere ogni impurità, ogni impedimento e poi lasciare che scorra finché non diventi pulita.

La donna Samaritana deve dunque lasciare che Gesù purifichi il suo cuore e la sua libertà…. Ma è evidente che questo non avviene senza una qualche resistenza. La donna all’incalzare del Cristo, oppone le sue obiezioni, che sono le sue paure e come sempre le paure che ci abitano dicono la nostra mancanza di libertà.

Ecco la prima obiezione della Samaritana: «Ma io sono samaritana e tu sei un giudeo, cosa vuoi da me?». Parole che attraversano la storia di sempre. Sono quei rigurgiti di nazionalismo e di particolarismo che vengono riproposti in maniera aggiornata in ogni epoca della storia del mondo, ma che non fanno altro che mettere il fango sulla sete di Dio che vuole che la famiglia umana sia una sola grande famiglia. La sete di Dio, il disegno di Dio è iscritto nel cuore di ogni essere umano, di ogni persona, di ogni creatura perché tutti siamo figli suoi.

In secondo luogo, la donna cerca disperatamente di soddisfare la sua sete d’amore in una convulsa vita affettiva e sembra quasi che ci provi anche col Cristo se arriva a dire: «Ma io non ho marito!». Sembra quasi volesse dire di essere libera, ma in realtà nasconde una profonda solitudine, perché a questa sete di amore finora ha dato risposte sbagliate.

Gesù conosce la sete di quella donna, conosce la sete di ognuno di noi: il bisogno di amare e di essere amati. È un desiderio grande, costretto tra il bisogno e la necessità, che non dipende da noi, è come la sete: chi può comandare la sete? La possiamo controllare per un po’, ma alla fine non si può fare a meno di bere, è questione di vita o di morte.

Abbiamo nel cuore e nelle fibre dell’esistenza un’irresistibile sete d’amore, ed è parimenti, questione di vita o di morte, perché tutto dipende donde attingiamo la soddisfazione a questa sete. Non c’è uomo o donna che possano dare pienezza alla nostra sete di amore. Gli innamorati dicono: «Tu sei tutto per me», ma poi ben presto si rendono conto che l’altro-l’altra non possono essere tutto. Non possiamo chiedere di estinguere la nostra sete a un’altra creatura che a sua volta ha la stessa nostra sete, saremmo costretti come la donna di Samaria a una coazione a ripetere: cinque mariti, un amante e poi non basta ancora! C’è solo un’acqua viva che può dissetarci davvero.

La sete di Gesù è ancora più grande, la sete di misericordia è più forte di ogni peccato, così che non condanna quella donna, certo non approva i suoi comportamenti, ma notate come si non dica mai il nome della donna: Giovanni ci dirà il nome di Nicodemo, di Lazzaro… ma non quello della samaritana. È una discrezione del vangelo: di fronte alla sofferenza morale ci vuole una delicatezza estrema, un rispetto che è sempre più difficile da trovare, con questa moda spudorata di buttare tutto in pasto ai media.

Infine osservate come la donna tenti di difendersi fino all’ultimo, opponendo al Signore un’obiezione questa volta «religiosa»: su quale monte si debba adorare Dio. Ed è una questione che ha un suo senso perché la tradizione samaritana, ancora oggi, è legata al solo Pentateuco dove si narra che le tribù dopo il passaggio del Giordano sono convocate sul monte Garizim (Dt 27, 12) e non sul monte Sion. Nel Deuteronomio non è Gerusalemme capitale, come accadrà più tardi con Davide.

Gesù con pazienza e determinazione non molla il colpo, fino a quando la donna di Samaria, dopo aver sgombrato il cuore da tutto ciò che la ingolfava e lasciandosi guidare in questo dialogo stringente, non trova la sorgente d’acqua viva così che dimentica la brocca al pozzo, anzi non la dimentica, l’evangelista dice che la lascia lì.

Un particolare prezioso per dire che evidentemente non le serve più, ha trovato la sorgente vera e inesauribile che è Gesù e quest’acqua non può essere imbottigliata, ma diventa sorgente di acqua che zampilla da condividere con gli altri.

Dovremmo a questo punto, dopo aver guardato alla nostra sete, volgere lo sguardo intorno a noi per abbracciare tutti gli assetati, tutti coloro che sappiamo stanno sbagliando nella loro sete d’amore, questa nostra umanità che non sa più come dirci la sete disperata di amore, di dialogo, di tenerezza.

Di un cristianesimo così, di una chiesa così c’è bisogno oggi. La nostra umanità non ha sete di un cristianesimo imbottigliato. Gesù non ha organizzato una giornata per tutte le Samaritane dei pozzi, non si è reso paladino di qualche battaglia ideologica, questa è la religione della brocca, dell’anfora, della bottiglia: la religione che vorrebbe raccogliere l’acqua viva in un contenitore di plastica per poi opportunamente distribuirla in base a condizioni, a confini, criteri … No! Gesù offre gratuitamente a tutti ogni domenica la sorgente viva nella quale immergere il nostro cristianesimo stanco e assopito, un cristianesimo simile all’acqua della brocca che serve ancora per bere, ma che non trasmette più la freschezza della sorgente.

Chiediamo alla Samaritana almeno un po’ della sua sincerità, perché possiamo stare davanti al Signore nella verità delle nostre vite, senza barare.

E chiediamo anche al Signore di avere ancora pazienza con noi e ci renda capaci di abbandonare il cristianesimo delle brocche, delle bottigliette di plastica, il cristianesimo triste dell’apologetica, della paura e della difesa perché il Vangelo torni ad essere sorgente che zampilla nei nostri deserti.