VI DOPO PENTECOSTE - Lc 6, 20-31


Le tre letture che abbiamo ascoltato ci raccontano di altrettanti modi in cui un popolo può essere liberato, può conoscere la liberazione, la libertà.

Il libro dell’Esodo, come ben sappiamo, racconta di come Mosè prese in mano le sorti delle tribù d’Israele e come da buon condottiero guidò la sua gente dalla terra di schiavitù alla terra della libertà. Non fu assolutamente un’esperienza facile, nient’affatto scontata, anche se il libro ci dice che Dio guidava il percorso aprendo mari e facendo scendere pane dal cielo e scaturire sorgenti… tuttavia questo essere guidati dall’ Eterno non rese loro una vita più facile.

Anzi, proprio il passo di oggi presuppone che ad  un certo punto del percorso sia avvenuto il grande tradimento, quando la gente, che aveva respirato a pieno la cultura egizia, si costruì un vitello d’oro perché la gente vuole sì la libertà, ma la vuole a modo suo, vuole un dio burattino perché faccia quello che il popolo desidera, quello che vuole.

Sappiamo poi come andarono le cose, Mosè fu costretto a ritornare sul monte Sinai per una nuova edizione delle tavole della Legge, ma soprattutto per ribadire che Dio non è un oggetto. Dio non si può vedere. Dio ti libera, Dio ti fa uscire dalla terra di schiavitù, ma questo non ti permette di mettere le mani su di lui e di poterlo usare come più ti aggrada.

Dio scende nella nube, dice al v.5 e appena sopra l’Eterno risponde alla richiesta di Mosè di poterlo vedere, che lo vedrà ma solo di spalle… insomma la vera gratitudine che puoi donare a chi ti libera è di fidarti di lui, ma di stare a giusta distanza, di vivere  questa che l’Esodo chiama appunto alleanza, lasciandoti condurre fuori dalle tue paure, dalle tue schiavitù, dalle tue oppressioni senza fare di Dio un oggetto di cui disporre.

La liberazione è dunque dalla schiavitù degli egiziani e per la quale basta attraversare il mar Rosso, ma c’è una liberazione che richiede un cammino lungo quarant’anni che consiste nel lasciare che Dio sia Dio. Dio non lo puoi vedere in volto, non lo puoi che vedere di spalle, ovvero dopo che è passato. Dio scende nella nube e la nube la vedi, la riconosci ma al tempo stesso la nube copre, occulta, nasconde.

C’è poi un secondo modello di liberazione che è quello che Paolo rimprovera ai cristiani di Corinto. La liberazione attesa e desiderata attraverso i vari Paolo, Apollo, Pietro, Giovanni, Francesco di turno…

Da sempre l’umanità ripone facilmente la propria fiducia in qualche leader, in qualche capopopolo sul quale vengono caricate tutte le attese e sul quale vengono proiettate tutte le proprie debolezze nella ingenua e facile certezza che solo lui le potrà risolvere.

È la tentazione di sempre, l’illusione che ci fa individuare la via d’uscita attraverso la persona forte, il carismatico, l’uomo di potere…

Questa conclamata aspettativa arriva fin dentro la comunità cristiana, così che espressioni, caratteristiche, sensibilità non sono manifestazione di una normale e arricchente diversità, ma diventano divisioni, settarismi, partiti che sono anche il pretesto per far trionfare personalismi, giudizi di valore che fanno credere agli uni di essere migliori degli altri…

Paolo rimprovera duramente questo modo di fare ricordando ai discepoli di Gesù il principio per cui solo Dio fa crescere! Certo noi possiamo trovarci più facilmente in sintonia con il tal gruppo, con quella spiritualità o con quel movimento… ma se dimentichiamo che colui che ci libera è solo Dio, allora poniamo – questa è la grave conclusione di Paolo – un fondamento diverso da quello che è Gesù Cristo. Vale a dire che ognuno si fa la sua chiesa, la sua conventicola, la sua appartenenza… questo riporta alla dipendenza da un capo che non è il Signore. Si torna ad essere schiavi da chi ha bisogno di sudditi. Solo il Signore libera, gli altri tutti hanno sempre un qualche interesse a tenere gli altri dipendenti e schiavi.

La proposta definitiva di liberazione viene da Gesù. E noi dobbiamo riconoscere che le Beatitudini così come ce le trasmette Luca sono sconcertanti. Sono sconcertanti per il loro tono paradossale, ma proprio per questo esercitano un certo fascino.

Tutti quanti portiamo nel più profondo del cuore una fame insaziabile di felicità. Quando incontriamo un essere umano possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a qualcuno che cerca esattamente la stessa cosa che desideriamo noi: essere liberi, essere felici, essere liberati dalla tristezza, dalla paura.

La questione è che noi cristiani riteniamo le beatitudini incredibili, nel senso letterale del termine, così che anche noi poniamo la felicità in altre cose e anche se facciamo fatica ad ammetterlo apertamente per molti ciò che è decisivo per essere felici è avere soldi. E così uno lavora per avere soldi, vuole avere soldi per comprare cose. Possiede cose per essere qualcuno e avere una posizione in società. Questa è la felicità in cui crediamo.

Percepiamo che questo è anche assurdo, eppure ci piace il nostro modo di vivere anche se non ci rende felici.

Luca che conosceva bene le abitudini e consuetudini della sua gente, non ha tralasciato allora di accompagnare le beatitudini anche con i Guai! Ricorda che Gesù ha fatto presente le minacciose conseguenze cui conduce una vita del genere per quanti, dimentichi della chiamata all’amore, se la spassano appagati nel proprio benessere.

Abbiamo imparato molte cose, ma non sappiamo esser felici.

Abbiamo bisogno di così tante cose da essere dei poveri bisognosi. Per ottenere il nostro benessere siamo capaci di mentire, truffare, tradire noi stessi e distruggerci a vicenda. E così non si può essere felici. Le maggiori cause della nostra sofferenza sono le bugie che raccontiamo a noi stessi.

Noi cristiani abbiamo dimenticato che il Vangelo è una chiamata a essere felici. Ma non in un modo qualunque, piuttosto attraverso le vie suggerite da Gesù e che sono completamente diverse da quelle proposte dalla mentalità dominante. È questa la liberazione più grande. È meglio dare che ricevere, è meglio servire che dominare, condividere che accumulare, perdonare che vendicarsi.

In fondo quando ci rendiamo capaci di ascoltare sinceramente il meglio che c’è nel più profondo di noi stessi, intuiamo che Gesù ha ragione.

Beati quelli che sanno essere poveri e condividono il poco che hanno con gli altri. Guai a coloro che si preoccupano solo delle proprie ricchezze e dei loro interessi.

Beati quelli che conoscono la fame e il bisogno, perché sapranno non sfruttare, né opprimere e tantomeno calpestare gli altri. Ma guai a coloro che vivono appagati e tranquilli, senza preoccuparsi di chi ha bisogno.

Beati coloro che piangono le ingiustizie, le morti, le torture, gli abusi e la sofferenza dei deboli. Guai a coloro che ridono del dolore degli altri mentre si godono il proprio benessere.

Il Vangelo non può essere ascoltato ugualmente da tutti. Mentre per i poveri è una Buona Notizia che li invita alla speranza, per i ricchi è una minaccia che li chiama a cambiare.

Gesù pone tutti noi davanti alla schiavitù più dolorosa che esiste nel mondo e dalla quale lui ha tracciato una via di liberazione.

Gesù non aveva il potere politico e religioso necessari per cambiare la situazione di schiavitù di tanti suoi contemporanei, ma lui sta in mezzo a loro, sta con loro. Non porta più denaro, ma vive in semplicità. Sa molto bene che le sue parole non significano la fine immediata della fame e della miseria, dell’ingiustizia e della paura… ma apre una strada nuova nei cuori di chi lo ascolta.

La liberazione non viene data da un Dio che possiamo manipolare come fanno i mafiosi… la liberazione non viene nemmeno dagli uomini forti, dalle appartenenze ai nostri gruppi… La liberazione viene dalle parole incredibili delle Beatitudini.

Proviamo a fare qualcosa di gratuito: un gesto d’amore, una telefonata che abbiamo sempre rimandato… è facile finire col non amare nessuno in modo gratuito perché ci accontentiamo di non fare del male a nessuno; non ci impicciamo dei problemi degli altri; rispettiamo tutti; viviamo la nostra vita… In definitiva siamo schiavi di noi stessi. Amiamo solo noi stessi.

La via che ci libera per la gioia e la felicità è quella di amare gratuitamente. Lo stiamo dimenticando. Le domande che sempre ci affastellano la mente sono: a cosa serve? È utile? Che ci guadagno? Insomma siamo abituati a calcolare e a misurare tutto.

Diceva Helder Camara: Per liberarti da te stesso, lancia un ponte al di là dell’abisso creato dal tuo egoismo. Cerca di vedere al di là di te stesso. Cerca di ascoltare qualcun altro e, soprattutto, sforzati di amare gli altri invece di amare solo te stesso.

(Es 33, 18-34,10; Lc 6, 20-31)