DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Mt 21, 10-17


audio 15 ott 2023

La festa della dedicazione del nostro Duomo per un verso ci fa pensare alla chiesa di chi ci ha preceduto, di uomini e donne che hanno non solo costruito una meraviglia divenuta simbolo di tutta la città, ma che hanno vissuto con fede il loro tempo, hanno testimoniato l’amore nelle prove e nelle sofferenze, hanno tenuto alta la speranza nonostante le ingiustizie… in una parola hanno incarnato il Vangelo.

Ma è anche una festa che ci interroga: quale chiesa siamo noi oggi? Meglio sarebbe dire: siamo la chiesa che Dio vuole per questo nostro tempo? Evidentemente la domanda denuncia l’insoddisfazione che attraversa tutta la diocesi e che evidenzia la preoccupazione per il futuro, l’incertezza di come andranno a finire tutte le nostre grandi strutture (chiese, santuari, centri parrocchiali, oratori…). Qualche speranza possiamo riporla nel Sinodo che si sta celebrando a Roma e che ha sul tavolo molte questioni attuali. Eppure anche su questo siamo un poco rassegnati: sappiamo che gli equilibri e la lentezza rendono difficili decisioni concrete e efficaci.

Alla luce di questi accenni, la nostra potrebbe diventare una celebrazione triste, sconfortata, ma la chiesa non è nostra, la chiesa è di Dio, è ‘convocata’ (ricordiamo sempre il significato delle parole) dalla parola di Dio e le letture che abbiamo ascoltato suggeriscono tre dimensioni che ci aiutano in questa navigazione difficile.

Il Vangelo di Matteo con Gesù che entra nel tempio facendo piazza pulita dei tavoli e delle bancarelle, richiama la chiesa tutta a una prima grande conversione: essere una chiesa povera e dei poveri.

Don Milani già nel 1958 nella dedica del libro Esperienze pastorali si rivolge ai missionari cinesi che lui immagina in un futuro venire ad annunciare il vangelo contemplando i ruderi dei nostri campanili… perché saranno necessari i missionari cinesi per rievangelizzarci dopo la caduta della Chiesa per mano dei poveri stanchi di non essere difesi e appoggiati nella loro lotta per la giustizia.

Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito. È nel dormiveglia che abbiamo fornicato col liberalismo di De Gasperi, coi Congressi eucaristici di Franco… quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri erano già partiti senza di noi.

Continua sulla stessa lunghezza d’onda nell’altra lettera che chiude il libro, la Lettera a don Piero, dove scrive: Per un prete, quale tragedia più grossa di questa potrà mai venire? Essere liberi, avere in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto d’essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti. Aver la chiesa vuota, vedersela vuotare ogni giorno di più. Saper che presto sarà finita per la fede dei poveri (pp.464-465)

Al termine del Concilio Vaticano II una quarantina di vescovi (in maggioranza dell’America latina) sugli oltre 2500, il 16 novembre 1965, poco prima della chiusura del Concilio, volle sottoscrivere il cosiddetto: Patto delle catacombe, ovvero il patto con cui come vescovi si impegnavano a realizzare una “Chiesa povera”, scevra da tutti i simboli e i privilegi del potere per mettere i poveri al centro del ministero pastorale. Un impegno e una conversione sempre più urgenti per la chiesa.

La seconda prospettiva viene suggerita da Paolo con l’immagine della casa in cui ci sono diversi vasi, diversi utensili… e ci chiede un’ulteriore conversione, una grande conversione: passare da una Chiesa piramidale, clericale a una Chiesa in cui tutto il Popolo di Dio è soggetto, dove i carismi che ciascuno di noi riceve dallo Spirito vengono riconosciuti a servizio del bene comune.

Dobbiamo dircelo: una struttura che non molla il patriarcato non ha futuro. Almeno per due aspetti che accenno solamente: ai vescovi spetta la collegialità, che Lumen gentium ha rimesso in auge, ma la sinodalità non è la collegialità. Quest’ultima riguarda pochi, la sinodalità riguarda il popolo in cammino, come dice la Bibbia, con diritti e doveri. E poi la questione del ruolo della donna: oggi ci domandiamo seriamente ma “Cristo può essere rappresentato solo da maschi”? È il sesso il discrimine? Paolo diceva in Galati: Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (3,8). Già solo poter discutere e confrontarci su questi temi sarebbe un bell’esercizio di sinodalità.

Infine la terza prospettiva la raccogliamo dal profeta Baruc quando parla della casa di Dio, come di una casa grande, non ha fine, senza misura! Una casa che non è ovviamente il tempio, ma l’assemblea dei popoli, di tutti i popoli, anzi come dice il salmo 86 (87), con una visione profetica che assume in questi giorni un’attualità drammatica, perfino i popoli, una volta nemici e stranieri, vengono a Sion.

Raab e Babilonia: cioè l’Egitto e Babilonia protagonisti delle due grandi sciagure bibliche, cui seguono la bellicosa Filistea e Tiro, fino all’Etiopia… ogni nome evoca un ricordo negativo di morte, di violenza, di odio, eppure un giorno questi popoli vengono accolti dal Signore in Sion, e Lui come un impiegato dell’ufficio immigrazione, iscrive i loro nomi nel registro degli aventi diritto di cittadinanza. Non si tratta più della salvezza di Sion o dei figli di Sion, ma di tutti i popoli mediante Sion (Is 19,23-25).

Israele come popolo biblico ha una sua precisa identità, di popolo eletto e chiamato, ma senza mai dimenticare che l’elezione è per una missione universale, il fine dell’elezione, come canta il salmo con una visione straordinaria e coraggiosa, è che ciascun popolo possa poter dire: là costui è nato!

Ecco la terza grande conversione che riguarda anche la Chiesa, come riguarda tutte le religioni e le fedi: essere capaci di comunione nelle differenze e nelle diversità.

Una chiesa povera, dunque, una chiesa di Cristo e non solo di pochi, una chiesa di tutti, non romana o latina, ma una comunità in cui tutti gli uomini e di tutte le donne devono poter trovare la loro cittadinanza.

(Bar 3,24-38; 2Tm 2,19-22; Mt 21, 10-17)