PASQUA - nel giorno - Gv 20, 11-18
Come già domenica scorsa una donna, Maria di Betania, ci ha introdotti nel mistero grande della settimana santa, della settimana di passione nella quale abbiamo accompagnato il Signore Crocifisso con la preghiera, l’affetto e la meditazione. Così oggi, domenica di Pasqua, è ancora una donna che ci accompagna, anzi che ci precede alla tomba di Gesù.
È Maria di Magdala, Maria di Migdal, che significa «la torre», nel nome emerge la statura del suo amore: come una torre si erge su tutti e per questo dopo era stata sotto la croce a condividere lo strazio della Madre, era stata la prima al mattino presto a giungere al sepolcro, ma l’aveva trovato vuoto. Allora era tornata da Pietro e così Pietro e Giovanni erano accorsi trafelati al sepolcro e avendolo trovato vuoto, erano tornati a casa, perché non avevano ancora compreso che doveva risorgere dai morti, scrive Giovanni (20,9).
Lei invece è rimasta lì. Maria stava all’esterno. Stava lì, non si dava pace e non aveva cercato nemmeno una facile consolazione nel gruppo. Era rimasta come bloccata. Tanto era il suo amore. Ma ormai non c’era più nulla da fare, se non tenersi caldo nel cuore il dolce ricordo di ciò che era stato e lei piange, di un pianto inconsolabile proprio di chi non ha più nemmeno un luogo sul quale ricordare la persona amata.
In molte parti della terra, forse anche vicino a noi o nelle nostre stesse case in questi giorni gli occhi sono appesantiti dalle lacrime, dal pianto di dolore, per una morte, per un dolore, per la violenza che insanguina le strade di mezzo mondo. Quanta gente ancora oggi non ha neppure un luogo dove andare a piangere i propri cari?
E noi siamo come lei, senza parole, ammutoliti e straziati perché non sembra che riusciamo a cambiare le cose e forse non riusciamo nemmeno più a piangere, e la nostra domanda è: perché? Perché tanta ingiustizia? Perché tanta violenza? perché tanto dolore? Perché? Era il grido risuonato sulla croce: Dio mio, Dio mio perché?
Ci vuole tempo, ci vogliono tre giorni, nel senso che ci vuole il tempo necessario affinché la domanda cambi, non si tratta di chiederci il perché, il perché è evidente, per quanto vogliamo dare la colpa a Dio, sappiamo piuttosto che l’iniquità umana, l’ingiustizia umana, gli interessi egoistici, la manipolazione, l’ignoranza sono alla radice del male. Ieri come oggi.
Gesù ponendo la domanda a Maria di Magdala: Chi cerchi? La costringe a interrompere il pianto e a dare voce e senso alla confusione del cuore. Gesù sa bene che lei lo sta cercando, sa bene quale amore l’ha spinta fin dal mattino a venire sulla tomba. Ma la domanda è necessaria perché lei cambi, trasformi il suo dolore in altro.
Ed è un processo, una trasformazione possibile non dal fatto che lei veda subito Gesù, tant’è che non lo riconosce. È lontano da lei il pensiero che Gesù sia risorto.
Solamente quando sente pronunciare il proprio nome «Maria» – e deve essere risuonato come un’esplosione, un tuono capace di scuotere il giardino – solo allora riconosce il Maestro. Il riconoscimento di lui come risorto non avviene attraverso la visione della figura, ma nell’ascolto della sua Parola che chiama per nome.
Tu non cercare un corpo, ma ascolta uno che ti parla. Non cercare il mondo come lo vuoi tu. Non cercare che le cose vadano come vuoi tu… ascolta, ascolta la Parola. Questa parola che ti chiama per nome, chiama in causa la tua responsabilità nella storia, questa Parola trasforma anche il modo di amare. Lei vorrebbe abbracciarlo, come a dire: «Questa volta non mi scappi». La vulgata traduce «noli me tangere», non mi toccare! No, è più corretto tradurre: «non mi trattenere», nel senso che evidentemente Maria di Magdala travolta dalla sua stessa passione, vorrebbe abbracciare Gesù, questo è naturale, vorrebbe trattenere l’oggetto del suo amore.
Lei lo cerca ancora come un morto e non come un vivente, come qualcuno su cui esercitare in qualche modo la sua iniziativa, piuttosto che come qualcuno che esercita su di lei una nuova iniziativa. «Non continuare a tenermi» sembra dirle Gesù, «piuttosto va’ dai miei fratelli».
Questa è la seconda trasformazione di Maria di Magdala: dal voler trattenere Gesù per sé, a portare la notizia ai fratelli.
Maria deve andare dagli amici, dai discepoli, lei, una donna – non esisteva nemmeno un vocabolo al femminile per indicare che lei fosse discepola – deve andare a dire loro che nel Risorto ora sono fratelli!
È la prima volta che nel vangelo di Giovanni risuona questa parola: fratelli. Prima Gesù li aveva chiamati amici, ma ora c’è questa parola fratelli che dice che Gesù risorto non è più lontano di prima poiché è in una condizione che non conosciamo, anzi è più vicino, è il fratello che ci conduce al Padre, Padre suo e nostro.
Ed è una condizione che ci mette in movimento: la risurrezione non è un tornare indietro a chiederci: Ma dopo saremo come prima? quale corpo avremo, quali relazioni avremo, come sarà? La risurrezione è profezia di futuro: Va’ dai fratelli!
Il Risorto dice ancora a noi oggi: Va’ dai fratelli, che significa va’ verso la fraternità, costruisci questa relazione nuova che oggi appare impossibile tra le persone.
Non sarà un’Europa più unita, più fraterna a vincere il cancro della violenza e del terrorismo? Questa vecchia Europa saprà darsi uno scossone, un sussulto per una coesione più forte, per un’unità che non sia solo economica? A quando una Costituzione europea che ponga le basi per una vera fraternità tra i popoli?
Questa ha da essere la risposta alla violenza: una democrazia adulta e responsabile che comprende le diversità. Occorre che i servizi segreti e di intelligence si uniscano, ma è ormai irrinunciabile, urgente costruire un’unità più efficace e vera su fondamenti costituzionali condivisi. L’alternativa non ci fa stare bene in questa casa senza fondamenta.
Ma anche la chiesa ha da essere più fraterna. Riflettevo in questi giorni sulla vicenda di prostituzione minorile che ha visto coinvolto un prete milanese, don Alberto, parroco a Muggiano. Non entro nel merito della dolorosa questione, voglio solo invitarvi a pregare per la vittima di questa violenza e anche per lui. Ma questo fatto mi fa pensare alla necessità che la chiesa diventi più fraterna, perché è ora di abbandonare una sorta di sacralizzazione del clero che nuoce e fa più male dell’anticlericalismo, alla Chiesa stessa, all’eucaristia, al Vangelo. Si capisce che per rispettare le cose della fede, coloro che sono a servizio del popolo di Dio siano considerati al di là della loro persona, ma la loro sacralizzazione è contraria alla fede e pericolosa. Non diceva Gesù: Non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste (Mt 23,9)?
Gesù manda Maria di Magdala dai fratelli, ed erano gli Apostoli! Oggi per assurdo la scarsità delle vocazioni contribuisce non poco a rendere i preti ancor più indispensabili: adesso hanno la responsabilità non di una, ma di due, tre… parrocchie. Possibile che non ci siano fratelli nella fede capaci di mettersi al servizio della comunità? La chiesa ha bisogno di fratelli che si mettano al servizio della Parola e dell’Eucaristia e non di funzionari del sacro; il regno di Dio ha bisogno di donne che credano nella fraternità.
E forse, diventando più fraterna, la chiesa imparerà a riconoscere alle donne, ciò che Gesù ha riconosciuto in Maria di Magdala, di essere accanto alla roccia che è Pietro, la torre dell’amore che vince la paura.
Proprio perché siamo sotto il regno della paura, paura degli altri, paura di cambiare, paura di dire quello che pensiamo, paura dell’Islam, paura dei profughi, paura di non essere accettati, e sono mille le nostre paure… dobbiamo tornare ad ascoltare la Parola di Gesù che ci chiama per nome perché ciascuno di noi possa trasformare la paura in amore.