VIII DOPO PENTECOSTE - Mc 10, 35-45


(Gdc 2, 6-17; 1Ts 2, 1-2.4-12; Mc 10, 35-45)

Tra il libro dei Giudici (1200-1025 ca. a.C.) e il vangelo di Marco (70 ca. d.C.) intercorrono più di mille anni. Passiamo dall’età del ferro, dalla 20a dinastia faraonica, dall’egemonia assira… all’impero romano nella sua espansione da Cesare passando per Nerone fino a Tito… eppure dobbiamo constatare che nonostante il progresso della civiltà e delle sue strutture politiche, sembra che le questioni dell’uomo siano sempre le stesse, in definitiva cambiano i contorni e i contesti, ma i problemi dell’uomo quelli sono.

Penso in particolare al tema che la parola di Dio ci fa incontrare oggi, ovvero alla questione del potere, al tema dell’ambizione umana e alle sue implicazioni nelle relazioni tra le persone.

Il vangelo di Marco ricorda che un giorno due apostoli, due fratelli che da diversi anni stavano con Gesù e che ormai sapevano come la pensasse, dopo aver sentito per la terza volta che stava per essere crocifisso, se ne escono con una richiesta balorda: Signore vogliamo che tu faccia quello che ti chiediamo!

Che pretese! Ma è quello che succede anche noi di fronte all’incertezza del futuro, la paura mette in condizione di cercare delle assicurazioni, per questo incalzano: Concedici di sedere una alla tua destra e uno alla tua sinistra nella tua gloria.

Credo che una richiesta di tal genere abbia scoraggiato notevolmente Gesù, è fin troppo evidente che se due dei più vicini a lui arrivano a formulare una domanda simile, questo sta a dire che su Gesù e sulla sua missione non hanno proprio capito, hanno frainteso. Anzi, anche nel gruppo dei più vicini emerge quella dinamica di potere, di arrivismo, di competizione propria di chi fa a gara per avere più potere degli altri e che invece almeno lì non vorremmo trovare.

Ed è una questione antica che incontriamo fin dal tempo dei Giudici, cioè dalla morte di Giosuè, come abbiamo ascoltato nella prima lettura.

Infatti le dodici tribù d’Israele, che pure hanno fatto l’esperienza della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, hanno ricevuto le Dieci parole sul Sinai… e con Giosuè hanno finalmente abitato la terra promessa, non riescono ad andare d’accordo, sono tra loro ingovernabili. Ognuna persegue i propri interessi, ognuna di loro deve accontentare prima i bisogni al proprio interno, sono litigiose e finiscono per cercare alleati e amici tra le popolazioni vicine… Da qui ecco svilupparsi quel sincretismo religioso che introduce i Baal e le Astarti, famose divinità cananee che diverranno nella storia il simbolo per eccellenza dell’idolatria. Non si prega soltanto il di Dio di Mosé e di Giosuè, ma anche Baal la divinità maschile, spesso considerata come il possessore del sole e Astarte la dea dell’amore e della fecondità.

Faticoso e a tratti impossibile il lavoro dei cosiddetti Giudici, che il Signore suscita tra le tribù per trovare una via d’intesa e per liberare il popolo dall’idolatria. Erano dei veri e propri governatori, non amministravano solamente la giustizia, la loro autorità abbracciava tutta la vita delle città dove risiedevano. Il loro operato consisteva in una istituzione politica intermedia tra il regime tribale e la monarchia.

Questo per dire che anche la storia della salvezza ha cercato, progressivamente, di dare delle risposte alla questione del potere e dell’autorità, prima con i patriarchi, poi con i condottieri come Mosè e Giosuè, poi con i giudici e infine anche con i re, con la monarchia.

E noi potremmo continuare aggiornando questo elenco con le varie forme di democrazia e di tentativi di governo globale che caratterizzano il nostro tempo.

Il problema è che, pur nell’evidente miglioramento, nessuna delle forme storiche con cui si cerca di gestire il potere è esente dall’ambizione, dalle contraddizioni, dalla tentazione del guadagno facile, dall’esaltazione del privilegi, dall’ingiustizia… temi sempre di attualità, come vediamo. Qualcosa riuscirono a fare i profeti che il Signore ha mandato per cercare di porre un argine all’abuso, alla corruzione, alla prevaricazione. Ma i rapporti umani sembrano essere condannati ad essere così, Gesù stesso lo riconosce: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così».

Tra voi però non è così. E allora com’è? Chi vuol diventare grande sarà vostro servitore (diakonos) e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo (doulos) di tutti. Come è amaro questo calice!

Mi colpisce molto questa parola di Gesù: Tra voi però non è così. Tra voi chi?

Tra voi discepoli, nella comunità, nella chiesa. E sappiamo bene che il potere infetta e ammorba le relazioni anche all’interno della comunità cristiana, perché il peccato, come anche la santità, è all’opera nella chiesa.

Potrebbe aiutarci a tenere fede alle parole di Gesù, il fare chiarezza su due termini che troppo sovente sono usati come sinonimi: autorevolezza e potere. Il potere lo conosciamo bene, è la capacità di una persona o di un gruppo di imporsi sulla volontà degli altri. L’autorevolezza invece non è data dal ruolo che uno occupa, bensì come suggerisce la radice latina da cui proviene dal peso che ha il modo di vivere e di pensare di quella persona.

Da questo punto di vista Gesù è un uomo senza potere, non ha titoli dietro cui vantarsi, non ha strumenti di coercizione, ma è una persona di grande autorevolezza che gli viene proprio dalla coerenza tra il suo dire e il modo di essere. Marco riporta le reazioni della gente mentre Gesù si trova a Cafarnao: «Erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (1, 22). Il vangelo non lo si annuncia con gli strumenti del potere, ma con l’autorevolezza della vita.

Gettiamo uno sguardo sulle relazioni ecclesiali, oggi. Possiamo dire che nella Chiesa le relazioni non sono così come nei centri del potere politico, economico, sociale, ma sono caratterizzate dal servizio, dall’umiltà e dalla dedizione?

Non sarà un caso se a partire al più tardi dal III secolo, la parola fratello (e sorella) come appellativo che i cristiani si rivolgevano reciprocamente andò perdendo sempre più terreno, come scrive s. Cipriano (+258), al punto che non venne più rivolta al semplice cristiano, ma soltanto ai vescovi e ai chierici . Anzi assumerà una forte accentuazione ascetica nelle comunità monastiche dove continueranno ad esistere fratelli e sorelle, ma in un senso diverso ormai dall’origine.

Nel procedere della storia quel “Tra voi però non è così” ha fatto fatica e fatica tutt’ora a realizzarsi, perché abbiamo inseguito i modelli mondani del potere, e da ultimo abbiamo posto l’accento soprattutto sulla dimensione gerarchica della chiesa e di conseguenza del corpo di Cristo che è la chiesa, ci troviamo con una testa sproporzionata in confronto al resto dell’organismo.

Non si tratta di banalizzare quasi che cerchiamo un adattamento allo spirito democratico della modernità. Le chiese nell’antichità hanno sperimentato forme di partecipazione (si pensi solo all’elezione di s. Ambrogio) lontanissime dalla prassi attuale. In fondo la storia ci insegna che la sinodalità, ad esempio, era un laboratorio teso ad elaborare un consenso su delle questioni sulle quali nella chiesa questo consenso ancora non esisteva.

Non è una questione di organizzazione dell’organismo chiesa, qui è in gioco ben di più, perchè l’istanza di fraternità si fonda sulla concezione stessa di Dio che sta alla base della predicazione e della prassi di Gesù. Il figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire: Gesù è il volto del Padre che si china sul cuore di ognuno dei suoi figli. Questo è il volto di Dio che ispira la missione del Figlio e sul quale si radica la fraternità della chiesa nell’eguaglianza di tutti nella stessa dignità e nell’apertura ad ogni figlio dello stesso Padre.

Preghiamo perché il Signore ci doni di stare insieme come suoi discepoli ma non secondo i modelli del potere mondano. La chiesa non può ridursi a monarchia, né a democrazia; non sarà una dittatura e tanto meno una setta, ma preghiamo perché possa essere una fraternità al servizio del Vangelo.