X DOPO PENTECOSTE - Mt 21, 12-16
(1 Re 7, 51-8, 14; 2 Cor 6, 14-7, 1; Mt 21, 12-16)
È un’immagine che ha un suo fascino quella di Gesù che a Gerusalemme salito al tempio rovescia i tavoli dei cambiavalute e ribalta le sedie dei venditori… anche perché è una delle poche volte in cui il Signore sembra perdere la pazienza e reagire, come talvolta vorremmo fare noi dando seguito a un impulso di pulizia e di giustizia.
Quando Gesù sale al tempio, entra in un luogo di culto che non era già più quello costruito da Salomone (nel 950 ca.), quello per intenderci che ci è stato descritto nella prima lettura. Gesù entra nel tempio iniziato da Erode vent’anni circa prima della sua nascita e in quegli anni ormai pressoché completato. C’erano voluti almeno quarant’anni per una costruzione la cui sola spianata era immensa: circa 144.000 m2 , cinque volte più grande dell’Acropoli di Atene, per intenderci.
Nelle grandi feste la popolazione che saliva al tempio di Gerusalemme per lo meno raddoppiava: la città passava da circa cinquantamila a centoventimila persone… Gran parte della spianata era considerata il “cortile delle genti”: un luogo dove anche un non ebreo poteva stare a pregare e che ben presto divenne un luogo dove si poteva commerciare, dove si doveva cambiare la moneta necessaria per gli acquisti, dove si potevano comprare gli animali per i sacrifici… Il servizio d’ordine era garantito sia dalla guardia erodiana che dalle centinaia di sacerdoti e funzionari che presidiavano le attività affinché tutto funzionasse a modo, ma anche dai soldati di Pilato che dalla torre Antonia controllavano ogni movimento.
In questo contesto il gesto di Gesù assume una dimensione abbastanza circoscritta: se il Signore avesse voluto interrompere il funzionamento delle attività avrebbe avuto bisogno di un certo numero di persone. Per questo dobbiamo pensare che il suo fosse un gesto circoscritto: diversamente l’intervento dei soldati avrebbe soffocato in poco tempo ogni tentativo di rivolta per ripristinare l’ordine pubblico.
Il suo fu un gesto che probabilmente coinvolse una minima parte dei commercianti presenti sulla spianata, eppure fu un gesto carico di una forza profetica e di un significato importante che ancora ci riguarda e ci coinvolge.
Facciamo un passo indietro: con Salomone la famosa tenda di Davide, quella tenda che custodiva l’arca dell’alleanza e intorno alla quale abbiamo visto il re danzare, diventa una casa. Niente di nuovo, perché in quel tempo tutto il medio oriente è disseminato di templi che custodiscono le statue delle varie divinità. Ma nel tempio di Gerusalemme non ci sono statue, anzi come leggiamo al termine della prima lettura: «Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario la nube riempì il tempio». Escono i preti e arriva la nube che segna la presenza dell’Eterno. E a Salomone non rimane che costatare: «Ho voluto costruirti una casa eccelsa… e il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura»!
Questa è da sempre la differenza qualitativa dell’esperienza di fede di Israele: l’Eterno abita la nube, anzi una nube oscura. La nube è un segno ambivalente: è evidente e ben visibile, indica una presenza ma al tempo stesso nasconde, copre, rivela, nel senso letterale che ri-vela, ri-copre… dice e non dice.
La «nube della non conoscenza» diverrà per i mistici in particolare un’esperienza dolorosa, che rimanda ai giorni dell’Esodo quando il popolo camminando nel deserto poteva avvertire la presenza di Dio che lo guidava, ma a nessuno era permesso mettere le mani su Dio, come avevano ingenuamente tentato con il vitello d’oro. Dio è inafferrabile, non è manipolabile. Non gli puoi costruire una casa: come puoi costringere una nube dentro un soffitto e quattro pareti? Non solo, ma il tempio poteva essere rischioso.
Infatti, proprio quel luogo memoriale della tenerezza di Dio, si andò ben presto trasformando in fonte di potere e ricchezza per una minoranza aristocratica che viveva a spese dei più deboli e divenne un «covo di ladri» come lo definisce Gesù. Secondo Giuseppe Flavio l’insieme dei sacerdoti e aiutanti al servizio del tempio era formato da circa ventimila persone. I sacerdoti possedevano terre e avevano possedimenti legati alle loro famiglie spesso derivati da abili politiche di prestiti alla povera gente.
L’intervento di Gesù su quella grande spianata per un tempo probabilmente breve non ha di per sé grande importanza, ma cerca di attrarre l’attenzione su qualcosa che per Gesù ne ha molta. Non si tratta di “purificare” il culto: sarebbe andato nel luogo deputato ai sacrifici. Non vuole una riforma liturgica e, per intenderci, la sua non è una semplice protesta. Gesù blocca simbolicamente le normali attività necessarie al funzionamento religioso.
È un gesto radicale: è la distruzione simbolica e profetica di quell’ordinamento di cose perché è diventato un «covo di ladri». Noi tutti sappiamo che il covo non è il luogo dove si commettono i crimini, bensì quello in cui si rifugiano i ladri e i criminali dopo averli commessi. Così avviene a Gerusalemme: non è nel tempio che si commettono i crimini, ma chi li commette pensa che facendo una buona offerta ai sacerdoti e al tesoro del tempio ci si possa mettere l’anima in pace.
Quel tempio che contiene i segni dell’alleanza e della tenerezza di un Dio che aveva ascoltato il grido della sua gente che soffriva perché era in schiavitù, è diventato ora un covo di ingiustizia. In questo modo si sconsacra il tempio! Nel senso più vero del termine: si sconfessa cioè l’amore di Dio, creando con le nostre ingiustizie altra sofferenza e altri crimini.
Questo accade quando dimentichiamo il passato, dimentichiamo che anche noi nella nostra sofferenza e umiliazione siamo stati amati e perdonati da Dio. E dimenticando il passato diventiamo facilmente a nostra volta fautori di umiliazioni e di sofferenze verso i più deboli e i più fragili. Tant’è che i ciechi e gli storpi non li considera proprio nessuno, se non Gesù e a lui si avvicinano perché se ne prenda cura.
Quando Paolo scrive ai Corinzi: «Noi siamo il tempio del Dio vivente», riconosce che la comunità dei discepoli ha nella storia umana il ruolo che aveva il tempio di Gerusalemme. Essere presenza e memoria dell’Eterno in questo quartiere, in questa città.
Un tempio tuttavia sempre a rischio di diventare un covo di ladri e di ingiustizia se dimentica il modo di fare di Gesù, di pensare di Gesù, il modo di essere di Gesù nel prendersi cura dei più deboli e dei più fragili. Possiamo sconsacrare la chiesa stessa quando dimentichiamo che il vero tempio di Dio è l’uomo, il piccolo e l’umile, quello stesso uomo su cui lui si è chinato e che noi rischiamo di dimenticare e di non vedere.
La nostra preghiera oggi sia come voce dei bambini e dei lattanti, una preghiera autentica, che sale cioè da una vita che non abita il covo dei ladri, ma che si prende cura di chi sta nella prova e nella sofferenza.