V DI AVVENTO - Gv 3, 23-32a


(Is 30, 18-26b; 2Cor 4, 1-6; Gv 3, 23-32a)

Ascoltando questa pagina di Vangelo mi sembra di registrare quei sentimenti che tante volte segnano anche le nostre relazioni: nel racconto di oggi troviamo l’invidia, la gelosia e la ricerca del prestigio … sentimenti ai quali nemmeno i discepoli del Battista e quelli di Gesù sembrano sottrarsi.

Sarà capitato anche a noi di assistere alla deriva di alcune belle esperienze e amicizie che sono state corrose dal di dentro proprio da queste piccinerie, le medesime che hanno fatto dire ai discepoli del Battista: Ma guarda che quello là (non nominano mai Gesù) al quale hai dato testimonianza sta battezzando e tutti accorrono a lui!

A questo punto Giovanni cosa poteva fare? O assecondare questa presunta rivalità, rinforzando i suoi seguaci, perché si sa che un nemico esterno favorisce una coesione interna maggiore del gruppo.

Oppure poteva anche sferzarli con una bella esortazione morale e fare una bella predica perché «certe cose non si dicono, non si fanno»!

Ma c’è una terza via, che non potevamo prevedere e che solo la follia di quel giovane profeta poteva introdurre, ed è quella di ribaltare la situazione, come accade quando pronuncia le parole: «Lui deve crescere, io invece diminuire». Parole importantissime se teniamo conto che, nel vangelo di Giovanni, sono le ultime parole del Battista che sono come una consegna. Una consegna per noi.

Giovanni è un giovane trentenne, allora un trentenne era considerato adulto, ma certamente poteva considerare prematuro passare il testimone: umanamente parlando, poteva avere ancora davanti un futuro promettente, con i numerosi discepoli che lo seguivano e il grande successo tra il popolo.

Credo che molti di noi avranno fatto un’esperienza analoga. Pensate all’azienda di famiglia, piuttosto che a un posto di responsabilità nel lavoro o nella vita sociale, sono situazioni che esigono – perché il frutto di tanti sacrifici possa maturare – che ad un certo punto si avvii un passaggio di consegne e bisogna essere illuminati per realizzare con lucidità questa scelta.

Se uno difendesse il proprio posto e il proprio ruolo a tutti i costi perché si identifica in esso, perché la sua vita è tutta lì … non troverà mai nessuno in grado di succedergli, non ci sarà mai la persona «giusta», non si troverà mai qualcuno preparato e capace cui affidare le cose… non ci sarà figlio, dipendente o collaboratore che sia all’altezza di subentrare.

Giovanni invece proprio al culmine potremmo dire della sua carriera, compie un’operazione straordinaria. Se il Precursore avesse lavorato per il futuro, per dare un seguito al suo gruppo avrebbe immaginato il domani sulla proiezione del presente: avrebbe ignorato Gesù, si sarebbe preoccupato di continuare a raccogliere gente intorno a sé, di rafforzare il suo successo.

Ma il futuro che avrebbe dato al suo gruppo, è il futuro che oggi ci viene descritto dagli esperti di sociologia, dai politologi… Essi non fanno altro che utilizzare gli elementi del presente per fare delle ipotesi sul tempo che viene, ma se il futuro si realizza sulla spinta che governa il presente, ci sono ben poche consolazioni, esso è un futuro di consolidamento delle invidie, delle gelosie e delle ingiustizie di oggi.

Giovanni non pensa semplicemente al futuro, come fanno i suoi discepoli che si preoccupano della continuità del proprio gruppo, ma vede quello che in latino diciamo l’adventus e che poi ha dato il nome a tutto questo periodo liturgico. L’avvento non indica un prolungamento quantitativo del presente, ma l’irruzione di una radicale novità, è il sopravvenire di una qualità nuova del tempo, quella che la predicazione di Gesù ci ha abituati a condensare nel termine «regno di Dio» e che per Giovanni è come una festa di nozze.

E l’irruzione di questa radicale novità della festa di nozze di Dio con l’umanità, viene preparata dall’amico dello sposo. Parlare di un amico dello sposo ci appare come una categoria un poco estranea, dobbiamo riandare alle consuetudini ebraiche per comprendere che l’amico dello sposo era colui che curava personalmente la preparazione delle nozze e della festa. I particolari del ricevimento, dei festeggiamenti erano affidati a una persona di fiducia, all’amico intimo dello sposo ed era una gran bella responsabilità.

Giovanni vedendo arrivare Gesù, intravvede l’irrompere del regno di Dio, ed è a questo punto che indirizza lo sguardo dei suoi discepoli dicendo: io sono solo l’amico, lo sposo è lui.

E Israele sapeva che Dio, come avevano detto i profeti avrebbe preso in sposa il popolo di Israele nonostante tutte le sue infedeltà, e noi subito traduciamo: ma adesso la chiesa è la sposa di Cristo! Dobbiamo riconoscere che solo una lettura sbrigativa ci farebbe dire che la sposa è la Chiesa, è la comunità cristiana che sperimenta l’amore di Gesù, che si sente amata da lui di un amore fedele e saldo. Questo è vero in parte, ma non possiamo semplicemente identificare la chiesa con la sposa, Gesù non è venuto per alcuni, fossero anche più santi e migliori … Gesù lo ripete spesso: sono venuto per i peccatori, per i malati e non per i sani.

Quando il Precursore di Gesù afferma di essere l’amico dello sposo, dice la nostra condizione. Stiamo nel tempo, abitiamo le relazioni, l’impegno sociale e professionale come amici dello Sposo, per favorire l’irruzione del regno nel tempo.

Ma la nostra tentazione oggi è di normalizzare la novità del regno, di tornare a preoccuparci del futuro secondo i nostri programmi e così abbiamo ricostruito la sinagoga, la legge, il diritto e tutto quello che c’era prima. Per cui Gesù sembra quasi una parentesi.

Tuttavia la sua parola ci ritorna addosso per dirci che possiamo sempre accogliere il regno, possiamo sempre uscire da una visione del domani come di un futuro che si perpetua, per accogliere l’adventus.

L’ascolto della Parola è anche il tema della quinta e ultima scheda del nostro itinerario alla riscoperta del Concilio. Infatti è la scheda sulla Dei verbum, sulla parola di Dio nella vita della Chiesa.

Dunque la testimonianza del Battista permane di grande attualità: possiamo dire che Gesù cerca amici che possano essere lo strumento per dire il suo amore a tutti gli uomini. L’opzione della Chiesa deve essere ancora predicare un cristianesimo di sequela, cioè vero e autentico, piuttosto che un cristianesimo di consumo, fatto solo di apparenze, di vuoti dogmatismi e di ipocrisie.

Mentre ancora oggi succede che, come ai tempi del Battista, i discepoli stiano a litigare se quello che fa uno non sia migliore di quello che fa l’altro… «il mio gruppo, la mia parrocchia è migliore della tua…, il mio movimento è migliore del tuo…». Quando la missione degli amici dello sposo è quella di preparare la sposa che è l’umanità alla festa di nozze con il Signore ed è questa la risposta del Battista all’invidia che rode il cuore dei suoi discepoli: Ora la mia gioia è piena!

E allora cosa possiamo fare?

Riprendiamo le parole del salmo 145: sono come un elenco che descrive le azioni di Dio, di un Dio che rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, protegge i forestieri, sostiene l’orfano e la vedova…

Sono queste le azioni che ci consentono, come amici del Signore, di preparare una società che sappia andare incontro allo sposo e un’umanità più vivibile anche per i nostri figli.