XVI DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 10, 38-42


(Gen 18,1-10;  Lc 10,38-42)

Tra le immagini con cui la Scrittura esprime il mistero ineffabile di Dio incontriamo oggi quella dell’ospite, del forestiero, quella di un Dio che viene, che incrocia la storia dell’uomo e che si affaccia sulla nostra vita come viandante inatteso, come straniero.  La Scrittura stessa ci invita ad essere vigilanti perché in ogni ospite, in ogni forestiero si può manifestare e si può nascondere qualcosa del mistero inafferrabile e inesauribile di Dio.

L’Ospite che ci si presenta in ogni ospite è un angelo del Signore, come dice la pagina della Genesi.

In questa prospettiva possiamo leggere il racconto di Betania, di come le due sorelle accolgono l’ospite Gesù, non quale la semplice contrapposizione tra l’atteggiamento attivo e quello contemplativo, come spesso si è tentati di fare e che sarebbe estremamente riduttivo.

Basta non dimenticare il contesto:  questo racconto di Luca segue immediatamente quello del Samaritano di domenica scorsa nel quale il Signore ci ha richiamato alla necessità di farci prossimo, quindi all’amore, all’azione… e precede il passo che ascolteremo domenica prossima sulla preghiera del Signore, il Padre nostro.

Per comprendere le cose che accadono a Betania in casa di Marta e di Maria, dobbiamo tornare alle querce di Mamre (1 lettura): è lì che troviamo Abramo ormai avanti negli anni, nell’ora più calda del giorno, seduto all’ingresso della tenda; ed è lì che il Signore viene come ospite inatteso, anche se sembra che Abramo non se ne renda conto.

Abramo è seduto davanti alla sua tenda e vedendo tre uomini innanzi a lui, dice la Genesi, corse loro incontro. In tutto il brano non fa che muoversi: corre loro incontro con l’acqua, poi va da Sara nella tenda per le focacce, poi va al recinto a prendere un vitello, sembra che Abramo non trovi pace.

Se prima stava seduto all’ingresso della tenda, ora lo vediamo in piedi sotto l’albero, alla quercia di Mamre tutto intento all’ospitalità.  Proprio sotto l’albero gli ospiti, che noi sappiamo essere il Signore, fanno una promessa ad Abramo, la promessa di un figlio… cosa che suscita il sorriso di Sara perché sono una coppia di anziani. Qui si interrompe la narrazione di oggi.

In questa espressione di un semplice dovere di ospitalità, anche perchè senza ospitalità nell’antichità gli spostamenti dei viaggiatori sarebbero stati quasi impossibili, in questa esperienza di ospitalità si affaccia qualcosa del mistero di Dio.

Il Dio di Abramo è un Dio che è, che era e che viene, un Dio che continua a venire fino alla fine della storia.

E Luca che ben conosce questo linguaggio biblico, intesse la trama della narrazione evangelica con la metafora dell’ospitalità o meglio della visita.

Dio visita il suo popolo in Gesù di Nazaret che è cantata da Zaccaria nel Benedictus (perché ha visitato e redento il suo popolo);  è la visita dell’angelo in casa di Maria a Nazaret che poi diventa la visita di Gesù in casa di Zaccheo a Gerico e la visita nella casa di Marta e di Maria, a Betania.

Con questa attenzione possiamo ora affacciarci nella casa di Betania, dove Gesù è accolto come ospite. Luca ci descrive le due modalità di accoglienza: Marta serviva, (così come ancora in Gv 12,2) è tutta presa dall’ospitalità. Marta proprio non riesce a stare ferma… Infatti dice bene Luca: “Marta era tutta presa dai molti servizi”, il verbo greco qui usato potrebbe essere tradotto così: Marta era tirata da ogni parte per i molti servizi.

Possiamo immaginare questa donna che corre di qua e di là, quasi in un movimento spasmodico, tutta presa appunto dalle molte faccende domestiche..

Maria invece è seduta ai piedi di Gesù, che ascolta, che si gode la presenza del suo Signore.

Ed è questo atteggiamento di Maria che crea tensione tra le due sorelle al punto che Marta ormai già sufficientemente irritata dice a Gesù: non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti!

Il nervosismo e l’irritazione di Marta nei confronti della sorella nascono da questo stato del cuore: mi ha lasciata sola, dille che mi aiuti.

Sono parole che dicono bene lo stato d’animo di Marta nascosto in tutto quel suo trafficare: pone se stessa al centro dell’ospitalità, pone il suo fare bella figura, il suo io… per questo non le va bene nulla di quello che fanno gli altri, non solo di sua sorella, ma nemmeno dell’atteggiamento di Gesù al punto che vorrebbe che facesse come dice lei!

Marta in aramaico, significa “signora” e se come dicevano i latini nomen homen, nel suo stesso nome Marta registra l’affanno, la preoccupazione perché tutto funzioni come vuole lei, al punto che vorrebbe disporre anche di Gesù.

Maria è descritta con soli due verbi: sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola, dice Luca; e questa, sottolinea il Signore, è l‘unica cosa di cui c’è bisogno: stare seduti ai piedi di Gesù e ascoltare la sua parola, ovvero, essere discepoli del Signore. L’alternativa pare essere discepoli di se stessi, del proprio io, del proprio orgoglio.

Ogni volta che noi come singoli, o anche come chiesa, non facciamo la cosa che veramente conta, ma mettiamo al centro il nostro io, il nostro orgoglio anche quello dei nostri ruoli o servizi ecclesiali, non siamo più discepoli del Signore, ma discepoli di noi stessi.

Allora si scatenano gelosie, invidie, recriminazioni, divisioni … e non siamo più capaci di ospitalità, anzi continuiamo a porre delle distanze e a costruire dei muri.

 Abbiamo tutti bisogno di tornare all’ombra delle querce di Mamre, cioè di sederci ai piedi di Gesù.

È questo il primo servizio da rendere a Dio: ascoltarlo, stargli vicino, lasciarsi guardare da lui.

L’Eterno non sembra cercare delle persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose grandi, come quando Maria di Nazaret, dopo aver accolto l’ospite nella sua casa che è l’angelo di Dio, può cantare: ha fatto in me cose grandi l’Onnipotente.

È questo il cuore della fede: contemplare ciò che Dio ha fatto e continua a fare per me, non tanto ciò che io faccio per Dio.

È l’amicizia di Maria di Betania, seduta ai piedi di Gesù che si beve tutte le sue parole.

Questo è il mistero dell’ospite, è il mistero del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; ma, proprio per l’ospitalità che hanno manifestato, è anche il mistero del Dio di Maria di Nazaret, di Maria di Betania, di Marta, della Samaritana, della Maddalena!

Il Signore ci chiede anche in questa eucaristia di accoglierlo come ospite, allora, quando avremo smesso di agitarci, potremo essere accolti e ospitati dal suo amore.

Con questa esperienza nel cuore non dovremmo uscire di qui dimenticando il carattere sacro dell’ospitalità e del rispetto dello straniero, che Abramo ci insegna… anche perché alcuni praticando l’ospitalità hanno accolto degli angeli, dice la lettera agli Ebrei (13,2).

Una cultura dell’ospitalità è oggi un’urgenza profetica che contesta le logiche del mio e del tuo, logiche che creano quelle differenze e che fanno dell’altro non più un hospes, ma un hostis, un nemico.

Torniamo allora alle querce di Mamre: nel senso che auguro a ciascuno che lungo questo tempo d’estate ci diamo occasioni per fermare la nostra agitazione e ascoltare il Vangelo di Gesù.