EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12
(Is 60, 1-6; Mt 2, 1-12)
Vogliamo sentirci oggi in comunione intensa di preghiera con quei cristiani che soprattutto in Oriente celebrano la festa della manifestazione di Gesù rischiando la loro stessa vita. Sono loro, i copti di Alessandria e i cristiani dell’Iraq la vera esegesi del passo di Matteo, sono loro la presenza di Gesù, fragile e marginale, come era fragile e marginale il bambino di Betlemme, perseguitato dalla prepotenza e dalla violenza dell’Erode di turno.
Dal Sudan al Pakistan, dall’India all’Iraq è storia di persecuzione e di attentati da anni. In Nigeria, a ondate, restano sul terreno intere comunità cristiane, negli scontri con gli integralisti musulmani. Ma non dobbiamo dimenticare che le vittime non sono solo i cristiani. Tutte le grandi religioni sono alle prese con i loro estremisti interni siano essi musulmani o hindu.
Non so quali riflessioni abbiano suscitato in voi questi drammatici eventi occorsi proprio durante le feste, ma certo è che la nascita stessa del Signore avviene sotto il segno della violenza, dell’odio, della trama omicida, e l’annuncio della Pasqua che abbiamo ascoltato, viene a ricordarci che l’aria respirata da questo bambino non è quella artefatta dei nostri presepi, bensì quella drammatica delle convulsioni dell’umanità.
Anzitutto fa pensare il fatto che sono molti quelli che chiamano Dio il contrario di Dio, chiamano Dio il loro Moloch assetato di sangue. Il nome di Dio è bestemmiato, perché viene applicato a un idolo feroce e sanguinario, che è la perfetta contraffazione dell’Eterno.
La storia umana trabocca di morte e di violenza perpetrate in nome di Dio, ma non tutto quello che viene spacciato per Dio è realmente Dio, così come non tutto quello che si presenta come fede è realmente fede. Non tutti coloro che dicono di credere, credono veramente: è facile, e succede spesso, illudersi di credere.
Infatti il fondamentalismo alimenta minoranze suicide e in molti casi giovani terroristi sono cresciuti nella cultura del nemico, in una grammatica della violenza e della semplificazione, che usa un linguaggio religioso proprio, mentre distrugge anche il proprio mondo religioso e così si confonde la fede con l’idolatria, lo zelo col fanatismo, il servizio di Dio con la violenza omicida … Ma lo diceva già Gesù: Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio (Gv 16, 2).
A fronte dell’uso politico e violento della fede, o meglio dei suoi surrogati, emergono nella liturgia di oggi le figure dei magi, personaggi intelligenti e pacifici che vengono dall’oriente e che sembrano essere la realizzazione storica di quanto Isaia ha annunciato nella prima lettura (VI- V sec.).
Isaia, in una storia avvolta da una nebbia fitta così da rendere la terra come ricoperta di tenebra, vede emergere Gerusalemme luminosa e splendente, al punto che all’orizzonte si profila l’arrivo di uno stuolo di cammelli e di dromedari.
Converge verso Gerusalemme una moltitudine misteriosa di culture e di popoli, cosa assai improbabile per le cancellerie e le diplomazie dei governi: sono i cammelli di Màdian che sale dalla penisola del Sinai, sono i dromedari di Efa (suo figlio) che sale dall’Arabia e portano oro e incenso che viene da Saba, dall’attuale Yemen …
Profezia quanto mai attuale e ostinata di un Dio che si lascia trovare non perché ha potenti eserciti e tantomeno perché ha abbondanza di denaro o nuove idee.
A Dio è sufficiente lasciarsi trovare in un bambino, in un uomo. Pensate con tutta la sapienza dei Magi, con tutta la loro conoscenza finiscono per inginocchiarsi davanti a un bambino! Gesù è la presenza accessibile a tutti i cercatori di Dio, a quei cuori pensanti che non presumono di possedere Dio, questa è la radicale differenza.
La presenza di un volto non può essere posseduta come un oggetto da usare contro l’altro. Il segno che abbiamo trovato il Signore, scrive Turoldo, è il fatto che lo cerchiamo ancora, che lo cerchiamo sempre. Nessuno mai osi dire: Ecco io so tutto su Dio! Solo così non diventeremo a nostra volta integralisti e intolleranti, o addirittura indifferenti.
Ma credo che il riproporsi del tempo del martirio abbia qualcosa anche da dire alla nostra Chiesa. Se l’era dei martiri sembrava chiusa per sempre con l’avvento della pace di Costantino (editto del 313 sullo statuto di religione imperiale del cristianesimo), il fatto che i martiri ritornino è uno fra i segnali che il sistema della Chiesa protetta dai privilegi concordatari è in via di esaurimento, e che essa è obbligata a cercare altrove, sul piano delle coscienze, garanzie meno inquinanti e più solide.
Significa che la Chiesa è di fronte un’altra volta all’alternativa, fra un’opzione radicale di riforma evangelica, fino allo scontro con le “potenze del mondo”, oppure una linea di adattamento realistico come quando, languenti i primi entusiasmi, si rassegnò alla dissimulazione dei nicodemiti.
Significa che la partita del destino del cristianesimo non si gioca più in casa, con schemi eurocentrici, ma fuori casa, nel confronto con altre concezioni del mondo e con altre tradizioni spirituali e culturali (Cina), nel dialogo con le altre grandi religioni mondiali.
Sembra andare in questa direzione l’atteggiamento suggerito da Benedetto XVI: pur riconoscendo che ci possa essere una sorta di cristianofobia, non cadiamo nel vittimismo e nemmeno nel compattamento contro l’altro. Non è che diventiamo migliori e più uniti solo perché ci diamo un nemico comune. Piuttosto è l’ora dell’ostinazione del dialogo, per questo il papa invita tutte le grandi religioni mondiali di nuovo ad Assisi, nel venticinquesimo anniversario dello storico incontro convocato da Giovanni Paolo II.
Certo questi eventi riguardano soprattutto i leader delle grandi religioni del mondo, ma possono diventare stimolo e incoraggiamento anche per noi a cercare il dialogo con il vicino della porta accanto, magari di religione diversa e a evitare giudizi affrettati e superficiali.
Il dialogo che sembrava fosse ormai considerato una categoria debole, uno strumento ambiguo, se non addirittura tra le cause del relativismo, oggi si impone come una necessità. Anzi è la vera proposta capace di guarire dalla violenza e di inaridire la cultura dell’odio.
Il dialogo è come una stella che brilla nella notte dell’umanità: se la seguiamo può orientare i nostri passi e le nostre scelte per un’umanità luminosa e accogliente, come la Gerusalemme profetizzata da Isaia.