DOPO L’EPIFANIA - Battesimo del Signore - Lc 3, 15-16.21-22


audio 9 gennaio 2022

Anche oggi, mentre archiviamo le luminarie e i presepi, la pagina di Vangelo ci offre un’epifania, un’altra epifania di Gesù oltre a quella dei Magi che era una manifestazione alle genti venute da lontano. Il battesimo al fiume Giordano è una manifestazione per Israele, la prima di Gesù adulto che si affaccia sulla scena del suo tempo, prendendo una posizione chiara mentre scende nelle acque del Giordano per dire da che parte sta lui, ma in definitiva anche da che parte sta Dio.

Anche il contesto del racconto va in questa direzione, tutto è in discesa: Gesù scende dal nord della Galilea verso il sud, dove Giovanni battezza. Discende nella depressione del Giordano, che scorre circa quattrocento metri sotto il livello del mare, probabilmente il punto più basso della terra che una persona possa raggiungere camminando sulle sue gambe.

Una volta al Giordano discende nelle sue acque e così facendo si immerge con il popolo, con la sua gente. Perché non basta essere diventato uomo, è decisivo anche vedere da che parte sta, con chi si accompagna, quali sono i suoi amici, con chi sceglie di stare.

Ed è in questo cammino di discesa (e non in discesa, perché non è affatto facile!) che si rivela Dio nel suo mistero di voce e di spirito che lo conferma: Sei il mio figlio amato. Ti voglio proprio bene.

Tant’è che nella scena seguente del vangelo di Luca, che racconta la prova nel deserto, il diavolo farà compiere a Gesù il cammino opposto: lo condurrà in alto, prima sulla montagna e poi sul pinnacolo del tempio… ma lì non ascolterà che la seduzione e la suggestione del diavolo. Non si parlerà di amore, ma di ambizione, di potere, di gloria.

Questa epifania di Gesù dice chiaramente da che parte sta Dio, infatti al figlio che scende nel Giordano in fila con i peccatori, il Padre dice: Guarda che se tu fai così, ti voglio proprio bene! Dicendolo a Gesù, dice anche a noi la sua volontà di riconoscerci come figli amati, quando siamo peccatori, quando siamo sbagliati, quando non ci meritiamo alcunché, proprio allora Dio dice: ti voglio bene. Quale Dio agisce così?

Ma noi, quand’è stata l’ultima volta che abbiamo detto a qualcuno: «Ti voglio bene»? Quand’è stata l’ultima volta che qualcuno ci ha detto: «Ti voglio proprio bene»? Come ci siamo sentiti? Non ci ha riempito di gioia, di pace, di shalom, per dirla con la Bibbia?

Eppure quante volte diamo per scontato, per acquisito che vogliamo bene al marito, alla moglie, ai figli, agli amici. Non basta immaginare di sapere che l’altro sappia che gli voglio bene: devo dirglielo! Non è sufficiente dare per scontato, ciò che scontato non è!

E se poi riesco a dirglielo quando vive un momento difficile, quando c’è tensione, quelle parole diventano rigeneranti.

Quanti rapporti di coppia, di amicizia, quanti legami si sfaldano inesorabilmente logorati dallo scontato e mai riaccesi da una parola di fiducia? Sembra di sentire le obiezioni: «Perché devo dirglielo, è ovvio, lo sa già»!

Su certe cose della vita facciamo un poco come con gli elettrodomestici e decidiamo di funzionare a basso consumo energetico forse per pigrizia, o forse per paura di apparire troppo deboli… magari proprio in ambiti di vita nei quali invece occorre mettercela tutta, fin dall’inizio.

Se perfino Dio ha sentito il bisogno di dirlo a suo Figlio, chi siamo noi per non dirlo a chi ci è accanto? Temiamo di apparire deboli? Gesù ci insegna che è proprio nella debolezza che sta la nostra salvezza, non nell’esibire le nostre corazze che creano distanze e paura.

Il battesimo, letteralmente in greco l’immersione, di Gesù è nelle acque del Giordano, in quelle acque la voce e lo Spirito lo immergono nell’amore di Dio, vale a dire in un rapporto di fiducia e d’amore col Padre che segnerà costantemente la sua vita.

Una relazione intima e vera che lo guiderà quando deve compiere scelte decisive come quando sceglie i Dodici, che lo ispirerà nella sua missione, gli darà consolazione quando si tratterà di ingoiare bocconi amari o di bere calici di sangue.

Questa immersione nell’amore di Dio lo immerge contestualmente nei fiumi della nostra umanità, fiumi inquinati dalla disumanità, dal cinismo, dall’indifferenza…

Gesù non predica, come vorrebbe il Battista, il fuoco dal cielo, la scure sui rami secchi… ma si mette dalla parte dei piccoli, dei poveri, delle donne, dei malati… per non abbandonarli a sé stessi, perché non si sentano reietti e disprezzati da Dio, perché possano avere una possibilità di riscatto.

Probabilmente molte persone che conosciamo e che hanno ricevuto il battesimo da piccoli non saprebbero oggi dire cosa abbia significato nella loro vita questa immersione. Anzi, molti cristiani sono rimasti alla religione del Battista, al battesimo d’acqua e non hanno mai conosciuto il «battesimo in Spirito santo e fuoco».

Lo diceva bene Karl Rahner, grande teologo del ‘900, con le parole che egli stesso considerava come suo testamento: «L’uomo religioso del futuro dovrà essere un mistico, uno che ha fatto esperienza, oppure non sarà affatto religioso, poiché la religiosità del futuro non sarà più condivisa sulla base di una convinzione pubblica e scontata».

È così, sono parole estremamente attuali: forse ci spaventa l’idea di mistica, ma non è un’idea, non è astrazione di un modello impossibile, la mistica è quando scegliamo di vivere come Gesù e non un semplice appartenere più o meno passivamente a una religione. Non regge più la supposta adesione a un insieme di verità trasmesse dalla tradizione, se non ci immergiamo come Gesù nella relazione col Padre.

Abbiamo bisogno di immergerci nell’amore di Dio, di lasciarci amare per imparare come Gesù a scendere, nelle nostre relazioni con gli altri e con il mondo, con umiltà, con pazienza, con cuore docile, disposti ad abbassare le montagne dell’orgoglio e della superbia, pronti a sciogliere le pretese dell’arroganza e della supponenza.

Possa ogni giorno il Signore ripetere anche su di noi: Guarda che ti voglio proprio bene, vai avanti così!

(Lc 3, 15-16.21-22)