I DI QUARESIMA - Mt 4, 1-11


(Gn 2, 7-9; 3, 1-7; Mt 4, 1-11)

La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci dona la giusta prospettiva con cui vivere questo tempo di quaresima. Certo noi non siamo nelle condizioni di Gesù di isolarci in un luogo di silenzio e di preghiera, nel deserto per intenderci, perché la nostra vita scorre come sempre tra mille cose e impegni. Eppure prima Adamo, poi Paolo e infine lo stesso Gesù ci vengono a ricordare che comunque sia che siamo nel giardino come Adamo, sia che siamo in giro per il Mediterraneo come Paolo o che siamo in un luogo di ritiro come Gesù nel deserto, la vita è una lotta spirituale, ovunque noi ci troviamo ad essere ci misuriamo con la tentazione, anzi prima ancora di parlare di tentazione o delle tentazioni, dovremmo parlare di prova (in greco è lo stesso sostantivo).

Perché la prova è la condizione dell’essere umano, della creatura. Pensiamo alle prove che sperimentiamo negli anni della scuola o a quelle sul posto di lavoro … sono tutte prove che ci hanno permesso o meno di fare un passo in avanti, dipende evidentemente dalla risposta che abbiamo dato. Dunque esistere è già un essere messi alla prova. Essere messi al mondo è già un essere messi alla prova. La prova è inevitabile per il fatto stesso che esistiamo e non siamo Dio. Prova è il rischio dell’essere, del diventare. Noi diciamo: siamo uomini, siamo donne. Non è vero. Non si nasce uomini e donne, si nasce maschio e femmina, ma si deve diventare uomo e donna ed è una prova il diventarlo.

Solo quando alla prova diamo direzione negativa ecco allora che diventa tentazione. La tentazione di orientare male la prova, di deviarla, di darle un senso differente; allora la tentazione può portare al peccato. Ma la prova, ed è emblematico nel racconto evangelico, non è immediatamente una tentazione, un peccato, ma è la condizione indispensabile per affrontare il nostro divenire, il nostro futuro.

Nel seguire Gesù nel deserto all’inizio del suo ministero ci rendiamo conto che quei quaranta giorni evocano la marcia estenuante, al limite delle forze delle tribù di Israele che camminarono per quarant’anni nel deserto prima di giungere al Giordano e da lì, dopo averlo attraversato, alla terra della promessa. È per questa prova che le tribù d’Israele sono potute diventare un popolo unito e coeso. Il fatto che Gesù vada nel deserto dopo il battesimo al Giordano ci dice anche che l’essere figlio di Dio, il Messia, non significa per il Cristo essere esentato dalla prova e dalla tentazione. L’essere figlio di Dio per Gesù non corrisponde al nostro immaginario di una condizione privilegiata, esente dalle prove appunto, di uno che insomma ha una vita in discesa. I quaranta giorni nel deserto sono un’assimilazione della vocazione che il Padre gli ha dato, una discussione interiore per dare una libera risposta alla sua vocazione.

Gesù sa bene cosa c’è sulla piazza, che cosa si aspetta Israele in quegli anni di fuoco, di attesa, di avventi, di passioni violente e le tentazioni in qualche modo sono un’anticipazione di tutta la vita del Cristo: dal deserto dell’inizio, alle rive del lago, quando dopo aver moltiplicato i pani, la gente voleva farlo re, fino alla fine quando inchiodato sulla croce e mentre sta per morire come scrive Matteo, subisce ancora l’ultima tentazione: Quelli che passavano di lì … anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani: Se sei figlio di Dio scendi dalla croce! … e anche i ladroni crocifissi con lui (cf 27, 39-44).

Nel deserto il diavolo aveva cercato di farlo desistere dal suo programma di figlio obbediente al Padre, ora viene invitato ad approfittare del suo potere per non morire: Approfitta del tuo potere! Mostra se lo hai davvero, se vuoi che crediamo al tuo Vangelo, sàlvati! E così la gente crederà! Trasforma le pietre in pane e la gente si fiderà di te! Adora il potere e vedrai che avrai tutti ai tuoi piedi!

Se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe dato, è vero, l’immagine di un Dio potente e di un Dio del successo, ma proprio per questo ci avrebbe resi schiavi, ci avrebbe impedito la libertà della nostra risposta e saremmo tornati in terra di schiavitù. E infatti Gesù non è sceso dalla croce.

Ricorderete le straordinarie pagine di Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore. Il racconto ci conduce nel sedicesimo secolo a Siviglia nel sud della Spagna ai tempi dell’ Inquisizione. Uno dei capi della città ha perso la figlia quando all’entrata della chiesa riappare improvvisamente Gesù. Sorprendentemente gli abitanti della città lo riconoscono subito, egli sorride e va verso la bara e dice: Talita kum come in Marco. Si apre la bara, esce la figlia del capo e tutti sono sbalorditi … Immaginate cosa non accade intorno a Gesù.

Tutto questo rumore arriva al palazzo del Grande Inquisitore, un vegliardo di novant’anni. Questi scende sulla piazza e d’un botto tutti abbassando la testa si zittiscono, comanda alle guardie di afferrare Gesù e di gettarlo in carcere, perché l’indomani lo avrebbe condotto al rogo sulla piazza, mentre la gente rimane ammutolita.

Ma la sera stessa il Grande Inquisitore, di nascosto, va in carcere e interroga Gesù: «Sei tu? Sei tu?». E poiché non riceve risposta: «Non rispondere, taci! So anche troppo bene quel che diresti: del resto non hai il diritto di aggiungere nulla a quanto dicesti un tempo. Perché sei venuto a disturbarci?». Stavamo mettendo in ordine il mondo e tu metti scompiglio! Hai avuto torto quando nel deserto non hai usato tutti i mezzi a tua disposizione: la gente non vuole spiegazioni e parole, devi dare pane alla gente. Non sai che la felicità degli uomini si può realizzare solo a spese della loro libertà?

Ricordi la prima proposta? Cambiavi le pietre in pane e il genere umano ti avrebbe seguito come un gregge, riconoscente e obbediente. Ma tu non volesti privare l’uomo della libertà e respingesti l’invito perché pensasti che non ci poteva essere libertà se l’obbedienza veniva comprata col pane!

Poi non ti aveva proposto di buttarti dal pinnacolo? Certo perché la gente vuole prove: tu parli troppo difficile della fede, la gente vuole i miracoli! Ben chiari e manifesti. Sei troppo esigente e la tua via è troppo difficile.

E poi l’ultima cosa, continua il Grande Inquisitore: dovevi il prendere il potere e invece hai proposto la libertà. La gente non vuole essere libera perché quando è libera non sa usare la libertà e la libertà la getta alle spalle volentieri quando gli assicuri le cose che appagano. Vedi, noi sappiamo di cosa ha bisogno la gente e dobbiamo farlo noi. E tu hai torto perché queste cose le sapevi.

Il racconto si conclude con Gesù che si alza e, senza dire nulla, bacia il Grande Inquisitore, questi apre la porta del carcere e gli dice: «Va’ via e ti prego non tornare più!».

È questa la grande prova anche per noi, per la nostra Chiesa, la nostra comunità: Signore, donaci il coraggio di saper dire «no» alla tentazione per vivere con te nella libertà dei figli.