I DI AVVENTO - Mc 13, 1-27


Iniziamo questo tempo di avvento tra zone rosse, gialle e arancioni che disegnano una geografia dolorosa e preoccupante del nostro Paese.

Mentre ascoltavo la decisione del governo di misurare i provvedimenti circa la gravità della pandemia nelle nostre regioni con quei colori, mi sono detto che c’è anche una vasta zona grigia che riguarda tutti noi, i nostri cuori e le nostre menti. È la zona grigia che stende su tutto il velo di un’indifferenza ostinata che va risvegliata, sollecitata, soprattutto ora, in queste settimane, in questi giorni.

Ed è anzitutto un’operazione dell’anima, uno sguardo interiore, una preghiera profonda, non fine a sé stessa per rinchiuderci in qualche forma di intimismo. Risvegliare la zona grigia di ciascuno di noi e delle nostre società ha come frutto quello di saper riconoscere le numerose zone rosse di disumanità intorno a noi.

E Dio sa quante ce ne sono. Basti pensare al Mediterraneo. Ormai non si contano più i profughi che vengono rispediti nei lager libici, sono oltre cento i morti e cinque i naufragi in questi due giorni. Rimbomba ancora nelle nostre teste il grido della madre che vede il piccolo Joseph di sei mesi annegare davanti ai suoi occhi. Se non è zona rossa questa!

Un’altra zona rossa è quella che silenziosamente si insinua nelle famiglie, nelle case e nelle vite delle persone e le devasta con la sua dipendenza. Sto pensando alle 8 tonnellate di cocaina sequestrate nel 2019, contro le 3,6 del 2018 che portano un giro criminale di 16 miliardi. Quante vite devastate, quante giovani energie annientate dalla dipendenza che potrebbero contribuire a costruire un mondo diverso.

E poi, se c’è una cosa che il Covid-19 non ha fermato, è la crescita delle disuguaglianze. Mentre milioni di persone perdono il lavoro, il patrimonio di alcuni miliardari come Bezos (Amazon) o come Zukerberg (Facebook) o di altri è cresciuto del 70/80%[1]. Il dramma delle disuguaglianze nel mondo, che rende a dir poco difficile la vita di milioni di persone, è davvero una zona rossa da far paura per le conseguenze che potrebbe avere nel tempo.

È sono tante le situazioni del nostro mondo che reclamano cura e liberazione: sono zone rosse le strade e i quartieri della città dove un giovane ha davanti a sé solo malaffare e violenza.

È zona rossa una cella dove in pochi metri quadrati vive una folla umana abbandonata al suo destino, senza nessun vantaggio per la società a cui prima o poi ritornerà.

È zona rossa la famiglia di un ragazzo disabile abbandonato da tutti, come lo sono le famiglie povere dei paesi più poveri, che mandano i loro cuccioli a scavare in una miniera per il nostro cellulare ultimo modello…

L’avvento viene a ridestare anzitutto l’attesa e la speranza che le cose possano cambiare. Ma ci ricorda anche che da soli non ci salviamo, e che soprattutto, non riusciamo a venirne fuori solo con le nostre forze.

Il Signore viene in questo che per noi è un tempo di lockdown, di chiusura, di limitazione dei movimenti e degli spostamenti, dove la chiusura più grave però è quella della speranza, della fiducia. Ovunque si respira scoraggiamento, pessimismo, basta ormai poco per scatenare risse, accuse e urla, se non addirittura violenza.

Cosa viene a dirci il Signore oggi con la sua parola?

Stiamo attenti, perché se è vero che ci si deve limitare nei contatti e negli spostamenti, questo però non significa che possiamo chiudere gli occhi e il cuore. Non è il lockdown dell’anima e dello sguardo, ma Lookdown, guardiamo giù, guardiamo chi sta in basso, guardiamo chi è a terra, guardiamo chi non riesce a rialzarsi.

È questo l’invito che viene da Gesù nel vangelo di Marco (13,1-14.24-27): crollano i templi, le inimicizie e le violenze che aumentano, i terremoti e gli sconvolgimenti naturali devastano il pianeta… dove non si registrano guerre, sconvolgimenti, terremoti e pandemie? E poi ancora si perseguita, si uccide l’uomo, lo si priva della dignità e della libertà… le famiglie sempre più divise… l’odio dilaga come quelle maree nere che distruggono e annientano la vita.

Sembra di sentire il profeta Isaia (24,16-23) quando descrive con linguaggio apocalittico non tanto il futuro della terra, ma il presente e lo descrive con otto verbi minacciosi: cadrà, crollerà, barcollerà, vacillerà… e poi anche quando si tratta del sole che impallidirà e della luna che arrossirà… e noi così ci immaginiamo la fine del mondo, la fine di tutto e di tutte le cose.

Ma com’è allora che il Signore regnerà sul monte Sion e a Gerusalemme? Se cade tutto e tutto finisce… com’è che il regno del Signore sta sul monte Sion e in Gerusalemme?

Siamo di fronte a un linguaggio portatore di senso, più che preoccupato di fare previsioni.

Cambiano i nomi e i fenomeni, ma la situazione dell’umanità sembra ripetersi.  E allora cosa facciamo? Cosa diciamo? Ci sentiamo smarriti in un angosciante scetticismo che cerchiamo di colmare con riti religiosi e civili più o meno superstiziosi, con bricolage spiritualistici, con ritorni a vecchi miti o a posizione di intransigente fideismo che ci fanno perdere quella chiarezza di intelligente coscienza che ci dovrebbe sorreggere.

Non preoccupatevi… non siete voi a parlare, ma lo Spirito santo, dice Gesù. Non abbiamo previsioni, non siamo in grado di controllare il futuro. Ci dobbiamo affidare e fidare dello Spirito di Dio.

Lo Spirito santo è il dono di Gesù per aiutarci a vivere questo tempo coltivando lo sguardo su ciò che accade con un respiro e un’attesa dilatata che forse non ci appartiene più.

Lo esprime bene Paolo, in uno dei vertici della sua teologia, quando scrive al termine del passo di oggi (1Cor 15,22-28) quale sia l’orizzonte della storia umana: Perché Dio sia tutto in tutti.

È un’espressione folgorante che ci fa intuire il senso profondo delle cose, della vita, del mondo e del cosmo: Perché Dio sia tutto in tutti.

Non è che con questo abbiamo risolto la questione, ma ci aiuta ad abbandonare la pretesa di voler sapere e conoscere, come volevano i discepoli, quando sarà la fine del mondo e come sarà!

Paolo nello Spirito ci dice che il mondo cammina verso questo orizzonte: fino a quando Dio sarà tutto in tutti.

Teilhard de Chardin scrive che, come il cervello umano è composto da milioni di neuroni, costituiti in unità per mezzo di innumerevoli connessioni che danno all’uomo una coscienza unica, così l’uomo non tenderà più a possedersi nella propria individuale interiorità, ma a perdersi per essere posseduto da un Altro, quel Dio tutto in tutti, che è Amore.

Ecco sembra che l’uomo oggi abbia perso questo senso del divino, oggi chi scriverebbe più l’attesa di Paolo: finché Dio sia tutto in tutti?

Riconosciamo che oggi l’uomo vive a caso, ignora il senso dell’eterno, non è contento di fare cose che non servano subito, ha perso la pazienza del contadino che semina ciò che magari altri raccoglierà con gratitudine.

L’uomo oggi vive la povertà dell’opulenza e rischia di lasciare dietro di sé dilapidazione e miseria.

Chi attende la venuta del Figlio dell’uomo? Eppure il Figlio dell’uomo tornerà, avrà davanti a sé tutta l’umanità, spoglia di ogni privilegio e titolo. Ognuno avrà in mano il suo cuore di uomo e verrà interrogato sull’amore. È un’immagine densa e di riflessioni e di severi esami. Ci troveremo davanti all’amore assoluto, non solo alla fine dei tempi, ma sempre, in ogni momento della vita siamo davanti a lui.

Quante volte lavoriamo per le strutture, per le ideologie, per le carriere, e finiamo per dimenticare questa verità della vita.

Non perdiamo più tempo di quanto ne abbiamo perduto, scuotiamoci da ogni inerzia, svegliamo la nostra zona grigia. Pensiamo che ogni istante della nostra giornata è pesato e misurato dalla luce di Cristo.

[1] Bezos a ottobre aveva un patrimonio di 192 miliardi, +69,9% da marzo. Zuckerberg di 97 miliardi, +78,6%.