II DI AVVENTO - Mc 1, 1-8


L'immagine che vedete rappresenta un'icona del ‘600 della Madonna dall’occhio nero custodita nel santuario mariano di Galatone in provincia di Lecce. Un uomo lanciò una pietra contro la sacra immagine colpendo la Madonna in pieno volto, all’altezza dell’orbita destra. Immediatamente, intorno all’occhio comparve una evidente livido nero tuttora visibile. Un affresco che molti considerano il simbolo della violenza sulle donne.

Ascoltare l’inizio del vangelo è un’occasione per ridare allo scorrere del tempo che viviamo talvolta in maniera angosciata e ansiosa, un senso e un significato rigeneranti. Sì, c’è sempre un inizio, è sempre possibile un inizio di vangelo, della buona notizia. Anche quando non vediamo umanamente vie d’uscita o subiamo l’incalzare degli eventi che non riusciamo a modificare, la buona notizia che ci viene da Dio è che è sempre possibile un cominciamento, un’arché, perché questo è il termine in greco che sta a indicare non tanto una scadenza temporale, ma un cominciamento che le condizioni presenti non farebbero minimamente auspicare.

Anche nelle situazioni più complesse, più negative, anche nella disperazione e nel senso di vuoto e di nausea che attanaglia molte vite c’è una possibilità di un nuovo inizio, di una ri-generazione che non è un mero e nostalgico ritorno al passato –vissuto ingenuamente sempre come glorioso-, ma una nuova condizione che è più simile a una rinascita, ed è anche in questo senso che noi riviviamo ogni anno la nascita di Gesù.

Come avviene l’inizio del vangelo? perché non facciamo un esercizio di retorica, ma dobbiamo dare concretezza e reale possibilità. Osserviamo cosa scrive l’evangelista.

Marco si chiede: quando è iniziato il Vangelo, non semplicemente inteso nel senso più ovvio come inizio del libro, della narrazione contenuta in un testo scritto, ma quand’è iniziato il Vangelo? Quando è nato Gesù? quando ha cominciato il suo ministero, quando ha fatto il primo miracolo o il suo primo discorso?

No, Marco scrive che il Vangelo inizia quando Giovanni il Precursore era voce che gridava nel deserto, quando Giovanni battezzava nel Giordano e faceva battesimi e immersioni per cancellare i peccati. Gesù non ha ancora detto una parola e non ha compiuto nessun gesto, eppure il vangelo è iniziato.

Questo afferma anzitutto che Gesù non è una meteora o un personaggio uscito dalla magia del cilindro di un prestigiatore, ma si inserisce nella storia che l’ha preceduto e precisamente nella linea profetica, nella catena di coloro che come profeti hanno continuamente richiamato a Dio a gente distratta, oppressa, annoiata o superficiale.

Cosa hanno fatto Isaia, Geremia, Osea, Amos o Ezechiele (per citare solo i più noti)? Cosa hanno fatto se non ricordare al popolo, ai governanti, ai gruppi dominanti di tornare a Dio, di convertirsi al Signore e di cambiare vita?

Il profeta non è un leader che attira su di sé lo sguardo delle folle seducendole con promesse rasserenanti… il profeta rimanda sempre all’Eterno!

Infatti vediamo che Giovanni il precursore è profeta proprio in quanto rimanda a uno che viene dopo di lui… rimanda a Gesù, come a uno più forte.

Ma anche Gesù, che viene come profeta, continuamente ci invita a gioire dell’amore e della misericordia del Padre…

E noi come comunità di discepoli, come Chiesa, se vogliamo essere un popolo profetico sempre a Dio dobbiamo rimandare, all’Eterno dobbiamo essere relativi e non autoreferenziali!

Ci rendiamo conto di essere autoreferenziali quando siamo senza speranza, senza futuro, perché se guardiamo alle nostre organizzazioni, alle nostre iniziative, ai nostri progetti prendiamo atto di essere ininfluenti nel mondo, nella storia e scivoliamo facilmente nella depressione perché sosteniamo una lotta che è al di sopra delle nostre capacità e possibilità.

È possibile invece un nuovo inizio proprio tornando a Dio, in lui possiamo riporre la nostra fiducia e speranza perché è lui, come insegna Isaia, la forza del futuro. Per quattro volte Isaia annuncia: In quel giorno, per dire delle possibilità che umanamente, politicamente e storicamente parlando sarebbero del tutto improbabili, mentre in Dio sono possibilità di futuro.

Al terzo capoverso annuncia: Ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria. Certo che la strada c’era già, ma tra le due superpotenze, acerrime nemiche del minuscolo popolo d’Israele, c’erano muri e ostacoli costruiti per determinare chi di loro dovesse avere l’egemonia del Medio oriente.

Così Giovanni il Precursore vede una strada nel deserto ed è la buona notizia perché questa strada è Gesù. La buona notizia è Gesù. In che senso Gesù è una buona notizia?

Di questi tempi, pieni di bad news sono parole che accarezzano l’anima, perché ogni giorno può essere il giorno in cui inizia il Vangelo. Ogni giorno, perché non c’è un giorno ideale, non esiste una condizione ottimale, un tempo migliore… non c’è cristianità che tenga, oggi anche noi possiamo scrivere pagine di vangelo, non perché ci siano altre rivelazioni o delle aggiunte ai Vangeli, ma possiamo scrivere nella nostra storia, concretamente con le nostre vite pagine.

Rileggiamo due fatti che abbiamo vissuto in queste settimane.

Il primo: ho l’età insieme a molti di voi per essere potenzialmente padre (o madre) e nonno (o nonna) di Silvia, della giovane volontaria rapita in Kenya. Ma abbiamo anche l’età (e condividiamo la responsabilità) per essere parenti o educatori dei due ragazzi che a Varese hanno sequestrato e torturato un loro coetaneo per un debito di droga contratto da un amico di quest’ultimo.

La cattiva notizia è che potremmo avere come figli o nipoti quei due ragazzi di Varese. La buona notizia è che lo potremmo essere anche di Silvia, la cooperante di 23 anni rapita in Kenya. Eppure quello che molti adulti sono stati capaci di dire è che la giovane cooperante di 23 anni è rea di “essersela cercata” e di averci creato nuovi grattacapi, facilmente evitabili se fosse rimasta a Milano!

Oggi vorrei invitarvi a pregare per essere vicini alla famiglia di Silvia: non possiamo neanche immaginare quanto sia profondo l’abisso in cui questo dramma li ha fatti precipitare e molti dei nostri contemporanei sono incapaci invece di riconoscere la buona notizia di una giovane che si spende, si dona e ama. Anzi forse disturba e qualcuno vorrebbe mandare il mondo al macello e abbandonarlo alla violenza, perché quei giovani che abbracciano esperienze di volontariato, di fianco a casa o dall’altra parte del mondo ci interrogano, ci scuotono e qualcuno ha pensato di svuotare quello slancio e quell’idealità come scelte fatte con ingenuità, riducendo Silvia a una imprudente “cappuccetto rosso”.

I lupi sono certamente coloro che l’hanno rapita e che fanno violenza. Ma quando Fedro scrive: Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. “Il lupo stava in alto, molto più in basso l’agnello”, vuole metterci in guardia da un’altra questione.

Fedro, contemporaneo di Cristo, seppure in ambiente diverso, racconta che mentre si abbeverava al ruscello, un lupo vide, più in basso, un agnello che beveva pure lui. Cercò un pretesto per mangiarselo: «Ehi, agnello», accusò, «tu mi intorpidisci l’acqua». «E come potrei» rispose il poverino «se tu stai bevendo più a monte di me?». Sopraffatto dalla logica il lupo disse ancora: «Mi hanno riferito che sei mesi fa hai parlato male di me, dunque ti ucciderò per mangiarti». «È impossibile» rispose tremante l’agnello «sei mesi fa non ero ancora nato».  «Allora sai che c’è?» concluse il lupo «È stato tuo padre a parlar male di me». Detto ciò, si gettò sull’agnello e se lo mangiò.

Finale amaro perché senza speranza e senza giustizia, a testimonianza di un mondo che sembra funzionare solo così ed è quello che i lupi di ieri e di oggi vogliono. Gesù ci insegna invece che questi giovani sono principio di Vangelo, di buone notizie per noi che siamo rassegnati e stanchi!

Ma vorrei accennare a un secondo spunto che mi viene suggerito dalla giornata che celebriamo oggi per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita ormai quasi dieci anni fa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

La cattiva notizia è che nel mondo una donna su tre vive violenza fisica o sessuale, economica o morale, principalmente dal proprio marito o compagno o partener, e non si tratta di una contingenza storica, bensì di una strutturale prevaricazione del maschio sulla donna e sulla quale anche le chiese sono chiamate a interrogarsi e a riflettere.

Come è possibile un inizio di vangelo in queste situazioni? Come è possibile?

Anche qui si tratta di tornare a Dio per vederci come figli e figlie sue, quando invece anche nelle nostre culture e teologie, per troppo tempo Gesù sulla croce era l’esempio della vittima espiatoria indicato come modello per la sopportazione della violenza. Gesù non giustifica la violenza subita, ma ci insegna ad amarci come fratelli e sorelle, dove anche l’esperienza del perdono e della riconciliazione non è possibile se non c’è una presa di consapevolezza da parte di chi compie la violenza.

Abbiamo trascorso molto tempo e utilizzato energie a indicare il peccato ma abbiamo educato poco e male alla relazione, al rispetto, all’affettività. Educare oltre che al senso del peccato, alla bellezza di una relazione che passa attraverso l’attenzione, la delicatezza, la tenerezza e che è capace anche di ricevere dei “no”.

Ecco vediamo come il principio del vangelo, l’inizio rigenerativo è possibile anche in una società stanca e oppressa dalle chiacchiere grazie al sovvertimento dei giovani che credono ancora nella gratuità e nell’umanità.

È possibile un inizio del vangelo, di una buona notizia anche per quelle donne che sembrano essere condannate alla violenza, alla paura…

Possiamo annunciare l’inizio del Vangelo nelle varie situazioni della società, ma a condizione che sappiamo rivolgere lo sguardo all’Eterno, sappiamo contemplare il suo disegno d’amore che ci considera tutti figlie e figli suoi. Ed è quello che viviamo in questa Eucaristia.

(Is 19,18-24; Mc 1,1-8)