XXIV DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 15, 1-32


(Lc 15, 1-32)

Dopo aver ascoltato questa pagina di Luca, credo che la prima cosa che ciascuno di noi dovrebbe fare, sarebbe quella di ripensare alle esperienze di misericordia che il Signore ci ha donato. Dovremmo ripensare a tutte quelle volte che dopo esser caduti, siamo stati presi da lui sulle sue spalle e riportati alla gioia. Dovremmo ricordare tutte quelle volte che non avevamo grande autostima e fiducia in noi stessi e invece il Signore ci ha fatti sentirci così preziosi davanti ai suoi occhi da essere come quella dracma che viene cercata a tutti i costi!

Davvero le parabole della misericordia, come sono state spesso definite e così come le abbiamo lette dal cap. 15 di Luca, sono come uno squarcio di cielo che sulla terra appare nell’agire di Gesù. Vuoi conoscere il cuore di Dio? Guarda ciò che fa Gesù sulla terra, come si ripete più volte: Così vi dico vi sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si converte! Perché Gesù racconta addirittura tre parabole? Non ne bastava una per dire la misericordia di Dio?

Cerchiamo di cogliere il messaggio di Luca. Dapprima racconta due parabole per così dire ‘gemelle’: il pastore che cerca la pecora smarrita e la donna che cerca la dracma. Sono gemelle perché, anche se cambiano gli elementi, la struttura è parallela: si perde qualcosa, la si cerca e la si trova. Il particolare che non ci sfugge è che Luca dipinge un dittico accostando la figura maschile ad una femminile. La figura maschile del pastore è collocata in piena campagna durante il suo lavoro, quella della donna, che vive nel villaggio, è ripresa in casa sua. Gesù sta parlando di Dio e per farlo accosta un personaggio maschile e uno femminile, per dire che la misericordia di Dio ha un volto paterno e materno.

Nella prima parabola del pastore c’è una certa eccessività, uno sbilanciamento, quasi un poco di  follia: la follia dell’amore, la follia che non appartiene a chi gestisce oculatamente un gregge. Mi sono detto: se fossi io il pastore, certo non lascerei le novantanove nel deserto! Se si perdessero? se venisse un ladro? Se arrivassero animali predatori? E se poi quella sola fosse già stata divorata, espongo le altre per niente? Il danno non sarebbe peggiore?

Ecco il tipo di ragionamenti che si potrebbero mettere sul tavolo, fatti di buon senso. Ora è comprensibile che un figlio su due sia importante, ma una pecora su cento! Ma questa è la logica di Dio: l’Eterno nella persona di Gesù viene a cercare chi era perduto, non cerca i giusti, ma i peccatori.

È la passione del pastore innamorato: dopo aver ritrovato la pecora se la mette sulle spalle. Una pecora smarrita portata a spalle, un uomo peccatore portato sulle spalle da Dio: non è neppure obbligato a rifare a piedi la strada del ritorno! La fatica la fa il pastore, la fatica la fa Dio stesso. Che poi è una fatica che si fa volentieri, perché quando uno ama … Succede come ai nostri bambini quando li mettiamo sulle spalle e allora possono vedere un orizzonte che altrimenti sarebbe loro impossibile. Solo se Dio ci mette sulle sue spalle possiamo osare un futuro. Per i cristiani dei primi secoli questa era una convinzione molto forte, perché se non ricordo male, l’icona cronologicamente più antica di Gesù che abbiamo, nelle catacombe romane, non è il crocifisso, ma il Pastore che si è caricato la pecora sulle spalle e che sta tornando pieno di gioia.

Così anche nella parabola della donna che ha perso la sua moneta d’argento, e che perde tempo ed energie per cercarla. Che cos’è una dracma? Il valore del denaro variava a seconda dei tempi e delle regioni, ma possiamo dire che questa moneta d’argento, equivaleva ad una giornata di lavoro. Se la parabola dice che quella donna possiede dieci dracme – peraltro una moneta greca -, l’immagine è quella di una famiglia tutto sommato modesta, meno ricca del pastore e proprio per questo la donna non può permettersi di perdere niente.

Allora la vediamo curva a spazzare e a cercare in quel pavimento di terra battuta o lastricato con grossi pietroni, dove se si infila qualcosa si fatica davvero a trovarla, a far passare fessura dopo fessura. Anche perché le case della gente semplice avevano talvolta soltanto la porta come unico punto di luce, quindi possiamo immaginare la fatica e l’affanno della donna. Deve accendere una lampada. Bellissimo questo particolare: qual è la luce che il Padre accende per venire alla ricerca dell’uomo? Chi è la luce per la rivelazione alle genti? È Cristo la luce attraverso la quale il Padre viene a cercare chi era perduto.

Ecco le due parabole gemelle che dicono l’iniziativa di Dio. È Dio che va alla ricerca dell’uomo.  In tutte le religioni gli uomini sono amati perché buoni; per il cristianesimo no: noi siamo amati da Dio perché figli. Uno si perde? Dio si perde a sua volta dietro a lui. Questi è il Dio di Gesù, Egli per primo ci cerca, come dice s. Agostino: non ti avrei trovato, Signore, se tu non mi avessi cercato!

La terza parabola introduce almeno un elemento nuovo. Di fronte alla grande misericordia di Dio, in realtà la pecora non si è convertita e neppure la dracma è tornata da sola nel borsellino! Questo però, dice Luca, non deve far pensare che l’uomo sia passivo e che all’uomo non venga chiesto nulla. Ecco allora la terza parabola nella quale Gesù introduce un elemento nuovo attraverso il racconto dei due diversi atteggiamenti di fronte al cuore del Padre.

Non a caso la pagina era iniziata con la precisazione che ci sono due gruppi intorno a Gesù: uno è quello dei farisei e degli scribi che mormoravano e l’altro è quello dei pubblicani e dei peccatori che si avvicinavano per ascoltarlo. Che sono due modi di porsi di fronte al Signore e di fronte alla vita stessa che possiamo intravvedere nei due figli della parabola. Questi due figli sono uno il popolo d’Israele che è rimasto sempre nella casa del Padre e l’altro personifica le nazioni che si sono allontanate e si sono perdute nel paganesimo. Il capitolo era iniziato con i due gruppi di ascoltatori e si conclude con i due fratelli in una situazione rovesciata: il figlio disgraziato è entrato in casa, mentre quello che fa il suo dovere è fuori e sembra non voglia entrare. È sempre il Padre che esce anche verso questo figlio, ancora una volta è lui che si fa incontro, va a supplicarlo, addirittura ! Non aveva dovuto nemmeno farlo col minore che aveva abbracciato e portato dentro.

C’è una durezza maggiore in chi si crede giusto, che non in chi si crede peccatore, ma sappiamo che l’Eterno preferisce l’umiltà del peccatore all’arroganza del giusto. Ci sono persone che non trasgrediscono i comandamenti, ma non amano e non si sentono amate, non hanno conosciuto l’amore di Dio neanche dopo tanti anni che frequentano la chiesa. Hanno una fede ingrugnita, un atteggiamento quasi rancoroso persino verso la vita stessa che sembra non essere giusta nei loro confronti.

Credo che quel giorno, raccontando queste tre parabole, il Signore pensasse anche a noi: preghiamo insieme perché continui a portarci sulle sue spalle così che possiamo guardare al futuro con speranza e intercediamo, come Mosè, perché i suoi passi continuino ad inseguire anche coloro che amiamo e che sappiamo lontani da lui.