IV DI AVVENTO - Mc 11, 1-11


Tutto dipende dal “come”. Da come uno entra in casa, da come uno sta nelle relazioni, da come uno sta nei conflitti, da come uno affronta un problema… ma anche da come vive una gioia, un successo, un buon risultato.

Ecco mi sembra che sia questa la chiave ermeneutica di un passo di vangelo che è un po’ fuori tempo dal punto di vista cronologico, ma che ci dice appunto “come” il Signore entra nella storia del mondo, ed è il “come” della sua nascita a Betlemme fino al “come” è morto, il “come” della Pasqua che proprio nel vangelo di oggi si adombra.

È il filo rosso che attraversa tutta la vita di Gesù per dare compimento e pienezza a quanto annunciato dal profeta Isaia che nella prima lettura di oggi conclude così: Quando sarà estinto il tiranno… allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà… un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia.

“Un trono sulla mansuetudine”: è un’immagine un poco desueta e improbabile, ma che appunto il vangelo rende realistica con la schiena del puledro che porta Gesù: quello è il trono sulla mansuetudine! La schiena di un asino.

Così il Signore manterrà questo atteggiamento lungo tutta la sua vita, in ogni circostanza vivrà di mansuetudine, di tenerezza, di dolcezza, di misericordia e lo insegna ai suoi, come dice nel vangelo di Matteo: Imparate da me che sono mite e umile di cuore! (11, 29).

Certamente è facile essere miti quando si è in un contesto di persone per bene, quando si è rispettati… ma i nostri non sembrano tempi per i mansueti. A ben guardare perfino il termine mansuetudine è scomparso dal nostro vocabolario. Dal posto di lavoro alle piazze, dalle aule universitarie alle istituzioni essere mansueti significa essere perdenti!

Come d’altronde ci ricorda l’ingresso in Gerusalemme di Gesù in tutta la sua paradossalità: Gesù entra come diceva Isaia, sulla sella della mansuetudine, viene applaudito e osannato… ma sappiamo bene come in pochi giorni la violenza si prese rapidamente la rivincita.

Dovremmo fare lo sforzo di approfondire il problema della violenza e non dovremmo cullarci nella nostra tranquillità perché da più di 70 anni viviamo in pace, ma la violenza è subdola e attiva in tutta la sua pervasività, pensiamo al terrorismo, alle mafie, agli attuali rigurgiti di fascismo… Ho negli occhi le immagini dell’irruzione di un gruppo di fascisti nella sede di Como senza frontiere.

Se come credenti abbiamo l’obbligo morale di seguire l’insegnamento di Gesù sulla mansuetudine e la mitezza, come cittadini abbiamo anche delle responsabilità che non ci fanno accettare e subire inopinatamente queste e altre forme di violenza.

La mitezza che ci insegna Gesù è quella di credere che ci possa sempre essere un’opportunità di cambiamento anche per chi abbraccia la strada della violenza, dell’intolleranza e dell’odio. Ma la mitezza insegnata da Gesù non è la debolezza di carattere e la fragilità di persone insicure che non hanno coraggio di prendere posizione, anzi la mitezza evangelica guarda in faccia i problemi e li affronta, li studia, li conosce.

Ricordo le parole di uno dei volontari presenti all’irruzione a Como nella sede di Como senza frontiere, un insegnante di scienze in pensione da un anno: «Alla fine è come se fossimo riusciti a disinnescarli. Con il silenzio. Mostrandogli una totale alterità rispetto a quello che stavano facendo. Dall’espressione delle nostre facce che sembravano dire: “Ma che cosa state dicendo?”».

«Quindici anni fa, continua, ho partecipato a Action for Peace in Palestina. Il nostro compito era l’interposizione tra l’esercito israeliano e i manifestanti palestinesi. Lì ho imparato a non cedere alle provocazioni, a fare da cuscinetto alla violenza». Così hanno fatto martedì sera i 15 di Como Senza Frontiere.

Bisogna avere il coraggio di dire che è in questi atteggiamenti e non semplicemente nel sangue che si forma il tessuto connettivo di una comunità civile, di una democrazia, dell’umanità.

Mi viene spontaneo rivolgere lo sguardo a papa Francesco, un uomo che si va presentando sulla scena del mondo, capace di attraversare i sentieri più tesi e nervosi, con l’atteggiamento disarmato del Vangelo, come diceva Gesù: mite e umile di cuore.

Certo c’è chi lo contesta e sono perlopiù coloro che credono di dover difendere la chiesa e lo considerano non all’altezza della situazione. In realtà è proprio questa la controprova che il Vangelo è la bussola del suo agire. Succede a lui come è successo al Cristo e come succede ogniqualvolta prendi il vangelo sul serio e non lo sottometti al potere, al denaro o alla dottrina: chi si scatena contro di lui non sono gli atei, i non credenti… ma gli uomini e le donne di chiesa, i nuovi farisei che sarebbero anche contenti di poter contare ancora su un braccio armato per imporre la verità.

In Polonia, l’11 novembre scorso, una marea melmosa di sessantamila nazionalisti dell’Onr (gruppo di estrema destra, antisemita e legato ai falangisti spagnoli) ha invaso le strade di Varsavia al grido di: “Vogliamo Dio”, “Polonia pura, Polonia bianca”, “Rifugiati al diavolo”!

Ora me lo sono già chiesto e continuo a domandarmelo se questa Polonia sia la stessa Polonia di Solidarność e di Wojtyla e la stessa Polonia che ha donato il grande albero che sarà istallato in piazza San Pietro per le festività natalizie. Perché nel caso fosse la stessa sarebbe doveroso e moralmente necessario rispedirlo al mittente.

Nel caso, invece, fossero due Polonie diverse ci si dovrebbe chiedere che rapporto le lega, considerato lo slogan gridato “Vogliamo Dio” e le corone di rosario e i crocifissi usati come arma politica di offesa e di rifiuto.

Questo pensiero che intende il cattolicesimo come ideologia di conservazione dell’identità storica e della tradizione, non è un fenomeno che riguarda solo la Polonia, ma è trasversale e intacca, anche se in misura diversa, tutti i paesi “cattolici”, Italia compresa.

Ricordate Benito Mussolini che amava ripetere, con orgoglio: “Io sono cattolico e anticristiano”! In effetti, insospettisce sempre quando il termine “cattolico” viene usato come aggettivo qualificativo, o meglio “squalificativo”, di altri sostantivi: “ideologia cattolica”, “scuola cattolica”, “partito cattolico”…

Giustamente Enzo Bianchi, della Comunità di Bose scriveva: “Si è ormai introdotta una crepa nella chiesa italiana: a poco a poco e in modo sempre crescente appare la diversità, fino a essere una vera e propria opposizione, tra cattolici che vogliono ispirarsi al Vangelo e cattolici “del campanile”, per i quali la prima preoccupazione è la tradizione, l’identità cattolica localista”. E più in là aggiungeva: “C’è stata purtroppo una confusione tra carattere popolare della fede cristiana e appartenenza culturale tipica della “religione civile”, e così oggi dei cattolici che si pensavano tra i più militanti si ritrovano in contraddizione con l’emergere del primato del Vangelo”[1].

Grazie a Dio, con papa Francesco è sempre più difficile coartare il messaggio evangelico nella maglie ristrette di una religiosità ripiegata nell’ombra del campanile e in ricerca di sempre nuovi assetti mondani.

L’anno prossimo celebreremo il quarto centenario dell’inizio delle guerre di religione (1618) che in trent’anni di guerra hanno fatto più morti a mano che le due guerre mondiali, ed erano guerre tra cristiani: cattolici e protestanti.

Se solo ascoltassimo un poco di più le lezioni della storia! Ma si sa, la via della violenza è troppo intrisa di interessi: per le lobby delle armi perché fanno affari; per i populisti perché dando risposte immediate alle paure della gente acquisendo consensi; per i singoli perché risulta più facile proiettare su un nemico comune le proprie ansie che non cambiare i propri stili di vita… sono troppi gli interessi ammantati di ideologia di patria, di sicurezza nazionale o altro.

Quella della sicurezza nazionale è un’ideologia ormai abbracciata da molti come valore supremo, ma quando la sicurezza nazionale è posta al di sopra di tutto, allora è facile giustificare tutto: limitazione della libertà, torture, rapimenti, dittature, incremento delle spese militari…

Ci ha convocato qui uno che si presenta sulla scena del mondo e della storia cavalcando la schiena di un asino. Impariamo da lui a essere miti e umili di cuore, ma anche cittadini che cavalcando sulla sella della mansuetudine sanno essere sempre più attenti e vigilanti, difensori dei poveri e dei deboli, pronti a sostenere i diritti dei più fragili.

(Is 16,1-5; Mc 11,1-11)

[1] Jesus, luglio 2016