FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - Lc 2, 41-52
(Lc 2, 41-52)
Facilmente oggi potremmo affrontare il tema che ci viene dalla festa della famiglia in termini ideali e così invitarci a guardare alla famiglia di Nazaret come a un modello. Oppure verrebbe da dare un risalto ideologico a questa dimensione fondamentale della vita umana che oggi sembra essere messa in discussione.
Vorrei evitare queste due derive, per rimanere al dato evangelico e da qui trarre alcune considerazioni per noi. Per questo vi propongo di osservare la pagina di Luca prima dal punto di vista di Maria e di Giuseppe e poi da quello di Gesù.
Può sorprenderci, ma se leggiamo il racconto dal punto di vista dei genitori, ci rendiamo conto che non fanno una bella figura: di loro si dice che non si accorgono che Gesù rimane a Gerusalemme e poi quando lo ritrovano e si sono parlati, Luca scrive: non compresero ciò che aveva detto loro.
Che non è proprio la descrizione di una famiglia ideale e guardate questo nel momento in cui Gesù compiuti i dodici anni, diventa bar mitzva, cioè figlio della legge, ovvero adulto. Proprio in questo momento solenne, lo perdono!
Possiamo immaginare l’ansia e l’angoscia di quei genitori: è una situazione che ti fa mancare il fiato. Affiorano i dubbi, il presentimento di presagi oscuri e di paure accresce anche la discussione tra i due coniugi … “è colpa tua, dovevi stare attento!”, “no, ma io pensavo che era con te …”.
Rileggiamo qui tutta la bellezza e grandezza di una famiglia nelle sue relazioni d’amore e di affetto, ma anche con le fatiche, le preoccupazioni che accompagnano la crescita dei figli.
Una cosa emerge però, sempre seguendo il punto di vista dei genitori, ed è, in un momento di grande angoscia e tensione – per cui ci si poteva aspettare anche una reazione diversa –, la capacità di Maria di porre una domanda intelligente, una domanda che cerca di capire: perché ci hai fatto questo?
Ecco una domanda pensata, non è una semplice reazione indispettita e irritata. Nelle nostre relazioni familiari non si pongono facilmente domande giuste, è più facile fare domande nervose, cariche di emotività, di irritazione e talvolta anche indispettite. Oppure ci rifugiamo nell’atteggiamento di chi fa finta che non sia successo nulla: “Va bene l’abbiamo ritrovato e non se ne parla più, è meglio non fare troppe questioni, l’importante che lui sia contento …”.
Tuttavia, nonostante la domanda intelligente di Maria, Luca scrive: essi non compresero le sue parole. Che è come un invito ad accettare anche la fatica e l’umiliazione di non capire tutto, di non comprendere quello che sta succedendo.
È una fatica che grava su tante famiglie, è una questione che tocca tante coppie, da accettare con umiltà e nella quale possiamo, come Luca ci dice di Maria, custodire nel cuore, dove il verbo greco suggerisce l’atteggiamento tipico di chi cerca nel silenzio e nell’intimità di mettere insieme i fili aggrovigliati degli eventi, di cogliere la trama che soggiace agli accadimenti.
Se osserviamo il racconto dal punto di vista di Gesù, colpisce anzitutto la sua decisione di rimanere a Gerusalemme senza dire niente ai suoi genitori. Non è questione di un carattere ribelle o di un ragazzo che fa i capricci e ce ne rendiamo conto dal fatto che non va in giro, ma rimane nel tempio; infatti di lui si dice che sceso a Nazaret stava loro sottomesso!
Rimane comunque un atteggiamento scorretto da parte di Gesù e per certi aspetti incomprensibile. Cosa significa infatti quella risposta: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare nelle cose del Padre mio?
Sembra pretendere che Maria e Giuseppe potessero trovare del tutto normale che lui rimanesse a Gerusalemme, e poi cosa sono queste cose del Padre mio?
Possiamo capire il significato di queste parole, solo se avremo la disponibilità a seguire questo ragazzo lungo la sua breve vita, lungo la quale avrà dei momenti intensissimi in cui si ritira tutto solo sulla montagna e spesso di notte o al mattino presto per alimentare la sua relazione profonda col Padre, e giungere insieme con lui fino al momento culminante quando sulla croce conclude la sua esperienza umana, con le parole del salmo 31, che è una straordinaria preghiera nella prova, dicendo: Padre nelle tue mani consegno la mia vita.
L’atteggiamento che ha lungo tutta la sua vita, dall’inizio fino all’epilogo, è il costante rimando alla relazione con il Padre.
Ci sono relazioni importanti di cui ci nutriamo ogni giorno, dice Gesù, le relazioni tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici, tra colleghi … ma c’è una relazione che va cercata e coltivata, ed è la più importante e necessaria che è quella con il Padre. È questa relazione necessaria che vince la morte e dà senso a tutte le altre relazioni.
Al punto che un giorno ai suoi discepoli il Signore dirà: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Lc 14, 26). Gesù ci dice: imparate a stare nelle cose del Padre, insegnate a stare nella volontà di Dio, nell’amore dell’Eterno e dentro lì trovate il senso degli affetti, dei legami e dell’impegno.
Il modo di questa ricerca l’abbiamo compreso dalla capacità di porre le domande: Maria pone una domanda, Gesù risponde con una domanda: il cammino dell’uomo avviene in questa ricerca fatta di dialogo, di preghiera, di cercare di mettere insieme i brandelli della nostra vita, dove anche le difficoltà, le incomprensioni e gli insuccessi hanno un senso perché obbligano a pensare; sono situazioni nelle quali Dio ci fa maturare affinché lo possiamo incontrare e ci incontriamo meglio tra di noi.
A questo ci conduce dunque la pagina evangelica, a dispetto della retorica dilagante sulla famiglia, il Signore ci invita a un sano relativismo anche della famiglia, che è precisamente anche la sua vocazione più urgente: quella di permettere a ciascuno di scoprire e accogliere la propria chiamata, la propria missione, di trovare il proprio posto nel progetto di Dio per costruire così la più grande famiglia di tutti i figli di Dio.
Come sempre, quando si fa un gran parlare di una cosa, in realtà confessiamo anche la sua profonda debolezza.
E noi, ingenuamente, a forza di ripetere, di ribadire i cosiddetti valori non negoziabili, non ci rendiamo conto della fragilità che è già inscritta in una fondazione che vive solo della contrapposizione: non negoziabili!
Il Signore non è vincolato né condizionato a ripetere il modello di famiglia patriarcale da cui viene, ma chiede ai suoi di costruire una famiglia nuova, unita dal desiderio di compiere la volontà del Padre, una famiglia che abbia a cuore una specie in via d’estinzione, la specie dell’uomo libero e fedele.
Come scriveva Emmanuel Mounier: Non si può offrire agli uomini la libertà offrendo loro le comodità della vita: essi si assopirebbero per risvegliarsi servi. Quando non possiedono più l’amore per la libertà, non sono più in grado di edificare la libertà. Perché quando gli uomini non sanno più sognare le cattedrali, non sono in grado nemmeno di costruire delle belle soffitte (Il personalismo, p. 95).
Forse oggi non vi è nulla di più difficile e, perciò, nulla di più necessario, che incontrare persone e famiglie che sappiano stare nelle cose del Padre per costruire la profonda unità di tutta la famiglia umana.