IV DOPO PENTECOSTE - Mt 22, 1-14
«Il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave» (cfr Gn 18, 17-21; 19). Chi ha avuto modo di accostarsi sulle rive del Mar Morto coperte di sale, avrà impressa nel cuore l’immagine della desolazione, della mancanza di vita di quell’area geografica.
C’è una ragione scientifica che determina tutto questo ed è il fatto che il Mar Morto non ha alcun emissario e man mano che l’acqua evapora, il sale vi si concentra a tal punto da rendere impossibile la vita, la sua acqua è, letteralmente, salamoia.
Il racconto biblico in termini tecnici è considerato eziologico, nel senso che vuole «spiegare» la ragione profonda per cui quel territorio attorno al Mar Morto fosse e sia tuttora così desolato: il senso è che Sodoma e Gomorra sono città devastate dal peccato in quanto non solo non sono state capaci di ospitalità come Abramo, ma addirittura assurgono a simbolo di devianze sessuali, di depravazione e per questo vanno incontro alla distruzione, all’autodistruzione.
Un giorno nella pianura di Mamre all’ombra delle querce nell’ora più calda del giorno, mentre Abramo stava seduto all’ingresso della tenda e per riprendersi dalla circoncisione subita all’età di 99 anni, arrivarono tre stranieri che camminavano sotto il sole cocente. Abramo e sua moglie Sara prepararono per loro un grande banchetto e li servirono di tutto punto. Prima di andarsene uno dei tre angeli, annunciò ad Abramo che sua moglie Sarà avrebbe avuto a breve un figlio maschio, Isacco figlio della promessa.
Subito dopo, come narra il capitolo 18, uno degli ospiti rimane con Abramo, mentre gli altri due si recano da Lot, nipote di Abramo, il quale avendo seguito lo zio fin dall’inizio e diventato ricco e possidente, si era staccato da lui per stabilirsi nei pressi di Sodoma.
Ebbene gli abitanti di Sodoma che hanno visto i due ospiti arrivare, irrompono alla casa di Lot perchè vogliono abusare di loro… di due angeli di Dio!
I due ospiti sono salvati da Lot e quei pervertiti, dice la Genesi, diventarono ciechi perchè quando uno è abbagliato dal vizio e dalla depravazione non è, come si dice oggi, che un «utilizzatore finale», prigioniero del proprio vizio e del proprio ego.
È eziologico il racconto anche perchè pone due storie in parallelo: le società che accolgono e rispettano il forestiero garantiscono la propria continuità e prosperità come Abramo; mentre le società che rifiutano e sfruttano l’altro, fino ad arrivare alla perversione gettano il seme della propria distruzione.
Sodoma e Gomorra, come ben ci ha raccontato un giovane scrittore contemporaneo nel libro omonimo, raccontano di come il vizio e la depravazione sono il frutto di un cuore malato di denaro, dominato dal potere e dal narcisismo, elementi su cui vivono e traggono lauti commerci le mafie di ogni tipo, la camorra e la ndrangheta fenomeni che non riguardano soltanto il sud del nostro paese.
Ma la parola di Dio oltre a mettere in evidenza le conseguenze di una vita malata, ci mette di fronte ad un sentimento sconcertante che attraversa la narrazione biblica e che è come scritto tra le righe, percepito ma non esplicitato. Ed è l’atteggiamento che incontriamo anche nel vangelo (Mt 22, 1-14) nei primi destinatari dell’invito alle nozze; così come è anche purtroppo un modo di essere nostro di fronte alla sollecitudine di Dio: l’indifferenza. Regna l’indifferenza di fronte alla sollecitudine di Dio, dice Gesù, perchè l’Eterno non vuole che il banchetto vada deserto…, ma chi per un motivo, chi per un altro, chi per un campo, chi per gli affari non se ne curarono!
Così a Sodoma e a Gomorra può accadere di tutto: egoismo, corruzione, immoralità, falsità, violenze… ma anche qui nessuno reagisce, a tutti va bene così. Forse che il peccato di Sodoma e Gomorra non gridi più verso il Signore?
State attenti, scrive Paolo ai cristiani di Corinto, perchè riconosce che questo è un rischio grave anche per i discepoli: «Non illudetevi: né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6, 9-12).
Se c’è uno cui ho pensato molto in questi giorni, al quale l’indifferenza proprio non si adatta, è Giovanni Battista – considerato da Gesù come tra i più grandi nati da donna – eppure messo in prigione per molto meno di tutto quello che succedeva a Sodoma e Gomorra, ovvero per aver denunciato il comportamento scandaloso di Erode Antipa che aveva preso con sé Erodiade, la moglie di suo fratello Filippo ancora vivente (Mc 6,17-18).
Ma siccome Erode Antipa, come del resto la famiglia degli erodi, era un tiranno bugiardo, prepotente e immorale, non ci stupisce che vedendo ballare Salomé, figlia di Erodiade, arrivò perfino a perdere la testa per lei.
Ma la testa che fece tagliare fu quella del Battista…
Riconosciamolo: siamo abituati a tutto, non ci indigniamo più di nulla.
Stiamo attenti però, perchè se a noi è stato dato di più, se abbiamo ricevuto più talenti, ovvero se abbiamo ricevuto il dono del Vangelo, se abbiamo pregato, se siamo andati a messa, se abbiamo fatto tutte le nostre devozioni… ebbene dovremo rendere conto della nostra indifferenza di fronte al peccato.
Ricordiamo le parole del Signore nei confronti di Cafarnao: «E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sodoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sodoma sarà trattata meno duramente di te!» (Mt 11, 23-24).
Non si tratta di fare del moralismo, lo dice bene la Scrittura; se vogliamo costruire il regno di Dio, se vogliamo migliorare la nostra umanità, non è sufficiente predicare contro il malcostume, ma dobbiamo scegliere di vivere secondo un’etica della responsabilità, che è l’atteggiamento di chi compie delle scelte, delle decisioni e assume dei comportamenti tenendo presente le conseguenze di ciò che fa, per sé e per il futuro del mondo.
Dice il Signore nel vangelo di Luca: «Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva» (Lc 17, 32-33). Ci fa sorridere la storia della statua di sale.
Ma proviamo a domandarci: perchè la donna si volta indietro?
Forse si tratta di curiosità, un vizio femminile secondo la tradizione misogina del testo biblico e pertanto meritevole di punizione? Forse per nostalgia di ciò che lascia? Oppure per un ultimo barlume di coscienza concesso all’uomo sulla soglia del nulla?
Oppure per qualcos’altro?
La moglie di Lot è sulle porte dell’inferno, ne è testimonianza viva, avrebbe potuto fuggirne, non lo ha fatto e nel suo sguardo sgomento in procinto di spegnersi si riflette l’agonia di un’umanità senza futuro. Gli occhi della donna, un secondo prima della metamorfosi in statua di sale, coincidono con i nostri occhi sulla vita civile del nostro paese.
Nonostante tutto noi siamo ancora fiduciosi, per questo sull’esempio del nostro padre Abramo, intercediamo presso l’Eterno, perchè almeno per i pochi giusti che ancora ci sono, ci sia dato di confidare nella misericordia di Dio che sola può offrire una qualche possibilità di futuro. Ma, l’ammonimento finale del vangelo è chiaro: non potremo pregare il Signore con sincerità di cuore, se non indossiamo anche noi la veste nuziale dell’amore.