NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14
È sempre suggestiva la celebrazione della mezzanotte di Natale, perché vi è qui come un condensato del fascino misterioso della nostra condizione umana. La notte è sempre ambivalente: per alcuni può essere il tempo del divertimento e della distrazione; per altri è fonte di angoscia, a tratti paurosa. Quando non stai bene non passa mai, quando sei preoccupato si riempie di fantasmi … E poi quando ad essere nella notte si è in tanti, essa diventa la metafora di un’umanità che non sa da che parte andare, di un popolo che manca di orizzonti e di speranza.
E per molte famiglie quest’anno la notte di Natale è abitata anche dall’incertezza economica, lavorativa, da quella che viene chiamata crisi. Dopo tanti anni di spensieratezza, quasi da un giorno all’altro, ci dicono che non siamo più ricchi e che in realtà non lo siamo mai stati per davvero. O se anche lo siamo stati per un po’, non poteva durare per sempre. Ma davvero è solo una crisi o assistiamo al collasso di un sistema profondamente ingiusto?
Ecco la liturgia cristiana colloca proprio nel cuore della notte l’irruzione del mistero di Dio: come nella notte di Pasqua irrompe l’annuncio del Risorto che vince la morte, così nella notte di Natale veniamo ad ascoltare che Dio non è rimasto chiuso nel suo cielo, ma che l’Eterno si è fatto uomo, la Parola è diventata un bambino che non sa ancora parlare!
Quando noi dobbiamo spiegare le cose, secondo le leggi del linguaggio umano, moltiplichiamo le parole. Dio, l’Eterno invece cosa fa? Dice una Parola sola: il Cristo, parola del Padre, il Verbo diventa umano, diventa persona. Ed è in Gesù che si concentra tutta la parola di Dio, tutta la Scrittura, al punto che potremmo dire che il Cristo è il Verbo abbreviato (H. De Lubac). In Gesù quelle parole finora soltanto udibili alle nostre orecchie, diventano un’unica Parola visibile, palpabile e addirittura mangiabile. Il libro rimane, ma nello stesso tempo si concentra e si abbrevia in Gesù. Tutti i grandi maestri dello spirito hanno scritto dei libri, Gesù non ha scritto nulla: lui è la Parola, il Verbo abbreviato.
Quel Dio che in principio ha plasmato Adamo con la polvere si fa lui stesso polvere. Gesù, il Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, è un neonato, appena il mattino di una vita che ci rivela il senso divinamente grande di ogni vita. Così che se io devo piangere, anche lui imparerà a piangere. Se io devo morire, anche lui conoscerà la morte.
Ripenso alle parole straordinarie di Sartre, un pensatore riconosciuto da tutti come ateo, che trovandosi nel Natale del 1940 in un campo di prigionia a Treviri, scrisse un Racconto di Natale per cristiani e non credenti (“Bariona o il figlio del tuono”). In questo racconto Maria guardando il Bambino, pensa: Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia …. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.
È questa umanità di Dio che costituisce nella notte del mondo un segno di speranza. Così che se fino ad allora la grande ruota della storia girava sempre in un unico senso: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte. Perché il nostro istinto cieco cerca la luce, il nostro inconscio aspira a dominare. Ciò che è povero vuole essere ricco. Questa è la legge del mondo.
Allora in quel momento, quando il Figlio di Dio è partorito da una donna, mentre il Signore discende, diventa umano, attratto verso il basso per la forza di gravità dell’amore, in quel punto il movimento della storia per un istante si inceppa e poi prende a scorrere nel senso opposto: il forte si fa servo del debole, l’eterno cammina fra le età dell’uomo, l’infinito è contenuto nel frammento.
La prima condizione storica della nascita di Gesù, secondo Luca, è il censimento. Gesù nasce a Betlemme perché la grande macchina imperiale vuole aggiornare l’anagrafe tributaria … mentre a Roma si crede di decidere le sorti del mondo, mentre l’impero mantiene la pace con la spada e le sue legioni, in questo meccanismo perfettamente oliato, cade un granello di sabbia, nasce un bambino.
La nascita di Gesù è davvero il nuovo perno del tempo attorno al quale danzano i secoli e i giorni, intorno a lui che si fa storia con chi non ha storia, che si fa debole per confondere ciò che nel mondo è forte.
Certo noi siamo liberi di riprendere la ruota della storia secondo il vecchio corso, infatti oggi mentre siamo dentro a una situazione che non sappiamo come va a finire, nonostante l’evidenza, pensiamo ancora di risolverla con gli stessi criteri, ripetendo i medesimi errori.
Non siamo disposti a capire che la sola salvezza è nella povertà come lui ci ha dimostrato, povertà che non è miseria, ma liberazione dal superfluo, una ritrovata misura del necessario, per giustizia e per amore.
Con il Natale di Cristo qualcosa dell’eterno di Dio entra nel nostro quotidiano perché impastiamo dentro di noi, nelle nostre vite, il Vangelo di Gesù e possiamo tornare a credere che, nonostante tutto, alle fondamenta del nostro essere, della nostra vita c’è un senso divino e tutte le cose sono intrise di questo sogno di Dio.
Ciascuno di noi, tutti noi possiamo scendere dal piedistallo che ci siamo costruiti, possiamo scendere nell’umile accettazione della nostra fragilità e nella condivisione con l’altro.
Il Dio bambino si pone in mezzo alle creature, tanto per dirci la nostra dignità, quanto per indicarci la nostra responsabilità, perché l’amore discende sempre, si abbassa nella condizione dell’altro, nella solidarietà e nell’impegno per la giustizia.
Chiediamo al Signore di essere una Chiesa così, che sa discendere, che sa accogliere, che sa abbracciare dello stesso abbraccio di Dio per il quale non c’è nessuno che sia troppo distante per essere amato.
Una stalla è la prima chiesa, eppure vi è tutto quello che serve per la vita, per un viaggio.
Oggi la Chiesa che ci appare forse appesantita da troppi orpelli e nostalgicamente rivolta al passato, ricca di ricordi e di storia, ma anche un po’ noiosa e incapace di generare nuova vita, incapace di generare al Vangelo nuovi figli, può tornare ad essere feconda, se continua come Cristo a scendere, ad abbassarsi e a farsi più umana.
Dio si è fatto uomo, perché noi diventiamo come lui. Vuoi diventare Dio?
Diventa umano. È per questa via che nella notte del mondo possiamo ancora tenere accese le stelle. Ecco i doni che chiedo per me e per voi: umiltà e semplicità. Più semplici con le cose e più umili con gli altri, perché siamo tutti mendicanti di Dio.