VII DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 13, 44-52


(Mt 13, 44-52)

Questo stesso modo di parlare di Gesù è come un tesoro, nel senso che ci tocca scavare un po’ per andare in profondità, così come quei pescatori che si tuffano nell’oceano e che si spingono sempre più sui fondali per trovare la perla preziosa.

L’annuncio del regno con il discorso delle Beatitudini aveva acceso attese e speranze nella gente e nei discepoli… Poi qualcuno aveva cominciato a domandarsi: ma dov’è questo regno? In realtà le cose non cambiano. Gesù predica e guarisce, ma ne guarisce qualcuno, e gli altri? Il male, la sofferenza, la morte rimangono… e poi il mondo sembra impermeabile alla sua parola, c’è chi lo ascolta, ma tanti si tirano indietro… In questo senso la domanda che il Battista aveva fatto recapitare a Gesù dal carcere era stata emblematica: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?». Che è come dire: Quando viene il regno di Dio? perché le cose non cambiano?

Come risposta a queste domande Gesù racconta delle parabole. Matteo ne raccoglie sette nel cap. 13, dove dice che il regno è come un seme che cresce in vari terreni, è un seme che cresce insieme anche alla zizzania. Ancora, dice il Signore, il regno non è appariscente, non aspettatevi grandi cose, perché è come un piccolo granello di senape, o addirittura invisibile come lievito nella pasta.

Di quelle sette noi oggi abbiamo ascoltato le ultime tre nelle quali Gesù continua come in crescendo ad arricchire il messaggio, infatti non perché il regno è come il seme o il lievito che dobbiamo allora considerarlo cosa di poco conto, anzi è come un tesoro e come una perla.

Dire a qualcuno «Sei un tesoro» è parlare il linguaggio degli innamorati, di quell’amore che riempie il cuore, la mente, la vita! Riempie i vuoti dei nostri giorni, le solitudini amare, rompe l’incomunicabilità. Così per contro quando non troviamo il tesoro, quando il cuore non si accende di passione per qualcuno o qualcosa che ne valga la pena, allora ricorriamo ai surrogati, cerchiamo di barattare le chincaglierie che abbiamo raffazzonato sulla piazza del mondo e inseguiamo illusioni passando da una bancarella all’altra.

Anche oggi molti cercano un tesoro: magari non vanno più a setacciare le sabbie dei fiumi, piuttosto giocano d’azzardo, compiono operazioni finanziarie spregiudicate, partecipano a giochi di ogni tipo per poter vincere quel possibile «tesoro» con cui togliersi ogni preoccupazione per il futuro e permettersi di fare delle cose che hanno sempre sognato…

Anche in Israele in quegli anni c’era chi andava a cercare qualche tesoro sepolto magari sotto le rovine di città distrutte dalle guerre o da qualche famiglia costretta a fuggire a causa delle invasioni frequenti…

Nella prima parabola è per caso che l’uomo scopre e trova il tesoro. Il contadino lavorando il campo del suo padrone e non sta cercando proprio nulla, anche se poi quando accade l’imprevisto il suo cuore è completamente attratto e preso dal tesoro…

Tesoro dicevo è parola più adatta agli innamorati, parola più adatta a storie sognate in grande… Gesù ci insegna a pensare così la nostra storia con Dio, come quando avete incontrato l’uomo o la donna della vostra vita e avete lasciato ogni altra possibilità perché lì avete trovato la vostra gioia, il vostro tesoro. O come per me e per tanti consacrati, l’aver incontrato il Vangelo di Gesù è stata una gioia immensa per la quale non ho esitato a rinunciare al resto.

Vi invito a notare invece che nella seconda parabola il mercante va in cerca della perla preziosa e intenzionalmente passa di negozio in negozio per cercare qualcosa di valore.

Le due parabole dicono i due atteggiamenti dell’uomo e della donna. C’è chi cerca, ma anche chi si trova la perla preziosa tra le mani.

Nel quarto secolo un padre della Chiesa siriaca Efrem detto appunto il Siro (+373) ha scritto delle straordinarie omelie che hanno come oggetto la perla, dove la perla è appunto Gesù. In particolare faceva sua la credenza del tempo secondo la quale si riteneva che la perla si formasse all’interno di un mollusco, allorché la sua conchiglia veniva trapassata da un fulmine caduto dal cielo, provocando così la congiunzione di elementi disparati e lontani, come l’acqua e il fuoco… così nasceva la perla. Efrem il Siro ricorreva alla metafora della perla per raccontare l’incontro in Gesù della natura umana e di quella divina e la sua irruzione dal cielo sulla terra. È lui il tesoro, uomo e Dio, la perla per la quale vale la pena di vendere tutto il resto, con gioia!

E quando ti imbatti nella perla preziosa sei contento, felice e ogni cosa diventa relativa in rapporto ad essa! Con queste parabole viene smentito il luogo comune per cui il fatto di credere, di essere discepoli del Signore, dovrebbe consistere anzitutto nel rinunciare, nella fatica del seguirlo. Come se il cristianesimo fosse la religione del risentimento verso la bellezza della vita, verso la gioia di vivere. Anzi Gesù racconta che il contadino è disposto a investire tutto quello che ha per il tesoro, e lo fa con grande gioia! Come per la perla di grande valore, anche il mercante vende tutti i suoi averi e la compra…

Queste parabole, al contrario di molte altre, Gesù non le racconta ai suoi avversari, bensì ai suoi discepoli. Perché i discepoli di ieri come quelli di oggi rischiano sempre di sottolineare di più l’aspetto del sacrificio e della rinuncia che pure ci sono, ma questi non sono fine a se stessi, hanno senso se si è abbracciato il tesoro, la perla! Allora c’è gioia, perché la gioia si può sperimentare solo per qualcosa o meglio per qualcuno che si è scelto come definitivo, che si è abbracciato come tesoro della vita, per il quale si investe tutto. Una vita che non si lega stabilmente a niente e a nessuno, perché crede di preservare anzitutto la propria libertà, sarà continuamente un’esistenza «in prova», ma proprio per questo sarà una vita triste, senza gioia.

Gesù dice che nella vita siamo felici per il tesoro che abbiamo nel cuore: dov’è il tuo tesoro, lì c’è anche il tuo cuore (Mt, 6,21).

Nella terza parabola Gesù aggiunge un’ulteriore prospettiva, perché se le prime due con l’immagine del tesoro e della perla potevano indurci a pensare al regno, al rapporto con Dio come a qualcosa che uno può possedere, quasi ne diventasse il proprietario… La terza parabola introducendo l’immagine della rete dice in realtà che non siamo noi a possedere il regno di Dio, non siamo noi a stabilire chi è dentro e chi è fuori, ma a nostra volta siamo irretiti, siamo presi dentro l’amore di Dio, dalla sua misericordia e ciascuno di noi è oggetto della cura di Dio!

Con l’incontro di questi due elementi, da una parte la scoperta della perla del vangelo, del tesoro che è Cristo e dall’altra il riconoscimento di essere così presi dentro dalla rete dell’amore di Dio, allora possiamo raccontare questo amore, diventare come lo scriba di quella che potremmo considerare l’ottava parabola: per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

E questo scriba è in grado di estrarre dal suo tesoro «cose nuove e antiche». Notate l’ordine delle parole di Gesù: «cose nuove e cose antiche», non «cose antiche e cose nuove». L’invertire le parole da parte di Gesù lo colgo come un invito ad avere più coraggio. A non essere scribi “pappagalli” di un linguaggio religioso. Non rassegniamoci a parole ingessate, a quelle che si ripetono stancamente, clichés che non danno respiro, frasi fatte senza gioia.

I discepoli di Cristo che hanno scoperto il tesoro del Vangelo non diventano meri ripetitori del passato che trattano il Signore come un oggetto della loro speculazione o della loro esperienza, o ancor peggio della loro organizzazione, perché poi si ritrovano tra le mani della bigiotteria e non il tesoro del Vangelo.

In questi giorni facevo una costatazione di cui mi sono sorpreso anch’io. Si sa che i cristiani possano essere cattolici, evangelici, ortodossi, anglicani… ma mi sono reso conto purtroppo che «si può essere cattolici senza essere cristiani». Ed è un dramma se ci pensiamo bene. Possiamo essere cattolici a parole e con prepotenza per difendere le nostre idee e i nostri valori, facendoci paladini della verità… ma dimenticando Cristo, dimenticando la mitezza delle beatitudini, dimenticando la ferma tenerezza di come Lui ha annunciato la verità, appunto come un tesoro e una perla, come una cosa bella per cui valga la pena vivere.

Cristo è il tesoro che nessuno di noi mai possiede una volta per sempre, perché è sempre da cercare e talvolta si lascia trovare in campi in cui non avremmo mai immaginato si nascondesse!

Non dimentichiamo che la rete è Dio che la getta nel mare della storia e a suo tempo sarà lui a fare la cernita.