DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Gv 10, 22-30


È una tradizione secolare quella che ci fa ricordare oggi, terza domenica di ottobre, la Dedicazione del Duomo, la cattedrale della chiesa milanese. Dobbiamo risalire al 20 ottobre 1577, era anche allora la terza domenica di ottobre, quando san Carlo consacrò il Duomo e si era solo a metà dei lavori che erano iniziati intorno al 1386 e che si conclusero con la facciata solo nel 1814: più di quattrocento anni per quella che i milanesi opportunamente chiamano la «fabbrica del Duomo»!

Per quanto i grattacieli costruiti dalla nostra generazione cerchino di insidiare il suo primato tra gli edifici più belli della città, il Duomo rimane un punto d’attrazione e di vanto per la sua armoniosa bellezza, per la sua storia, per le emozioni che accende ogni volta che ci troviamo piccoli davanti a quel marmo forgiato e lavorato da generazioni e generazioni di credenti.

Anche solo rimanendo all’esterno veniamo sorpresi, almeno a me così succede, a fare una considerazione banale ma non per questo meno vera, vale a dire come nei secoli che ci hanno preceduto i cristiani pur non avendo i mezzi e i denari che abbiamo noi, siano stati capaci di costruire autentici capolavori che sono opere d’arte tant’è che le chiese che realizziamo oggi in genere non possono reggere il confronto.

Forse però entrando nelle navate del Duomo, potremmo riscattarci se pensiamo a quale chiesa stiamo vivendo oggi, nel senso che facendo i conti con tutti i segnali che abbiamo e che registriamo nel bene e nel male, dal Concilio a oggi, con papa Francesco, stiamo diventando o cerchiamo di essere, come diceva il paragrafo iniziale della costituzione dogmatica Lumen gentium, una chiesa che è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano.

Una chiesa segno di unità. Ciò non vuol dire che tutti debbano diventare cattolici. Quello che conta è che la chiesa renda visibile ciò che significa essere umani: appartenere alla grande famiglia umana, all’intera creazione. La chiesa è segno di unità perché l’umanità è chiamata da Dio a essere una.

Oggi più di ieri abbiamo questa consapevolezza di essere e di diventare una chiesa capace di sfidare ogni identità che privilegi in modo univoco le proprie origini nazionali o etniche. Sono cristiano prima che italiano, francese o tedesco… questo è il motivo per cui le dittature e i tiranni hanno sempre temuto la chiesa e le si sono opposti, dai primi imperatori rimani che perseguitarono i nostri antenati fino a Enrico VIII, a Napoleone… Il patriottismo, ovvero l’amore per il proprio paese va bene, ma il nazionalismo con le sue esigenze assolute, è incompatibile con il cristianesimo.

Siamo oggi più di ieri una chiesa che è segno e strumento di unità: credo che da questo punto di vista non abbiamo a temere il confronto con le generazioni che hanno costruito il Duomo!

Certo non possiamo dimenticare che ci sono cristiani che ancora oggi vorrebbero una Chiesa più chiusa, circondata di muri, ma il cristianesimo non è questo. Non è la paura dell’altro. È invece ciò che papa Francesco ci mostra, rivelandoci Gesù. Gesù e il cristianesimo sono l’apertura all’altro, verso ogni essere umano. Imparando così la saggezza che c’è in ogni essere umano, in ogni cultura e tradizione. Anche se dobbiamo fare i conti con le forze contrarie dentro la chiesa stessa.

D’altronde la chiesa è chiamata ad essere dimora dell’umanità, in cui tutti possono sentirsi a casa… tutti gli esseri viventi hanno bisogno di una casa, di un luogo da abitare per vivere e crescere. Gli uccelli non possono fare a meno dei loro nidi, i pesci dell’acqua, le volpi delle loro tane, le pecore del loro pezzo di terra… Ma fino a un certo punto regge questo paragone, perché noi esseri umani se abbiamo bisogno di una casa dal momento che siamo esseri spirituali, ci occorre una casa spirituale.

Una casa come quella descritta nell’Apocalisse, che ha le caratteristiche di una città e quindi di un’umanità dove non c’è tempio, perché l’Agnello è il suo tempio! Una città le cui porte non si chiudono mai durante il giorno e mai in assoluto perché non ci sarà più la notte!

Come diceva Gesù nel vangelo di oggi riprendendo il concetto: le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Non c’è tempio, ma c’è la voce dell’Agnello. C’è una voce da ascoltare, la voce di Gesù e niente più. E poi c’è da camminare: e mi seguono! Non si fermano nei banchi del tempio, ma camminano! Ecco perché le porte dell’Apocalisse sono sempre aperte: c’è un via vai impressionante, di gente che cammina e che va dietro alla voce dell’Agnello.

Non è più la religione del tempio e di tutto l’apparato che gli è stato costruito intorno. Si tratta di un rapporto di fiducia, di una relazione costruita sull’ascolto e la sequela.

Certo noi poi abbiamo bisogno di un edificio, di un luogo ma che è sempre in dialogo con la città, con quella che l’Apocalisse chiama la Gerusalemme che scende dal cielo, come dire: noi non siamo capaci di una chiesa così, occorre che venga come dono. Perché essere chiesa è una responsabilità, ma è anche un dono.

Anche Gesù d’altronde pur inserendosi nella tradizione secolare dell’ebraismo biblico ha scandalizzato le autorità, le brave persone formando intorno a se una comunità non proprio con i migliori, se non addirittura con la feccia della società: con le prostitute, i pubblicani, con quelli che riscuotevano le tasse per il nemico… Con il suo comportamento ha detto: se vuoi appartenere a me, devi appartenere a loro. Ha scelto come roccia della chiesa quel povero Pietro che viveva di entusiasmo e di slanci e che poi ha finito per fare il voltagabbana.

Pietro fallisce miseramente, rinnegando un amico. Addirittura secondo la leggenda, tenterà di scappare anche dalla persecuzione di Nerone, ma sulla strada incontra Cristo che procede in senso opposto. Quo vadis? Dove stai andando? Chiede Pietro. A morire una seconda volta,  rispose Gesù. E allora Pietro torna indietro e segue Gesù.

Bisognava essere pazzi per scegliere Pietro. Ma di quella pazzia per la quale però allora nessuno avrebbe mai potuto sentirsi escluso. E che è la pazzia di Dio.

Allora comprendiamo che la chiesa per essere tale deve essere una casa abbastanza ampia da fare spazio anche a chi fa fatica, come l’esempio di Pietro ci conferma. Ma deve essere sufficientemente grande per accogliere anche chi protesta e si arrabbia, come Tommaso. Fin dall’inizio la comunità di Gesù era una comunità spaziosa, abbastanza grande da accogliere molte divergenze, a volte durate secoli.

Così era la chiesa ai tempi di Caterina da Siena che corse alla corte papale, allora in esilio ad Avignone, a rinfacciare al pontefice e ai cardinali i loro fallimenti: Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito!

Una chiesa come quella americana che diede voce al dissenso vigoroso di Dorothy Day nei confronti dei vescovi americani riguardo alla guerra del Vietnam e che oggi fa’ degli edifici ecclesiali dei veri e propri santuari per la tutela dei diritti dei migranti.

Né ci devono scandalizzare le divisioni che vediamo all’interno della chiesa ortodossa a causa del grave conflitto sulla questione dell’autocefalia della chiesa ucraina e per cui la chiesa russa ha interrotto la comunione con il Patriarca ecumenico Bartolomeo…

Così come anche il fatto che molti cattolici non si sentano a casa nella chiesa perché la sua reputazione è rovinata dagli scandali o altri invece si sentono degli “scappati di casa” perché le loro vite non sono conformi all’insegnamento della chiesa o perché non sono affatto d’accordo su alcuni insegnamenti quali l’ordinazione delle donne o le questioni del gender…

La chiesa non è una civiltà: le civiltà muoiono e passano.

La chiesa non è un impero: gli imperi si fondano sul sacrificio delle vite umane.

La chiesa è segno di unità, sacramento della fraternità universale, dove ogni povero è il suo tabernacolo.

Qui sta il senso, certamente a volte sofferto, del nostro abitare la chiesa. Faccio mie le parole del piccolo fratello di Charles de Foucauld, Carlo Carretto:

Quanto sei contestabile, chiesa, eppure quanto ti amo!

Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!

Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.

Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!

Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso, e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.

No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.

E poi, dove andrei?

A costruirne un’altra?

Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia chiesa, non più quella di Cristo.

(da: Il Dio che viene).