PENULTIMA DOPO L’EPIFANIA detta "della divina clemenza" - Gv 8, 1-11
(Rm 7, 1-6; Gv 8, 1-11)
Con la nostra sensibilità e con la cultura dei diritti che ci appartiene dopo aver ascoltato questa pagina di Giovanni avremmo di che lamentarci col Signore: perché accetti che solo la donna venga accusata di adulterio? Non dici nulla per l’uomo, il maschio che con lei ha peccato? E poi scribi e farisei, sono tutti maschi che non vedono l’ora di lapidare una donna rimasta sola e senza la possibilità di difendersi!
E potremmo continuare… ma per quanto possiamo accostarci al vangelo con le nostre sensibilità, il primo passo che dobbiamo compiere è sempre quello anzitutto di entrare nelle sensibilità del contesto e poi vederne l’attualizzazione.
La situazione infatti è insidiosa, scribi e farisei tendono un tranello a Gesù. Il Signore è per così dire messo con le spalle al muro. Non è una questione accademica, è questione di vita e di morte. Immaginiamo la scena con al centro questa donna colta in adulterio, in una posizione che la isola e intorno a lei in cerchio gli accusatori. Al centro dell’attenzione di tutti c’è il peccato, il male che va eliminato. C’è il bisogno di fare giustizia, che è un bisogno che fonda la convivenza civile, perché nella società c’è sempre qualcosa che non va, allora è necessario avere qualcuno che sia donna, straniero, con il colore diverso della pelle … sul quale scaricare la colpa, la responsabilità del male che accade e per questo va quindi eliminato. È il principio del capro espiatorio che da sempre funziona così e che sta anche a fondamento del nostro convivere civile. Noi non lapidiamo più le persone con le pietre, ma basti osservare come molte volte stiamo insieme finché c’è un nemico comune da combattere e così mentre siamo uniti contro il colpevole, sfoghiamo anche la nostra aggressività, la nostra violenza. Così si fanno le guerre, così si fan fuori le streghe, così si perseguitano i diversi, così si sterminano i popoli.
Questa è una giustizia che si illude di eliminare il male con l’eliminazione del peccatore e che proprio per questo resiste alla proposta evangelica. Se osserviamo bene il racconto in realtà l’imputato è Gesù. Perché viene accusato, predicando la misericordia, perdonando pubblicani e prostitute di vincere il male, ma il male non si vince così, dicono i legulei di sempre, bisogna combatterlo, anche a costo di uccidere e di eliminare le persone. La mira delle pietre quindi è contro Gesù, tant’è che alla fine di questo stesso capitolo Gesù è costretto a uscire dal tempio perché «raccolsero pietre per gettarle contro di lui» (8, 59).
Ebbene il Signore viene messo di fronte a un bivio che pare senza via d’uscita. Se Gesù risponde alla provocazione con il perdono della donna si pone in conflitto con la legge di Mosè (Es 20,14; Dt 22,22).
Se approva la lapidazione della donna contraddice la sua stessa predicazione e poi si pone contro l’autorità romana, che riservava a sé le sentenze capitali.
Con il suo chinarsi per terra sembra sottrarsi al tranello: si abbassa e scrive per terra. Che cosa avrà mai scritto Gesù? Cosa c’era di così importante da scrivere se per due volte Giovanni sottolinea questo dettaglio in un racconto in cui non dice nemmeno il nome della donna? Ambrogio e Agostino cercano di spiegare il gesto di Gesù riferendolo alle parole del profeta Geremia, quando dice: I nomi di coloro che si allontanano da me, dice il Signore, saranno scritti sulla sabbia (17,13), parole che dicono una sacrosanta verità.
Ma non dobbiamo dimenticare che fin dai primi versetti sappiamo di essere nel tempio e il pavimento del tempio era di pietra… Quindi Gesù più che scrivere sulla sabbia scrive sulla pietra. Ed è un’immagine altrettanto profetica: è come se Gesù volesse portare a compimento la Tora, scrivendo sulla pietra della legge, proprio come aveva fatto l’Eterno scrivendo sulle tavole di pietra. Ma penso anche che Gesù voglia scrivere sul cuore di pietra dei suoi interlocutori e lo fa abbassandosi, come a invitare tutti a riconoscere che il nostro cuore è duro come la pietra.
Notate come Giovanni rimarchi che il Signore compia questo gesto almeno due volte mentre si china per terra e tra le due volte si alza in piedi sentenziando: Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei. Parole intense che sono dirette anche a noi tutte le volte in cui siamo tentati di fare giustizia sbrigativamente. Significano diverse cose.
Anzitutto, sono un invito a guardare se stessi: Perché lapidate questa persona? Per sentirvi a posto? Per sentirvi puliti ammazzando una donna? Se uno guarda se stesso, ma davvero però in profondità, non condanna più nessuno, sa bene che ciascuno di noi potrebbe fare del male. Guarda la tua coscienza! Potremmo dirlo con un proverbio africano: «Quando punti il dito contro un altro, ricorda che almeno tre dita sono rivolte contro di te».
Secondo, Gesù non dice che la donna ha fatto bene, ma rimandando alla coscienza di ciascuno, chiede di non identificare il peccato col peccatore: il peccato rimane sempre tale, ma la persona non coincide in tutto col suo peccato. Noi appunto per cercare un capro espiatorio mettiamo sempre le etichette alle persone riducendole al loro errore, al loro sbaglio: sei un ladro, un tossico, una prostituta… per Dio nessuno è mai solo la sua colpa, nessuno si riduce solo al proprio peccato.
In terzo luogo le parole di Gesù sembrano anche sbaragliare l’ipocrisia maschilista per cui colpevole dell’adulterio era in definitiva solo la donna… Non a caso cominciando dai più anziani se ne vanno uno dopo l’altro. In greco «più vecchio» si dice «presbitero», è l’unica volta che riscontriamo questo termine in Giovanni. Tra l’altro gli anziani sono quelli che devono giudicare, paradossalmente sono proprio loro che si scoprono più peccatori e cominciano per primi ad andarsene. E forse tra loro c’era anche l’adultero.
E così, scrive Agostino commentando questa pagina «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia» (Omelia 33,5), la misera che è l’umanità consapevole del peccato e Gesù che dice: Neanch’io ti condanno, va’ e non peccare più. Gesù dunque rimanda ciascuno alla propria coscienza, alla responsabilità personale che è un cammino più difficile che non quello di trovare il colpevole, di scaricare il male sempre e solo sull’altro. No, il male non è questione di genere, di etnia, di appartenenza… il male l’abbiamo dentro ciascuno di noi.
In questo senso tutti noi siamo quella donna, tutti noi siamo adulteri nei confronti dello Sposo, che è il Signore. Ritroviamo qui una metafora profetica che ci fa ricordare Osea il quale diceva che il popolo era più di un’adultera, è una prostituta… ma Dio è fedele. Non è che poiché noi ci convertiamo a lui, allora anche Dio diventa buono per noi. Lui da sempre è buono con noi, per questo possiamo convertirci a lui.
Non è che pentendosi la donna viene perdonata, non si dice che si sia pentita. Il silenzio sui sentimenti della donna mette in evidenza la gratuità della misericordia, per questo Gesù può dirle: Va’ e d’ora in poi non peccare più. Non è semplicemente: Guai a te se pecchi! Perché supponiamo che il giorno dopo quando Gesù si trova ancora nel tempio e di nuovo arrivano e dicono: eccola ancora quella di ieri, l’abbiamo ritrovata in adulterio! Cosa avrebbe fatto Gesù? Questa donna non pecca più, nel senso che colei che sperimenta un grande amore che la accoglie e la accetta, risponde con amore a questo amore e chi ama compie veramente la legge, perché l’amore è il pieno compimento della legge.
Questa donna, cioè noi, col perdono viene liberata dall’identità che la legge le infligge. Un’identità per la quale i virtuosi osservano la legge e i peccatori la trasgrediscono, ma l’identità degli uni e degli altri rimane sempre nella legge e la legge codifica il passato, l’agito, il compiuto.
Gesù, come dice Paolo nella lettera ai Romani, liberandoci dal peccato, ci libera dal passato e apre la coscienza al futuro, alla responsabilità, alla vita. Questa è la novità profonda del Vangelo, che è una novità anche antropologica, convertirsi vuol dire aprirsi al futuro. Il cerchio degli accusatori che avevano messo la donna nel mezzo, era un cerchio mortale, senza futuro. Ma questo cerchio si dissolve per la parola di Gesù. Non c’è solo l’identità col peccato che abbiamo commesso e forse per la Chiesa il momento più evangelico della sua vita è quello in cui riesce a dare a una creatura la fiducia nella vita, che è lo spazio in cui Dio ci attende.
Preghiamo insieme oggi e chiediamo al Signore di continuare a scrivere la sua Parola nei nostri cuori di pietra…. Voi direte: ma cosa c’è di più inutile dello scrivere sulla pietra? Sono duemila anni che il Signore continua a scrivere sul cuore dell’uomo e della donna e almeno per questa sua perseveranza e tenacia diamogli atto che nel suo perdono è il nostro futuro.