III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59


Il serrato dibattito tra Gesù e quei Giudei che avevano creduto in lui mette in evidenza la gravità del rischio della fede di ridursi a una montagna di parole. Coloro che dicono di non credere, spesso rifiutano non il vangelo di Gesù, ma le molte parole che sentono pronunciare a proposito di Dio. Le trovano prolisse, sentimentali e soprattutto troppo disinvolte, se non proprio false, almeno approssimative, leggere e scontate. Noi stessi siamo diffidenti nei confronti di una religione che sia soltanto recitata, incapace di tradursi in modi di essere, di agire e di comportarsi.

Potremmo immaginare di porre a quei Giudei che avevano creduto in Cristo: che cosa è cambiato della vostra vita da quando avete creduto in Gesù? E la risposta è facilmente intuibile dal racconto di oggi: niente! La lunga pagina di Giovanni svela che nel cuore dei suoi interlocutori Gesù vede una paternità diabolica: se foste figli di Abramo fareste le opere di Abramo … se Dio fosse vostro padre, mi amereste… invece avete per padre il diavolo!

Parole terribili, di una durezza inaudita dall’esito evidente: o le ascolti e ti metti in discussione, o le rifiuti e prendi a sassate chi te le dice. Se siamo qui scartiamo quest’ultima possibilità e piuttosto ci lasciamo interrogare dalle parole del Signore per non avere una fede recitata, ma sincera: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli;  conoscerete la verità, la verità vi farà liberi.

Che cos’è la verità di una vita? Di una persona? Che cos’è la verità di un rapporto di coppia? Di un’amicizia? Noi siamo soliti sostenere che è importante dire la verità, a questo educhiamo i nostri figli. Gesù ci sta chiedendo non tanto di dire, ma di fare verità, di stare nella verità.

Proviamo a domandare a un amico: qual’ è la verità della tua vita?  Nella migliore delle ipotesi probabilmente ci direbbe: essere me stesso, essere autentico, sincero. Quando uno attraversa la prova e la sofferenza: lì si vede davvero chi è un uomo, chi è una donna e di quale stoffa sono fatti.

Per noi credenti un uomo è vero quando è davanti a Dio nella nudità della sua condizione, quando è quello che è veramente spogliato dei titoli e delle maschere, purificato dalle sue illusioni, perché davanti a Dio non possiamo recitare la parte dei devoti e dei migliori. Ma “mettersi davanti a Dio” cosa significa? Lavorare di immaginazione? O piuttosto metterci davanti al Vangelo di Gesù che dice: Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14, 6), ovvero mettersi davanti a Gesù che è la verità di noi stessi, è la verità del nostro rapporto con il Padre! Gesù è la verità di Dio.

La verità non è un’idea, un concetto, un’astrazione, è una persona. E se per noi Gesù è la verità, come discepoli non ci basterà dire di essere autentici con noi stessi, con il nostro sentire, questo è già importante, ma saremo veri nella misura in cui il mistero di Cristo, diventa il nostro mistero. Saremo veri quando ciò che si è compiuto nel Capo, si compie anche nel resto del corpo, che siamo noi.

Se la nostra verità è Cristo, osserveremo le leggi dello Stato, le regole della convivenza civile, ma il nostro profondo riferimento, che va oltre e comprende queste leggi, è il modo di essere di Gesù. Così come lo impariamo dal Vangelo.

Infatti nonostante la discussione della pagina di oggi sia prevalentemente, se non esclusivamente, tra uomini, tra maschi, non dobbiamo dimenticare che il cap. 8 di Gv inizia con l’episodio emblematico della donna sorpresa in fragrante adulterio condotta a Gesù a modo di provocazione, infatti anziché lapidarla subito, la conducono dal Signore per portare Gesù sul terreno minato dell’osservanza della legge: la legge dice di lapidarla, e tu che dici?

Quale ipocrisia! Gli portano la donna … e l’uomo? L’uomo che era con lei? Era un padre di famiglia? Magari un altolocato che avrebbe suscitato scandalo o un devoto dalla doppia vita? Non era importante, importante era trovare il capro espiatorio e lo si va a trovare nell’anello debole della società, ieri come oggi.

Quale ipocrisia. Gesù sa vedere e conosce questa falsità, questa doppiezza del cuore umano e allora ecco quelle parole che sono assai più pesanti delle pietre che i farisei hanno tra le mani per uccidere la donna: Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei. Ricordate cosa è successo? Se ne andarono uno a uno … cominciando dai più anziani!

La verità di Gesù non è una teoria, un’astrazione che va bene per tutti e per nessuno al tempo stesso. Ma è la verità della misericordia di Dio che rende libera quella donna: va’ e non peccare più, le dice il Signore. E sarà libera davvero. Vedete come la verità del vangelo mette in crisi la fede recitata?

L’incontro con Cristo libera, rende liberi dal peccato, dalla schiavitù di una fede finta e fa fare le opere di Abramo. L’ipocrisia, soprattutto quella religiosa, rende arroganti, presuntuosi, ci riduce a funzionari di Dio e ci fa compiere le opere di Satana, al punto che le stesse pietre che erano destinate alla donna erano pronte per essere scagliate contro Gesù.

Vorrei consegnarvi per questa settimana la prima frase del vangelo che si articola in quattro pensieri: se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Potremmo leggerle a partire dal fondo e chiederci: ma io sono libero? noi siamo liberi davvero?

No che non siamo liberi: abbiamo tante paure, tanti pregiudizi, tanti condizionamenti e forse ci siamo anche resi conto che non esiste la libertà in assoluto, non c’è la libertà perché siamo condizionati dalle aspettative economiche, da quelle sociali, culturali … ognuno di noi è soggiogato dai traguardi del dover essere che si porta dentro. Non siamo liberi, ma Gesù ci provoca: però potete esserlo! E come? Ecco la seconda parola: Conoscerete la verità. Conoscere Gesù, dove conoscere non è solo un atto intellettuale, ma è il conoscere biblico dell’amore. Quale Gesù amo? Quale è il Cristo e la sua verità che io seguo?

Quello che mi viene consegnato dalla sua Parola, una Parola nella quale devo rimanere: se rimanete nella mia parola. Dimorare nella parola di Cristo: non significa diventare dei biblisti o degli specialisti! Ma significa farla diventare il nostro nutrimento quotidiano, la luce con la quale operiamo le nostre scelte, con la quale vagliamo i sentieri del cuore. Rendiamoci famigliari con la Scrittura: non viviamo un cristianesimo di rendita. La quaresima è la pedagogia della Chiesa che ci ricorda la necessità indispensabile di rimanere nella parola di Gesù. Per troppo tempo siamo rimasti schiavi della paura di essere protestanti se leggevamo la Bibbia! Per troppo tempo credendo di fare le opere di Abramo abbiamo fatto, senza rendercene conto, le opere del diavolo che sono le opere della divisione, della cattiveria, dell’invidia … perché non siamo stati nella verità di Gesù e la nostra fede non si è lasciata purificare dal confronto con Gesù e con la sua Parola.

 Vi posso dire con grande umiltà che quasi ogni giorno accade questo miracolo, ogni giorno incontro persone che trovano in Cristo la libertà che solo lui può donare. Ho davanti a me gli occhi di quella donna che confessa un aborto che le pesava da anni come un macigno sul cuore, e che nella misericordia di Dio riconosce come un errore, quando allora le sembrava l’unica via d’uscita. Ho davanti a me il pianto liberatorio di un giovane che viveva oppresso dal senso di colpa e dall’angoscia per le sue scelte sbagliate e che non si dava un futuro diverso. Porto sull’altare di Gesù il dolore di quell’uomo che si accorge di avere accanto una moglie e dei figli che hanno bisogno di lui e del suo amore, quando invece per anni era accecato dalla carriera e che la verità di Gesù ha restituito alla sua dignità.

Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.

Il Cristo ci può liberare dalla montagna dei discorsi su Dio e sulla fede, per una fede che si fonda sulla pratica del Discorso della montagna.