XIII DOPO PENTECOSTE - Mt 21, 10-16


(Ne 1,1-4; 2, 1-8; Mt 21, 10-17)

È sorprendente questo gesto di Gesù al tempio, per diversi motivi. Anzitutto perché è forse l’unica volta che lo vediamo esercitare una qualche forma di violenza anche fisica, nel rovesciare i tavoli e le bancarelle nel cortile del tempio. E poi, dobbiamo ricordare che Gesù era salito altre volte a Gerusalemme e aveva fatto del tempio anche il suo luogo di preghiera e di incontro. Perché questa volta si comporta così? Proprio nel tempio di Gerusalemme che è il luogo più sacro e caro agli ebrei. Non caro solo dal punto di vista religioso perché prima dell’esilio custodiva le tavole dell’alleanza, ma anche perché costituiva il luogo simbolo dell’identità nazionale. Per questo nelle varie traversie della storia è stato più volte distrutto e ricostruito, ancora oggi gli ebrei osservanti sentono questi significati e si recano al muro occidentale nella Gerusalemme moderna, a pregare su quello che resta del tempio.

Possiamo capire perché Neemia, un ebreo che in esilio aveva fatto carriera come coppiere del re persiano, si preoccupasse di poter tornare a ricostruire le mura di Gerusalemme per preservare il tempio che era appena stato ricostruito. Siamo nel dicembre del 446 e dalla prima lettura veniamo a sapere che infatti ottenne l’autorizzazione dal re Artaserse (464-424 a.C.) di tornare a Gerusalemme.

Questi sono gli anni in cui ad Atene per esempio Pericle fa iniziare la costruzione del Partenone e lo arricchisce di sculture; Sofocle fa la sua prima rappresentazione dell’Antigone; Ippocrate fonda la scuola di medicina; di lì a pochi anni nascerà Platone… Insomma siamo in un periodo culturalmente effervescente, nel quale anche il popolo ebraico sembra ritrovare intorno a Gerusalemme fortificata e al tempio ricostruito (la cui sola spianata era immensa: cinque volte più grande dell’Acropoli di Atene circa 144.000 m2) la sua identità. Si riorganizza la vita civile, viene redatta la Torah che da questo momento diventa il testo di riferimento dell’ebraismo…

Quando Gesù sale a Gerusalemme e entra nel tempio è consapevole di entrare in un luogo carico di tutti questi significati spirituali, storici e politici, ma vi entra con un’intenzione precisa. Un’intenzione che in qualche modo era già stata palesata con l’ingresso solenne in Gerusalemme, avvenuto appena prima. Gesù era entrato a Gerusalemme come re della città santa, non a cavallo come fosse un generale o un satrapo, non con il carro da guerra tipico di chi vuole affermare il potere, ma cavalcando un asinello. Il messaggio era chiaro: Dio viene con mitezza e umiltà. Normalmente il potere è esercitato con arroganza e violenza dai potenti che facilmente diventano prepotenti, perché considerano di essere loro la legge e non si sottomettono alla legge… arriva Dio e fa esattamente il contrario e per questo è Dio. Il regno di Dio è un potere che infrange ogni potere proprio attraverso la mitezza e l’umiltà.

In questo senso il gesto di ribaltare i tavoli nel tempio acquista una forza dirompente. Normalmente questo passo è conosciuto come la «purificazione del tempio», come se Gesù volesse “purificare” il culto. In realtà mi sembra ci sia qualcosa di più forte e profondo. Basti solo notare che subito dopo viene detto che si avvicinarono a Gesù «ciechi e storpi», due categorie che dovevano stare fuori dal tempio per non renderlo impuro. La polemica è sottile: chi rende puro il tempio? chi e che cosa rendono impura la casa di Dio?

Sono i ciechi e gli storpi o quelli che vendono e comprano? Ma non perché Gesù ce l’avesse con i commercianti in quanto tali, piuttosto con la mentalità che riduce il rapporto con Dio a una compravendita, a un commercio. È come se dicessimo: facciamo i bravi per… guadagnarci il Paradiso! Preghiamo perché vogliamo ottenere qualche vantaggio per i vivi e i defunti… In realtà anche il nostro rapporto con Dio talvolta è un cercare di comprarlo, di tenerlo buono almeno, di rendercelo favorevole… come se per principio egli fosse contrario a noi e dovessimo fare di tutto per ingraziarcelo.

Un Dio così è terribile, è la causa di tutte le schiavitù religiose.

A me sembra che su questa distorsione comprendiamo la reazione, per così dire, violenta di Gesù: perché vuole la distruzione simbolica e profetica di un ordinamento di cose che hanno reso la casa di Dio un «covo di ladri». Noi tutti sappiamo che il covo non è il luogo dove si commettono i crimini, bensì quello in cui si rifugiano i ladri e i criminali dopo averli commessi. Così avviene a Gerusalemme: non è nel tempio che si commettono i crimini, ma chi li commette pensa che facendo una buona offerta ai sacerdoti e al tesoro del tempio si possa mettere l’anima in pace con Dio. In questo modo si sconsacra il tempio! Nel senso più vero del termine: si sconfessa cioè l’amore di Dio. Perché si fanno dei sacrifici a Dio? perché si pensa che Dio succhi la vita, succhi il sangue, e allora gli si sacrifica qualcosa per noi! Perché si pensa che Dio sia violento, come sono violenti gli uomini.

Con Cristo è la fine di ogni sacrificio: l’uomo non compie più alcun sacrificio, perché Dio pone fine a ogni sacrificio, a ogni violenza religiosa. Gesù è la fine del sistema mercantilistico del tempio perché con la sua morte in croce ci libera da questa immagine di Dio che abbiamo dentro! Dio non è uno da comprare: è tutto per noi. Ci ha creati per amore, ci ha dato il mondo, ci dona la vita, ci dona alla fine se stesso. Per questo ci ha fatti: per entrare in comunione con lui, perché lui è amore. Tutto quello che è mercanteggio con Dio, è la corruzione del rapporto di gratuità, di dono, quindi di fiducia da parte nostra.

Se uno non si può fidare di suo padre e di sua madre, come può fidarsi della vita? La nostra infelicità viene da questa immagine di Dio. Tutte le religioni fanno cose buone per tenerlo buono per la paura che castighi e che punisca… Insomma un rapporto di compravendita.

Anche noi dobbiamo camminare dietro l’asinello di Gesù e purificare la nostra immagine di Dio e capire che Dio non è quello che vuole sacrifici, ma la misericordia e lui è il primo a usare misericordia dando la vita per noi. Per questo non abbiamo più motivo di avere paura: se i ciechi e gli storpi erano esclusi dal tempio, nel nuovo tempio ogni debolezza dell’uomo non è più causa di esclusione da Dio, ma motivo della cura di Dio. Gli si avvicinarono ciechi e zoppi e si prese cura di loro… Il vero tempio di Dio è l’uomo che reso figlio in Gesù si fa fratello dell’altro, vero tempio è la carità fraterna dove le debolezze non sono più il luogo del dominio, della paura, ma della cura e dell’aiuto reciproco. Siamo tutti tempio dello Spirito.

Di fronte a queste cose i sommi sacerdoti e gli scribi, gli uomini del potere religioso, si sdegnano! Cosi come si sdegnano tutti coloro che sono nostalgici di una religiosità pomposa propria di una corte che vive sulla paura e su di essa fonda il proprio potere. Non credo di esagerare se mi permetto di paragonare a questo gesto del Cristo che rovescia le bancarelle del tempio, il gesto compiuto il 22 giugno scorso da papa Francesco nel lasciare il trono vuoto in occasione di un concerto in Vaticano che lo avrebbe visto seduto insieme a tutta la corte….

Costoro vengono smascherati dalla voce dei bambini che chiedono di essere liberati da una religiosità da schiavi. Cosa gridano questi piccoli: Osanna figlio di Davide! «Salvaci», questo significa osanna, salvaci Gesù da una religiosità del commercio, della schiavitù, salvaci da un culto fondato sulla paura di Dio! Salvaci dalla fede dei cortigiani. Gesù conclude citando il salmo 8 che è il salmo della grandezza di Dio: con gli occhi dei bambini finalmente vediamo la tenerezza del Dio di Gesù che non si fonda come per i grandi del mondo sulla paura e la violenza, ma sulla cura delle ferite dell’uomo, nella mitezza e nell’umiltà.

Per questo ogni città può essere una città santa. Ogni casa può essere un tempio della presenza di Dio, quando si vince la paura con l’amore e si curano le ferite con la mitezza e l’umiltà.