I DI QUARESIMA o Domenica all’Inizio di Quaresima - Mt 4, 1-11
Ritorna il tempo di quaresima a far risuonare per noi l’appello alla conversione, alla penitenza, quasi come un invito arcaico, fuori dal tempo. Cosa significa lasciare che un poco di cenere ci venga messa sul capo, ha ancora senso entrare in un tempo di penitenza e di austerità quando per molte famiglie questo tempo dura ormai da qualche anno?
Sarebbe riduttivo pensare alla quaresima come a un appello individuale, esclusivamente personale. Certo la conversione non può che partire dal cuore di ciascuno di noi perché, sappiamo che «il campo di battaglia contro il male si trova nel nostro cuore e l’ultima radice del peccato è l’orgoglio» (Silvano del monte Athos). Ma la prospettiva oggi necessaria è quella di uscire da una visione ripiegata su noi stessi, quasi a perpetuare il tentativo prometeico di migliorare la nostra qualità cristiana, di correggere i nostri difetti… per assumere su di noi la storia che stiamo vivendo, per fare nostra la domanda di speranza dei nostri contemporanei e per cercare di trovare il senso della presenza dei cristiani nel tempo e nella società. Come stiamo nei conflitti e nelle tensioni di oggi? Cosa ha da dire un discepolo del Cristo, cosa ha da vivere soprattutto?
Per un verso abbiamo sperimentato che l’angoscia della difesa dei valori, la preoccupazione di porre un argine alla deriva del mondo come se noi soli fossimo investiti della responsabilità di difendere gli ultimi baluardi dei valori, contribuisca in definitiva ad innalzare il livello conflittuale. Il cosiddetto «cristianesimo della presenza» vede nemici ovunque e alimenta contrapposizioni e arroganze che riducono la fede a ideologia.
Mi sembra finito anche il tempo del «cristianesimo della mediazione», ovvero della ricerca prepotente di un’alleanza con i poteri economici e politici… alla lunga il prezzo per questi compromessi è troppo alto fino a svuotare il paradosso cristiano e a rendere la chiesa utile strumento per la coesione sociale.
Come ci poniamo dunque, come abitiamo questo tempo? Non pretendo di dare risposte facili a questioni così complesse, ma credo che il tempo di quaresima possa essere l’occasione affinché ciascuno di noi si interroghi, rifletta e preghi su che cosa significhi oggi annunciare il vangelo del regno, quale sia la volontà di Dio per noi. Mi viene in mente l’immagine del mozzo che, sulle navi che andavano alla scoperta del nuovo mondo nei secoli XV e XVI, si arrampicava sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di poter vedere profilarsi una riva sconosciuta.
Il mozzo per salire lassù però non deve avere né il mal di mare, né soffrire di vertigini. Certo non è lui a guidare la nave, il suo compito è quello di scrutare e vegliare al suo posto di vedetta e quando in lontananza appare una lingua di terra, allora grida l’annuncio a tutti i membri dell’equipaggio che da giù dove si trovano, non possono ancora vederla.
Il mozzo è importante che abbia una buona vista anche per evitare gli scogli che affiorano a pelo d’acqua e impedire che la nave si incagli.
Vorremmo essere così, discepoli che come mozzi scrutano i segni del mondo nuovo. Stare protesi verso il futuro, verso un futuro che vorremmo affrettare, ma che non corrisponde semplicemente al nostro desiderio di futuro, piuttosto verso quello che Dio sta preparando e che è già in gestazione oggi, qui.
Isaia anche nella lettura di oggi ce lo insegna, e molto bene. Per un verso il profeta dà voce «all’ira di Dio» perché il popolo «se n’è andato per le strade del suo cuore» e «i malvagi sono come un mare agitato che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango»…. (Is 57,21-58,4). Sembra la descrizione del nostro tempo, eppure anche dentro questa melma e nel fango che affiora il profeta vede la promessa di Dio: Pace ai lontani e ai vicini, io li guarirò!
Quando Matteo ci narra di Gesù che entra per 40 giorni nel deserto, noi siamo colpiti dalla lotta che Gesù sostiene, ma ancor più ci deve colpire l’annuncio della buona notizia che non siamo soli a sostenere il deserto, non siamo soli con la nostra buona volontà a combattere il male.
Gesù scende nel deserto insieme a noi. Con Gesù entriamo in questo luogo senza strade, senza segnaletica e senza punti di orientamento… tutti elementi che caratterizzano bene il nostro tempo, sul quale sembrano incombere solamente indicatori di morte, di violenza e di guerra. Ma per ogni generazione, ci ricorda Gesù con i suoi 40 giorni trascorsi nel deserto, il proprio tempo è come una traversata nel deserto, affinché impariamo ad affidarci totalmente a Dio, proprio laddove non c’è nessun appiglio umano e terreno.
Il deserto è un luogo senza vie e senza numeri civici, senza connessione e senza rete wifi… ma paradossalmente è attraverso di esso che passa l’unico cammino che deve percorrere chi cerchi un senso, un significato, una speranza. A ben guardare il deserto è un luogo per innamorati. Gli innamorati amano stare da soli, ci si può isolare soltanto per amare di più, l’unica solitudine lecita è quella dell’amore, il deserto non è uno scopo, un obiettivo, ma luogo di transito, di passaggio, di traversata.
Per noi che amiamo il nostro tempo, e vogliamo amarlo, è questo il nostro deserto, certo ci mancano i punti di riferimento: violenze, ingiustizie, crudeltà, guerre ci annebbiano la vista e non riusciamo a intravedere i segni di un futuro.
Però non vogliamo reagire con la rabbia, con l’isterismo: alla violenza non vogliamo rispondere con altra violenza. Alla guerra non vogliamo rispondere con la guerra.
E tantomeno ci rassegniamo a chiuderci in noi stessi, a pensare ingenuamente di garantirci il guscio del nostro privato illudendoci di stare bene da soli.
Insomma non ci darà futuro né il cristianesimo della presenza, né quello della mediazione. Ci darà futuro il cristianesimo del paradosso: ovvero quello del mozzo che impara a non lasciarsi vincere dal mal di mare, che non si lascia sconvolgere dalle onde, non cede alle vertigini della violenza e dell’odio… ma tiene fisso lo sguardo sull’orizzonte per saper vedere e saper indicare i segni di un nuovo mondo.
Concretamente, i segni del mondo nuovo sono le risposte di Gesù alle tre grandi domande che sono le domande e le tentazioni di ogni popolo e di ogni società umana. Facciamo attenzione alle risposte di Gesù.
Non di solo pane vivrà l’uomo, risponde Gesù, citando il Deuteronomio (Mt 4,1-11). Certo la domanda che viene dall’umanità è una domanda vera, di pane, di cibo per tutti. Lo sappiamo bene noi che ci prepariamo ad ospitare l’EXPO. Diciamo anche nella preghiera del Padre nostro: dacci il nostro pane quotidiano! Gesù però dice c’è una parola che aiuta la navigazione della vita, ed è tenere fisso lo sguardo sulla parola di Dio perché se stai sempre e solo nella cambusa non riesci a orientarti. Sali sull’albero maestro della Parola!
E poi Gesù risponde al tentatore: Non provocare Dio! c’è chi lo provoca uccidendo in nome suo, ma tu non provocarlo invocandolo per risolvere i problemi. Egli già ti dona gli strumenti per affrontare e vivere il deserto o il mare aperto che sia! Usa la tua intelligenza e il tuo cuore.
Infine, nella terza risposta Gesù dice al tentatore: Solo Dio puoi adorare! Alla ricchezza, al potere non affidare il tuo cuore, perché altrimenti non fai altro che alimentare i conflitti e nutrire il demone della guerra e dell’odio. Come dice un proverbio tibetano: «Non puoi congiungere le tue mani in preghiera, se non sono vuote»!
Raccogliamo l’invito di Gesù e saliamo con lui in questa quaresima sull’albero della parola di Dio, con mani libere e cuore purificato, per poter scrutare un nuovo orizzonte alla storia del mondo. Questo è un lavoro, come scrive papa Francesco, di formazione del cuore: «Vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore. Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro» (Messaggio per la quaresima 2015).