III DI PASQUA - Gv 8, 12-19
(At 28, 16-28; Rm 1, 1-16; Gv 8, 12-19)
La festa di Pasqua è una festa di luce e di vita, come sembra annunciare finalmente anche l’arrivo della primavera, ma soprattutto come dice Gesù: Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Ma che cosa significa che Gesù è luce?
Dalla nostra esperienza sappiamo che grazie alla luce vediamo il volto delle persone, conosciamo le cose. Accendere i riflettori su un fatto, su evento significa metterlo in luce, mostrarlo a tutti.
Ma quando Gesù parla di sé come luce, lo fa richiamando le parole dell’Eterno rivolte a Mosè nel roveto ardente: Io sono. Veniamo dunque rimandati alla rivelazione dell’Esodo, del Dio che libera, del Dio che si rende vicino e si fa carico della schiavitù del suo popolo.
Quando Gesù dice: «Io sono la luce», afferma di se stesso di non essere solo la luce che ti fa vedere le cose, ma di essere quella luce che ti fa sapere chi sei, da dove vieni e dove vai, ti fa conoscere la verità di te stesso e ti fa entrare nella relazione di verità con gli altri. Se non c’è questa luce la nostra vita è morta. In questo senso Giovanni riporta di frequente questa espressione sulla bocca di Gesù: Io sono il pane di vita, Io sono l’acqua viva, Io sono il buon pastore … In sostanza Gesù dice: Se guardate la mia vita, le cose che faccio, le cose che vi dico… voi conoscete il Padre, conoscete Dio, perché il Padre mi ha mandato a fare così, a gettare sulla vostra vita questa luce.
La luce dell’esistenza è conoscere l’amore con cui siamo amati, da dove veniamo. Se non sappiamo l’amore con cui siamo amati, non abbiamo identità, perché la nostra identità è l’amore con cui siamo amati, ciò che ci fa figli, ci fa esistere. Senza questa consapevolezza andiamo alla ricerca della nostra identità in altre cose: nel potere, nel denaro, nell’accumulo, nel prevaricare perché non sappiamo chi siamo. Mentre quando so di essere amato da Dio – e questo amore mi è rivelato da Gesù – allora mi rendo conto che anche gli altri sono amati da lui e non possono non essere fratelli per me. Se non c’è questa luce è tutto più difficile, è come brancolare nel buio, perché appunto una vita senza luce, senza senso, senza un principio, senza un fine che sia l’amore è una vita nelle tenebre e una vita nella schiavitù, è una vita nella morte.
Anche a noi, oggi che celebriamo il Risorto, è dato di conoscere questa luce grazie alla sua parola, proprio come dice il salmo: Lampada per i miei passi è la tua parola (Sal 119, 105), salmo che Martini ha voluto sulla sua tomba a fare luce sulla sua stessa vita. La parola di Dio è stata la luce che ha illuminato il suo cammino e noi ne siamo testimoni.
Dio è luce che ama, che attrae, che affascina, luce che fa venire alla luce, come succede in primavera è luce che fa emergere il seme dalla zolla oscura e lo fa fiorire.
Quella del fiore è un’immagine che condensa tutto il cammino e il miracolo cristiano: la luce si interiorizza nel fiore, vi si esprime, prende volto; e il fiore diventa sacramento della luce. La luce ha bisogno del fiore per esprimersi e il fiore tende con tutto se stesso a diventare sacramento della luce, se obbedisce alla spinta vitale che dalla zolla lo fa crescere verso la luce. Così Dio si interiorizza nell’uomo, e dal di dentro, senza violenza, diventa presenza silenziosamente operante.
Gesù è luce del mondo nel senso che Dio ci attrae, ci chiama a fiorire. Ciascuno di noi quando si apre ad accogliere la Parola inizia un cammino ascensionale e trasfigurante guidato dallo Spirito che dal di dentro lo spinge ad ascendere. Nel Vangelo Gesù non ci dà delle leggi, ma ci indica delle vette: «Lascia che Dio sia grande in te, lascia che Dio si esprima nella tua vita» e non affannarti a diventare eroe dell’inutile e servo sciocco di cose sciocche, non spegnere l’immagine divina della vita che Lui ha acceso in te.
E così succede che come la luce attrae, trasforma, trasfigura per analogia il Vangelo trasforma e trasfigura la vita degli apostoli facendoli passare dalla paura, dalla chiusura mentale, dalla fuga alla capacità di andare fino a Roma, come dicono gli Atti degli apostoli (28, 16-28) e la lettera ai Romani (1, 1-16), rendendo testimonianza alla parola di Gesù: Io sono la luce del mondo.
Infatti Gesù non dice semplicemente: «Sono solo la luce del tuo cuore e della tua anima», ma «sono la luce del mondo»! Paolo quando incontra la luce del Vangelo, nel momento in cui il seme del vangelo fiorisce nella sua vita diventa infaticabile seminatore della Parola nel giardino del mondo.
Qui si aprirebbe una questione importante che ha incagliato per lungo tempo la vita della Chiesa nel suo rapporto con il mondo.
Il Concilio Vaticano II ha fatto una grande riflessione in proposito, potremmo dire è stata la riflessione che ha innervato tutto il Concilio stesso. Per riassumere in modo schematico la questione potremmo dire che c’era e c’è chi parla di «Chiesa e mondo», come di due realtà opposte, in contrapposizione, con un pregiudizio negativo nei confronti del mondo. Mentre il Concilio, come recita il sottotitolo della Gaudium et Spes, parla della «Chiesa nel mondo contemporaneo», di una Chiesa che non è mossa da alcuna ambizione terrena e che mira «a continuare sotto la guida dello Spirito l’opera di Cristo che è venuto al mondo a salvare e non a condannare, a servire e non a essere servito» (GS 4).
In un altro testo specifico sulla Chiesa, il Concilio dirà appunto che Lumen Gentium è Cristo, la luce stessa per la Chiesa sono la parola e i gesti del suo Signore. Lo raccontavano già i Padri paragonando la Chiesa alla luna. La Chiesa, dicevano, è come la luna: non brilla di luce propria, ma riflette la luce del suo sole che è il Cristo.
Non ci deve stupire se, dimenticando questa prospettiva, ancora oggi ci sia più di uno che esaltando il passato come esemplare vive nella nostalgia delle tradizioni di un tempo, ma la luce non è lì, la tradizione che illumina è la Parola di Dio che continua ad essere lampada ai nostri passi.
Uno storico della Chiesa, John O’Malley, recentemente ha terminato una sua conferenza con una proposta interessante, dicendo che lo studio della storia della Chiesa è una via che aiuta essere “buoni cristiani”! Basta essere storici per decostruire inconfutabilmente la tesi conservatrice che bolla ogni innovazione in quanto antitetica alla “Chiesa di sempre”. Per chi ha uno sguardo storico la comparsa di scenari nuovi non si presenta come una rottura insanabile avvenuta all’interno di una tradizione immodificabile, ma come fioritura operata dalla luce di Cristo.
Con umiltà celebriamo la festa della luce e della vita, chiedendo al Signore di essere nella nostra fatica quotidiana, sacramenti della sua luce, capaci di far sorgere anche nei deserti umani zolle di regno di Dio.