III DI PASQUA - Gv 8, 12-19
La festa di Pasqua continua in queste settimane e la Parola di oggi ci aiuta a viverne la pienezza del mistero, che sarebbe per noi troppo grande, cogliendone un aspetto per così dire luminoso, la Pasqua è una festa di luce come dice Gesù: Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.
La festa di Pasqua è una festa di luce e di vita, ma non semplicemente perché torna la primavera. Sappiamo che in antico la festa di pasqua era la festa dei nomadi che iniziavano la transumanza portando le greggi ai nuovi pascoli; era anche la festa degli agricoltori che appunto con la primavera segnavano il ritorno alla fatica della terra, con nuove seminagioni e nuovi raccolti …
C’è un qualcosa di vero in tutto questo, ma già con la pasqua di Mosè la festa divenne una festa più storica che naturalistica: non segna più semplicemente il passaggio da una stagione all’altra, ma segna il passaggio della liberazione di un popolo che da schiavo diventa libero, e questo per l’intervento di Dio. È il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma anche di Sarah, di Rebecca e di Rachele che passa nella storia e traccia un itinerario di liberazione per il suo popolo.
Ora Gesù vincendo la morte e risorgendo dal mondo delle tenebre e del non senso, è il volto luminoso di Dio che nella storia umana passa a liberare l’uomo dall’angoscia della morte e illuminando un orizzonte molto più ampio e grande dentro il quale viviamo, amiamo e soffriamo, gioiamo e piangiamo.
Quando Gesù usa l’immagine della luce per dire se stesso, dice di essere il volto di Dio, la luce di Dio, perché il suo modo di essere, di sentire e di operare, è il modo di essere, di sentire e di operare di Dio. Lo Spirito di Dio e lo Spirito di Gesù sono lo stesso Spirito.
Prima ancora del dualismo morale che separa i figli della luce dai figli delle tenebre, la luce è la parola di Dio che illumina il cammino, è il volto dell’Eterno talmente luminoso che Mosé non poteva resistere guardandolo, la luce è Dio stesso che attrae la vita dei suoi figli. Dio è luce che ama, che attrae, che affascina, luce che fa venire alla luce, che fa emergere il seme dalla zolla oscura.
Quella del fiore è un’immagine che condensa tutto il cammino e il miracolo cristiano: la luce si interiorizza nel fiore, vi si esprime, prende volto; e il fiore diventa sacramento della luce. La luce ha bisogno del fiore per esprimersi e il fiore tende con tutto se stesso a diventare sacramento della luce, se obbedisce alla spinta vitale che dalla zolla lo fa crescere verso la luce. Così Dio si interiorizza nell’uomo, e dal di dentro, senza violenza, diventa presenza silenziosamente operante.
Possiamo anche chiuderci a questa presenza operante dello Spirito che abita in noi, possiamo comprimere questa tensione distorcendola o esercitando una violenza su noi stessi e possiamo lasciarci affascinare dagli idoli che occupano la parte carnale di noi. “L’idolatria – scriveva Mazzolari – è vestire l’effimero di assoluto”. Possiamo anche coprire questa tensione fuggendo da noi stessi.
Se obbediamo al groviglio di istinti che ci abita non saremo mai uomini liberi, occorre assumere l’ombra come limite oltre cui saltare, l’ombra delle nostre meschinità e pesantezze, dei “no” che la vita inevitabilmente ci dice, dei sentieri interrotti che minacciano di bloccare il cammino.
La nube del vulcano che dall’Islanda impedisce i voli aerei in mezza Europa, potremmo assumerla come metafora della vita spirituale: la nube tenebrosa ci impedisce di volare, di spiccare il volo. Ma da dove viene questa nube tenebrosa se non dalle viscere della terra, dal magma che ci abita.
Le tenebre di cui parla Gesù, il peccato, non sono più una trasgressione alla legge, ma una chiusura alla luce, una tristezza che ci fa diventare “eroi dell’inutile e servi sciocchi di cose sciocche”, è lasciarci impoverire, è spegnere e dissolvere l’immagine divina della vita che Gesù ha acceso in noi.
Se Gesù è luce del mondo, lo è nel senso che Dio in Gesù ci attrae, ci chiama a fiorire, ciascuno di noi quando si apre ad accogliere la luce inizia un cammino ascensionale e trasfigurante guidato dallo Spirito che dal di dentro lo spinge ad ascendere. Nel Vangelo Gesù non ci dà delle leggi, ma ci indica delle vette: lascia che Dio sia grande in te, lascia che Dio si esprima nella tua vita.
La Pasqua è una festa di luce che dura cinquanta giorni perché impariamo a trasfigurare le nostre esistenze: la trasfigurazione è un’esperienza di luce nel senso che Gesù mostra sul Tabor come l’uomo sia chiamato a salire per interiorizzare il pensare, il sentire, l’operare di Dio.
Ed è un interiorizzare che produce frutto, che fa maturare, perché come la luce attrae, trasforma, trasfigura così trasforma e trasfigura la vita degli apostoli facendoli passare dalla paura, dalla chiusura, dalla fuga alla capacità di portare l’annuncio del Vangelo fino a Roma, come dicono gli Atti degli apostoli (28, 16-28) e la lettera ai Romani (1, 1-16).
In quale modo Paolo può trasformare la vergogna del Vangelo nella franchezza dell’annuncio che lo conduce perfino ai pagani nel cuore dell’Impero, se non grazie alla luce che Dio gli ha acceso nel cuore?
In che modo noi possiamo trasfigurare le nostre esistenze se non attingendo alla luce della Parola, dello spezzare il pane, della presenza dello Spirito?
Anche il discepolo trasfigura la propria vita quando diventa artefice di quel perdono che solo può far emergere il fondo di bontà e di luce che c’è nel cuore di ogni creatura, rendendola capace di un nuovo e puro inizio; quando diventa capace di un amore che è vita: ferite profonde si sono rimarginate perché qualcuno ci ha battezzato con il suo amore e il suo perdono.
Con umiltà celebriamo di domenica in domenica la Pasqua di Gesù, la festa della luce e della vita, per essere nel nostro impegno e nella nostra fatica quotidiana, sacramenti di quella luce, capaci di far sorgere anche nei deserti umani zolle di regno di Dio.
(Gv 8, 12-19)