V DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 6, 27-38


La struttura della pagina è articolata come se fosse un testo da imparare a memoria. Anzitutto i primi quattro verbi: amate coloro che vi sono nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite coloro che vi maledicono, pregate per chi vi tratta male.

Poi altrettante azioni da compiere: offri l’altra guancia…; non rifiutare la tunica …; dà a chiunque chiede… e non chiedere indietro le cose

I quattro verbi e le quattro azioni culminano con quella che viene chiamata la regola d’oro: Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

Seguono poi tre condizioni ipotetiche: Se amate quelli che vi amano… Se fate del bene a coloro che fanno del bene… Se prestate a quelli che vi restituiscono… che conducono al v.36 che è il centro di tutto il vangelo di Luca: Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Tutto il vangelo di Luca è una variazione sul tema di questo versetto, così che Dante definì Luca come lo scriba mansuetudinis Christi, lo scrivano della mansuetudine di Cristo.

Misericordes sicut Pater. Laddove il vangelo di Matteo riporta le parole di Gesù: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro! Parole durissime e inarrivabili perché la perfezione secondo i nostri parametri culturali è il top della realizzazione umana che condensa in sé tutte le caratteristiche migliori di un uomo e di una donna… portate all’ennesima potenza!

Luca che conosce bene la cultura greca e l’ambiguità dell’idea di perfezione, traduce questo concetto e lo rende più rispettoso della tradizione biblica per la quale appunto la perfezione non consiste nella bellezza eterea, astratta, non coincide con l’intelligenza massima… non è tutto questo, la perfezione è quella dell’amore, ma anche qui non si tratta di un amore dove tutto è bellissimo, per la quale l’armonia è al massimo e l’intesa è senza smagliature… ma è la perfezione dell’amore che sa perdonare. Questa è la perfezione: misericordes sicut Pater!

E dovremmo tradurre: diventate misericordiosi. Non come traduce la nostra Bibbia: «siate misericordiosi», ma diventate perché tra l’essere e il non essere c’è il divenire, c’è il tempo della nostra vita durante il quale siamo chiamati a diventare misericordiosi come il Padre.

E siccome questo è il deficit più grande che abbiamo nella nostra testimonianza nel mondo, Papa Francesco ha voluto un anno dedicato alla misericordia invitandoci a tenere davanti agli occhi queste parole di Gesù: Siate misericordiosi come il Padre!

E visto che ormai l’anno giubilare volge al termine, è giunta l’ora di chiederci come sia stato per noi quest’anno. Dovremmo domandarci se siamo cresciuti in misericordia, se questa è davvero la perfezione verso la quale ci siamo incamminati.

Certo che prendendo alla lettera le parole di Gesù del vangelo di oggi abbiamo di che scoraggiarci: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano… porgi l’altra guancia… e poi i quattro imperativi finali: Non giudicate, non condannate, perdonate, date!  Insomma potremmo uscire di qui sconfortati e tristi per la nostra incapacità, ma non solo perché anche se dovessimo poterci riuscire, di fatto non crediamo che questo sia possibile nel mondo. Non crediamo che sia giusto e tantomeno opportuno amare i nemici, prestare senza avere in cambio, porgere la guancia…

Ma Gesù ci chiede di alzare lo sguardo dalle nostre incapacità per saper guardare il Padre. Misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso! E la Bibbia ebraica parla di misericordia con due vocaboli: hesed che è la bontà di un Dio affidabile, roccia che non viene meno. L’altro è rahamim che è il plurale di rehem, il grembo della donna, utero di madre, che alimenta e fa crescere la vita, e che per estensione indica la sede dell’amore materno.

È interessante notare che il vocabolo ebraico è molto simile anche in arabo e compare in apertura di tutte le 114 sure o capitoli che compongono il Corano e che iniziano con questa professione di fede: Nel nome di Dio misericorde (rahman) e misericordioso (rahim)…

Adottando il termine rahamim la Bibbia narra di un Dio la cui passione è trasmettere vita; un Dio che genera, che presiede alle nascite, il cui scopo supremo è di essere nella vita datore di vita. «Dio tutto il giorno fa solo questo: sta sul lettuccio della partoriente e genera» (Meister Eckart).

È il grembo della donna a suggerire la verità di Dio, lo fa con la sua potenza generatrice e con la sua capacità di accoglienza del fragile, dell’indifeso, del debole. E chi più del nascituro?

Allora con un Dio così, io so di non essere creatura che ogni giorno ‘lentamente muore’, ma figlio che sta continuamente nascendo. Come scrive Maria Zambrano in maniera mirabile: «Si nasce una prima volta, in parte, e tutta la vita è la gioia e la fatica di nascere del tutto».

Il legame etimologico con il grembo materno dimostra che la misericordia in origine non indica l’indulgenza verso il peccatore, ma ha a che fare con la generatività, con l’energia materna che dà alla luce, alimenta, cura, ripartorisce e rimette al mondo, ma anche lotta e difende strenuamente dal pericolo, a costo della sua stessa vita.

Provate a pensare se quando cantiamo l’atto penitenziale che apre la liturgia, intendessimo con questa intensità le due parole: Kyrie eleison.

Nel nuovo testamento il termine greco per misericordia è eleos. Così gridano i malati, gli esclusi, quando vedono Gesù: Kyrie, eleison. Parola di ciechi, di lebbrosi, di morenti: Signore, abbi pietà.

Quando invochiamo: Signore abbi pietà, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario della vita che preme sotto queste parole: vita che viene generata, partorita di nuovo.

La misericordia di Dio è tutto ciò che serve alla vita dell’uomo.

Il cieco prega: Kyrie eleison, Signore abbi pietà, ma non dei miei peccati, quanto dei miei occhi spenti.

Pietà di noi, gridano i lebbrosi: ma non perché siamo più peccatori degli altri, bensì più dolenti e rifiutati; pietà perché non c’è più nessuna carezza per noi e questo non è più vivere.

Kyrie, Signore, tu che dai la vita, eleison, vale a dire: sentiti padre e madre di questi figli naufraghi, fai alzare la mia figlioletta morta, falla ridere e danzare di nuovo; dona la gioia della luce, della madre luce ai miei occhi chiusi!

Perché Dio perdona da creatore, non da smemorato, non come uno che dimentica il male o fa finta che non sia successo nulla e non fa l’offeso… Perdona da creatore. Perdona risuscitando amore.

Faccio mio l’invito di Maurice Zundel: stasera per un quarto d’ora ti fermi a contemplare il tramonto. E capirai che non sei tu il centro del mondo. Ti sentirai dentro un’ospitalità cosmica, in una grande casa comune, dove il cielo, la luce, il sole e tutte le creature sono i tuoi fratelli e le tue sorelle minori. Fermati a sentire che la vita si nutre anche di bellezza e contemplazione. Perché, come diceva s. Francesco, Dio è bellezza.

E allora, dopo aver contemplato e gustato la misericordia di Dio, torniamo a noi, alla nostra vita quotidiana, dove la misericordia non sarà  più quell’impresa impossibile da super eroi, perché siamo passati dal paradigma del peccato a quello della pienezza, dall’idea della colpa posta al centro, alla centralità del fiorire della bellezza della vita.

(Lc 6, 27-38)