V DI QUARESIMA - Gv 11, 1-45
(Gv 11, 1-45)
Signore, colui che tu ami è malato! Ripetiamo oggi le parole che Marta e Maria mandano a dire a Gesù preoccupate per la salute di Lazzaro, e mentre le ripetiamo abbiamo dinnanzi agli occhi e portiamo in cuore la situazione del nostro mondo, del nostro Paese che ci porta a dire: Signore questo mondo è malato, questo Paese è malato!
Sono tanti i sintomi che ci inducono a diagnosticare una patologia infausta per la nostra terra e per la convivenza civile e non vorrei aggiungermi alla lunga lista dei pessimisti e dei profeti di sventura, ma tutti noi vediamo i segnali evidenti di degrado, di malattia appunto della nostra umanità.
Ci basti la sintesi straordinaria di Gandhi nella quale afferma che alla radice delle evidenti manifestazioni di ingiustizia e di degrado ci stanno: la politica senza princìpi; il benessere senza lavoro; la conoscenza senza carattere; il commercio senza moralità; la scienza senza umanità; la fede senza sacrificio e il piacere senza amore. Non ne manca nemmeno uno, anche nel nostro Paese.
Con questa consapevolezza, senza nasconderci dietro a discorsi mediocri e demagogici, riconosciamo la nostra incapacità, la nostra impotenza e di ritrovarci nella condizione di Marta e di Maria alle quali non rimane che – dopo averlo rimproverato per il ritardo – intercedere presso Gesù.
La nostra preghiera domenicale e quotidiana ha anche questo intento: ti preghiamo, Signore, per noi, per le nostre famiglie, ma abbiamo a cuore la situazione del nostro Paese, del mondo, dei disperati che dalla Costa d’Avorio alla Libia cercano pace, libertà e dignità. Intercediamo per le famiglie giapponesi, come per quelle di Haiti … «Signore che da sempre ascolti il grido e la preghiera dei tuoi figli, ascolta la preghiera che da tutto il mondo si rivolge a te, guarda questo nostro mondo malato»!
C’è una sorta di rassegnazione che prende di fronte all’ineluttabile, all’impotenza che sperimentiamo. E possiamo dare voce a un pensiero che ci rode dentro, come una conclusione che non vorremmo mai poter pronunciare: alla fine tutto si conclude in una tomba.
Anche Giovanni a me sembra dare voce ai nostri sentimenti e pensieri più profondi, quando, nella struttura del suo vangelo, pone quello del ritorno in vita di Lazzaro, come il settimo segno. Il primo era accaduto a Cana di Galilea, quando la festa di nozze poteva essere seriamente compromessa e il Signore aveva dato vino nuovo e abbondante. Questo era stato l’inizio dei segni. Poi via via lungo il vangelo passando per la mancanza di pane sulle rive del lago di Tiberiade, Giovanni ci conduce con Gesù fin davanti alla pietra che sigilla il sepolcro di Lazzaro, pietra pesante come quella che starà anche davanti alla sua di tomba.
Tutto questo sembra confermare quel pensiero di prima: non c’è futuro, la storia è un inevitabile degrado. Sembrano aver ragione gli scettici e i rassegnati: il mondo va sempre male e chi paga sono sempre gli stessi, chi ci guadagna sono i più forti. Ed effettivamente anche la storia di Gesù sembra calcare lo stesso percorso, anche la vicenda del Cristo racconta di un potere che sembra averla vinta.
Non ci resta che andare a piangere al sepolcro! In qualche modo il mistero di Pasqua è anticipato qui a Betania. Gesù compie un segno che non possiamo chiamare risurrezione, piuttosto si tratta di un ritorno alla vita, perché Lazzaro prima o poi tornerà a morire, ma la sua per così dire rianimazione, è segno di Pasqua, come dice Gesù a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà».
Come alla samaritana è ancora a una donna che Gesù regala parole che sono al centro di tutta la fede: Io ci sono e sono la vita! Notiamo la successione: «Io sono la risurrezione e la vita». Prima viene la risurrezione, poi la vita, e non viceversa. A risorgere sono chiamati i vivi, noi, prima che i morti: a svegliarci e rialzarci da tutte le vite spente e immobili, addormentate e inutili. La vita avanza di risurrezione in risurrezione, verso l’uomo nuovo, verso la statura di Cristo, verso la sua misura, e fa la vita più salda, amorevole, generosa, sorridente, creativa, libera. E proprio per questo eterna.
Mi scriveva in questi in giorni una persona amica: Perché diciamo che Gesù è morto per noi? Ho bisogno di capire meglio cosa significa “per salvarci”. Ci risponde il segno di Lazzaro che mette sulle labbra delle sorelle di Lazzaro quel grido che è il nostro grido, cui Gesù risponde non è per la morte, ma per la gloria di Dio. E cosa significa la gloria di Dio? cos’è questa gloria di Dio se non la vita dell’uomo!
Al grido della nostra umanità malata e che cammina verso la morte, Gesù risponde con la voce che attraversa il sepolcro: Io sono la risurrezione e la vita! Lazzaro vieni fuori.
Oggi Gesù ci dice: Guarda la tua storia, il tuo cammino, il cammino del mondo. So bene che ci sono delle pietre che come un sepolcro si frappongono tra te e la gioia di vivere. Io ti dico: non temere, la morte non ha l’ultima parola e la vita di tutti, anche di coloro che sono sprofondati nel mare e non hanno nemmeno un luogo per essere sepolti, è cara al cuore dell’Eterno. Ebbene questa promessa di vita non è per domani, è per oggi, per adesso. Come stiamo davanti al mistero della morte? Come stiamo dinnanzi al sepolcro?
Dinanzi al sepolcro, dinanzi a tutto ciò che quel sepolcro rappresenta ed evoca, così come dinanzi alla nostra storia possiamo stare come quelle guardie che sono davanti al sepolcro di Gesù, impacciate e tremanti a custodire un corpo senza vita. Oppure possiamo essere sufficientemente forti per spostare la pietra che grava su tanti cuori e tante menti; ma anche abbastanza delicati per sciogliere le bende che impediscono di vedere e di amare.
Il Signore chiede alla sua Chiesa non di custodire un sepolcro vuoto, ma di continuare a porre segni di vita, di speranza, di amore. Non vuole una chiesa che, come le guardie al sepolcro, di fronte ad un mondo che domanda segni di speranza, a volte è soltanto capace di giocare in difesa per paura che qualcuno possa rubare il Signore.
Il Signore ha bisogno di noi. Ha bisogno che spostiamo le pietre e che sciogliamo le bende, in una parola ha bisogno che noi amiamo. Perché il vero nemico della morte non è la salute, ma l’amore.
Risorgiamo adesso e vivremo dopo la morte, perché siamo amati e perché amiamo.